E., vescovo-patriarca di Aquileia (571-586/587), è indicato dal Chronicon Altinate come «natione Graecorum» (in genere sono indicazioni con deboli fondamenti). La sua figura è tra le più notevoli nella storia del patriarcato di Aquileia, sia nella promozione di Grado quale sede dignitosa, erede e depositaria della missione aquileiese, sia nel deciso appoggio alla contesa tricapitolina: era succeduto a Probino (569-571), il quale aveva ereditato da Paolo (senza sufficienti ragioni, chiamato spesso Paolino) l’impegno in quella contesa che era dottrinale ma che divenne presto politica, avviata fin dal 554 e riprovata dai papi e anzitutto da Pelagio I, che nell’occasione (557) aveva fatto dell’ironia sulla pretesa, consueta del resto, di eleggere all’interno della chiesa aquileiese un vescovo (abusivamente “patriarca”) in questo caso fuori della comunità cattolica. Lo stesso Paolo all’arrivo dei Longobardi (568), che avevano occupato la terraferma con Aquileia, aveva trovato rifugio nell’isola di Grado e vi aveva trasferito «omnem suae thesaurum ecclesiae», cioè le reliquie venerate ad Aquileia: egli assicurò alla fascia lagunare la continuità dell’autorità di Aquileia, preparando l’ascesa di Venezia di cui Grado fu sede metropolitica fino al 1451. Nella precarietà della situazione per cui Roma aveva dichiarata scismatica la chiesa di Aquileia, Costantinopoli attraverso gli esarchi Smaragdo e poi Romano avrebbe usato la forza per piegare il successore di E., Severo, imprigionandolo, con altri vescovi, a Ravenna. L’orgoglio degli Aquileiesi rivendicò l’attaccamento alla “fides patrum”, non volendo rinnegare quello che ad Aquileia e quindi a Grado si giudicava l’ultimo concilio ecumenico legittimo, il concilio tenuto a Calcedonia nel 451 nella basilica di S. Eufemia, alla quale difatti E. dedicò la cattedrale di Grado, da lui ripresa e perfezionata sulla base di quella che viene attribuita a Niceta. Questa basilica, appena finita e detta appunto “nova”, accolse il 3 novembre 579 (ma certa storiografia preferisce anticipare l’evento ad anni tra 572 e 577 o vedervi una ripetizione nel 579) un grande sinodo per affermare la propria ortodossia e la fedeltà alla dottrina e all’autorità di Aquileia da parte non soltanto del clero aquileiese profugo a Grado, ma anche dei suffraganei: erano presenti infatti tredici vescovi della “Venetia et Histria”, due della Pannonia (e della Savia), tre del Norico mediterraneo e uno della Raetia II (di quel sinodo sono conservate alcune parti del verbale negli atti del sinodo di Mantova dell’827). Per molte diocesi fu l’ultima apparizione storica ma per talune è stata anche l’unica, sempre tuttavia in grado di confermare l’ampiezza dell’autorità metropolitica (ma anche morale e civile) della chiesa di Aquileia e la partecipazione a un evento che prescindeva e superava le divisioni, che si sognavano del tutto temporanee, tra la terra romano-bizantina e quella continentale, in mano dei Longobardi e anche dei Baiuvari: la frattura orizzontale sarebbe stata definitiva. ... leggi Vani furono i tentativi di papa Pelagio II, tra il 585 e il 586, di ottenere da E. e dai vescovi suffraganei di Aquileia il rientro nell’obbedienza alla sede romana. E. morì ancora persuaso di rimanere solido nel suo atteggiamento: Smaragdo proprio allora aveva tentato di piegarlo, come ricordarono i vescovi che nel 590-591 (Libellus supplex) si erano riuniti a Marano e si erano rivolti all’imperatore Maurizio perché venisse posta fine alle persecuzioni, col rischio che le chiese venutesi a trovare in terra longobarda si rivolgessero per le nuove elezioni ai Franchi piuttosto che alla “respublica”. E. rinnovò e arricchì le basiliche di Grado (S. Eufemia, S. Maria delle Grazie e il battistero di S. Giovanni) con precisi e innovativi indirizzi estetici e formali: il suo nome ricorre più volte nel pavimento musivo di S. Eufemia, dove il PRAESUL HELIAS è lodato per lo zelo sollecito oppure è solennemente proclamato EPIS(COPUS) SANCTAE AQUIL(EIENSIS) ECCL(ESIAE). Il suo monogramma (“Helias episcopus”) ricorre in un capitellino di fattura locale, nel salutatorio e nel pavimento di una cappella che poteva essere stata destinata ad accogliere il suo sarcofago (in fondo alla navata destra dove solitamente sorge il diaconico). Vi trovò sