Per l’A. la nascita a Udine il 24 giugno 1489 da Gregorio e suor Fiore da Marano, monaca di S. Chiara in Udine, ritenuta illegittima, sarebbe stata fonte di problemi per buona parte della vita. Nonostante la sua posizione fosse stata regolarizzata con privilegio del vescovo di Bologna Achille Grassi il 13 agosto 1516, come informa il padre Gregorio nel suo testamento del 14 giugno 1524 redatto dal notaio Antonio Belloni (poi aggiornato con quello olografo del 26 maggio 1540), ciò non valse a sciogliere la tensione che doveva subire R. a causa del proprio stato, e non fu sufficiente a sgombrare ogni dubbio. Lo stesso testamento, dichiarando che il figlio naturale R. è «legittimato e pienamente legittimo», fu infatti preceduto da alcune lettere di R. al padre (novembre 1519, febbraio e dicembre 1523), con le quali egli lamentava l’incertezza della propria posizione e sollecitava nuovi atti che rafforzassero il privilegio del Grassi. L’A. trascorse l’infanzia e la fanciullezza tra il Friuli, Padova, Venezia e, parrebbe, Bergamo, come rivela lui stesso nell’orazione Pro se ipso Romae habita, seguendo il padre, da cui apprese i rudimenti di grammatica; ritornò successivamente a Udine, dove proseguì gli studi di latino e greco anche con lo zio Girolamo, pubblico insegnante di fama nella città friulana. ... leggi Verso la fine del 1507 lasciò Udine e nella primavera dell’anno successivo raggiunse Roma con l’intenzione di inserirsi nella corte papale. Non riuscendovi, ritornò a Padova, ospite e precettore dei frati dell’ordine degli eremitani di S. Agostino, dove approfondì lo studio del greco, apprese nozioni di ebraico e, pare, di altre lingue orientali. Si trasferì a Bologna verso la fine del 1509, passando per Imola dove incontrò Gian Antonio Flaminio. Lì strinse amicizia con Giovanni Campeggi, con il quale aveva studiato suo padre Gregorio, con Giambattista Pio e Achille Bocchi, incontrati a Bergamo; di quest’ultimo ci rimangono epistole e versi indirizzati all’A. Nel 1512 si sposò con Violante Guastavillani da cui nacque Pompilio, il primo di dodici figli. Nel 1513 ottenne l’affidamento dal senato della lettura di greco e latino, inaugurandola con un’orazione a Giorgio Sauromano, scelto allora a reggere lo Studio, la quale fu pubblicata a Bologna nello stesso anno. Nel 1517 morì lo zio Girolamo, il quale, dimostrando la sua fiducia e la stima per il nipote che egli stesso aveva avviato agli studi di umanità, gli donò con clausola testamentaria tutti i suoi libri greci, affinché R. li potesse correggere e pubblicare. Il testamento, nel quale il fratello Gregorio era stato indicato come erede dei beni di Girolamo, fu in seguito al centro di una contesa giuridica tra R. e Dorotea, figlia di Girolamo. Alla morte di Gregorio (1541), infatti, questa volle rientrare in possesso dell’eredità paterna, scontrandosi con le pretese di R., che come erede maschio legittimato di Gregorio opponeva le sue prerogative anche sui beni dello zio. L’esposizione analitica della controversia, e delle distinte ragioni delle due parti, si può leggere nei Responsa del celebre giurista friulano Tiberio Deciani (1594), il quale era stato allievo di Gregorio e Girolamo Amaseo: il Deciani smonta le accuse intentate a R., contestando le pretese di Dorotea, alla quale si richiede di pagare le spese processuali («[…] non potest expectare, quam iustissimam absolutionem sui a petitis per d. Dorotheam cum expensis»). Nel dicembre del 1519 il consiglio dei Pregadi della Repubblica di Venezia aveva deliberato di offrire all’A. la cattedra di greco con possibilità dell’insegnamento del latino all’Università di Padova, la quale stava rifiorendo dopo il periodo di sofferenza in seguito alla lega di Cambrai (1508) dovuto all’occupazione degli imperiali della terraferma veneziana, nel cui dominio rientrava parte del Friuli. Tuttavia, probabilmente per l’opposizione dei Bolognesi non si trasferì a Padova che nel 1520-21, e il 12 gennaio 1521 non aveva ancora iniziato le lezioni. Qui rimase fino al 1524, avviando poi una serie di trattative tra Venezia e Bologna per ottenere un incremento di stipendio dalle rispettive università, potendo confidare anche nella mediazione di Gian Matteo Giberti, datario di Clemente VII, che gli era amico (si vedano le lettere che egli inviò all’A., nel manoscritto Ambr., D 191 inf.). Nell’ottobre di quell’anno, dopo diversi ripensamenti ritornò all’Università di Bologna dove aveva un numeroso seguito anche di studenti stranieri, dalla Polonia, Ungheria e Inghilterra. Durante il congresso tra Carlo V e Clemente VII, tenuto a Bologna nel 1529-30, la celebrità dell’A. toccò l’apice. Egli recitò, infatti, davanti alle autorità l’orazione De pace, per la quale ebbe in dono da Carlo V, come testimonia una lettera del padre Gregorio, «duc[ati] 300 in una bella tazza d’oro» (8 aprile 1530). All’inizio dell’anno accademico recitò anche le due orazioni apologetiche De Latinae linguae usu retinendo [Per conservare la tradizione della lingua latina], le quali ebbero un vasto impatto lasciando un profondo segno nella polemica, in seno alla questione della lingua, tra i difensori della lingua latina e i promotori del volgare. Infatti il dibattito, che ebbe ampia eco, a più riprese, durante il corso di tutto il secolo XVI e oltre, trovò un momento di amplificazione proprio con la diffusione delle orazioni dell’A. – le quali costituirono un punto di riferimento, sia per i detrattori sia per i partigiani della lingua italiana che si stava espandendo – ed ebbe risonanza particolare nelle aree culturalmente più appartate della penisola, come il Friuli. Nel 1531 fu eletto segretario del senato al posto del deceduto Filippo Fasanini (Fasianino), anche se non soddisfaceva la condizione che per consuetudine era richiesta a tale ufficio, di provenire cioè da una famiglia avente cittadinanza bolognese da almeno due generazioni (cittadinanza e nobiltà della città bolognese furono restituite agli Amasei solo nel 1533). Su richiesta degli studenti il senato stabilì che egli mantenesse l’insegnamento. Nel 1533 pubblicò la traduzione latina dell’Anabasi di Senofonte già quasi completata durante l’insegnamento padovano, dedicandola a Ludovico d’Avila, cameriere segreto di Carlo V, quell’anno a Bologna per un nuovo incontro dell’imperatore con il pontefice. L’A. fu a Roma più volte a partire dal 1534, nelle vesti di segretario del senato al seguito della delegazione bolognese in funzione di rappresentanza presso Paolo III, che era appena stato eletto. Per le insistenze del papa si fermò brevemente a Roma a completare l’istruzione dei cardinali nipoti Alessandro Farnese e Guido Ascanio Sforza, già suoi discepoli a Bologna. Poi ritornò a Bologna, dove nel 1538 passò dalla cattedra di retorica e poesia a quella di umanità; il peso dell’attività e delle responsabilità gli fu tuttavia gravoso, al punto che, recatosi in Friuli nel 1541 quando il padre Gregorio morì, per pietas filiale e per le incombenze dell’eredità, fu richiamato improvvisamente ai suoi doveri d’ufficio e dovette ritornare precipitosamente a Bologna lasciando il figlio Pompilio a sbrigare le pratiche. A Roma si stabilì definitivamente, per le pressioni di Paolo III, dalla fine del 1544, anche se mal sopportava il duplice carico di lavoro dell’insegnamento privato al Farnese e della docenza all’Università. Ivi frequentava il circolo di letterati che si radunavano presso il cardinale, come il Molza, il Caro, Claudio Tolomei, Paolo Giovio, pur non entrando in particolare sintonia con alcuno di essi. Nel 1546 fu al seguito del cardinale Farnese in Germania, nella sua legazione per la guerra contro gli Smalcaldici. Allo stesso Farnese fu dedicata la traduzione di Pausania, curata dal figlio Pompilio, Francesco Bolognetti e Camillo Paleotti nel 1547. Nel 1550 fu chiamato da Giulio III, insieme a Galeazzo Florimonte, alla segreteria delle lettere latine. Morì nel 1552, lasciando i figli nei debiti, che furono appianati dallo stesso pontefice. Fu sepolto in S. Agostino nella tomba di famiglia. L’apporto più significativo che l’A. diede alla cultura delle lettere non sta nelle opere di natura filologica o nella produzione letteraria, ma nella sua attività di insegnamento e nella sua produzione oratoria (una scelta delle orazioni fu poi pubblicata dal figlio Pompilio: Orationum volumen, 1564), che costituì un punto di riferimento per l’eloquenza latina di stile ciceroniano, anche in contrapposizione con il volgare che stava sottraendo alla lingua latina la preminenza in molti ambiti della cultura, della scienza e della vita civile. Innumerevoli furono i suoi allievi, italiani e stranieri, che andarono poi a occupare posizioni chiave della politica, della società e della cultura del tempo. Ben definito e significativo fu il contributo che l’A. diede alla crescita culturale e letteraria del Friuli. L’influsso dell’insegnamento dell’A. trovò vasto riscontro: più in generale nei latinisti contemporanei di origine friulana, inseriti nel tessuto culturale e sociale della Patria, come Raffaele Cillenio e il famoso notaio Antonio Belloni che, legato all’A. anche da rapporti personali (testimoniati dalla corrispondenza epistolare), riconosceva il suo magistero nell’imitazione ciceroniana (si veda l’epigramma manoscritto De Romulo Amaseo, «Retulerat quamvis fandi Longolius artem», in cui l’A. è chiamato a succedere al campione del ciceronianesimo romano Christophe de Longueil); o nei latinisti friulani in esilio, che di quello stile erano fautori, come Girolamo Rorario nel suo Quod animalia bruta ratione utantur melius homine. Ma soprattutto furono suoi allievi figure di spicco della cultura friulana del Cinquecento come Francesco Robortello, che ne seguì le lezioni a Bologna, e Bernardino Partenio, anche lui studente nella stessa città o, forse, a Padova: il Partenio proseguì l’attività di insegnamento del maestro anche in Friuli, fondando l’importante Accademia di Spilimbergo. Le orazioni De Latinae linguae usu retinendo dell’A. fornirono, ancora al Partenio, l’ossatura argomentativa per l’orazione Pro lingua latina che egli pubblicò nel 1545. In essa, pur con una maggiore apertura nei confronti del volgare e anche qualche ambiguità, il Partenio riprende dalle orazioni amaseane del 1530 le argomentazioni della superiorità del latino nei confronti del volgare, che è nato dalla sua degenerazione: in primo luogo per il fatto che il latino è l’unica lingua adatta a trattare argomenti elevati e a tramandare la conoscenza; inoltre perché solo essa garantisce una diffusione universale, di contro alla dimensione unicamente municipale della lingua materna. In modo non dissimile, ma seguendo traiettorie culturali diverse, il friulano Giulio Camillo Delminio, maestro anche lui del Partenio, dovette probabilmente in parte all’A. gli strumenti retorici necessari a elaborare la propria teoria dell’eccellenza del latino ciceroniano, considerato l’unico modello da imitare (Trattato della imitazione, 1544). Sul versante dei promotori del volgare, Alessandro Citolini – nato a Serravalle (odierna Vittorio Veneto) e anche lui appartenente alla cerchia degli allievi del Delminio – nella sua Lettera in difesa de la lingua volgare (1540) ebbe ben presenti le prove in difesa della lingua latina addotte dall’A. nelle sue orazioni apologetiche, che confuta analiticamente rovesciandone le argomentazioni. Altre orazioni dell’A. da ricordare, oltre alla già citata De pace, la Oratio de concordia, dove le terre giuliane e friulane sono citate per la loro funzione di baluardo contro la minaccia turca e, queste ultime, per il ruolo avuto dalle loro genti negli eserciti veneziani; e l’Oratio qua Gregori patris obitum deplorat, in morte del padre Gregorio, il quale tanta parte ebbe nell’insegnamento della grammatica e delle lettere latine a Udine.
ChiudiBibliografia
ASU, NA, 5459, f. 190r-191v (testamento di Gregorio A. del 14.06.1524); Ibid., NA, 5519 (testamento di Girolamo A.). Dall’inventario di KRISTELLER, Iter Italicum, al quale si rinvia, si può rintracciare cospicuo materiale sull’A. Si indicano qui di seguito solo alcune opere: Bologna, Biblioteca universitaria, 4221 (De ratione et ordine studiorum); Milano, Biblioteca Ambrosiana, R 9 sup. (quattro orazioni anonime attribuite all’A., 1520); Napoli, Biblioteca nazionale, V F I (Oratio in funere Pauli III); Padova, Biblioteca del seminario, 416 (orazione); Wolfenbüttel, Herzog August-Bibliothek, 149.1 (De latinae linguae usu retinendo scholae duae). Riguardo alle lettere l’Iter registra una cospicua corrispondenza, tra cui missive a G.A. Flaminio, G. Beroaldo, L. Nogarola, F. Guicciardini, P. Amaseo, P. Vettori. Tra le diverse poesie dedicate all’A. si segnala l’epigramma De Romulo Amaseo di A. Belloni (BCU, Joppi, 442, f. 92r).
Panegyricus sermo spectatiss. Georgio Sauromano Bonon. Gymnasiarchatus suscipienti insigna pro scholastico conventu a Romulo Amaseo Foroiuliensi dictus, Bologna, B. Hectoris, 1513; Xenophontis de Cyri Minoris expeditione […] Romulo Amasaeo interprete, in Xenophontis […] opera […], Basilea, Cratandrus, 1534 (poi in Xenophontis […] Opera, quae quidem Graece extant, omnia, partim iam olim, partim nunc primum, hominum doctissimorum diligentia, in latinam linguam conversa […], Basilea, Isingrinium, 1545); Pausaniae veteris Graeciae descriptio. ... leggi Romolus Amasaeus vertit […], Firenze, Torrentino, 1547; Oratio habita in funere Pauli III. pont. max, Bologna, I. Rubrius, 1563 (edita dal figlio Pompilio e dedicata al cardinale A. Farnese); Romuli Amasei Orationum Volumen, Bologna, I. Rubrius, 1564 (De concordia, De pace, De Lat. ling. usu retin., De rat. et ord. stud., De perenni eloquentiae usu, Pro se ipso Bononiae habita, Ob amicorum duorum lugubris oratio, De Pauli III Pont. Max. erga literatos homines beneficentiae spe oratio, De laudibus studiorum humanitatis, Qua auditores ad eloquentiae studium hortatur, De tardioris exordii sui causa, Qua Greg. patris obit. deplor., De traducenda aetate in optimarum artium studiis, Qua exordii sui tarditatem excusat, Pro se ip. Rom. hab., Qua Ciceronis de natura deorum libros aggressurus divinum auxilium implorat: di ciascuna delle orazioni raccolte si vedano i riassunti in SCARSELLI, 47-51); R. A., De latinae linguae usu retinendo, in M. PECORARO, Scritti filologici del Cinquecento, Padova, Editrice R.A.D.A.R., 1968, 70-88 (estratti di testo con commento).
Responsorum […] D. Tiberii Deciani Utinensis […], IV, Udine, Natolini, 1594; Vita Romuli Amasaei a FLAMINIO SCARSELLIO descripta, notis illustrata, testimoniis ac monumentis comprobata […], Bologna, Saffi, 1769; L. e G. AMASEO - G.A. AZIO, Diarii Udinesi dall’anno 1508 al 1541, a cura di A. CERUTI, Venezia, a spese della Società [R. Deputazione veneta di storia patria], 1884; R. AVESANI, Amaseo, Romolo, in DBI, 2 (1960), 660-666 (con una bibliografia cui si rinvia per ulteriori indicazioni sulle opere manoscritte e a stampa).
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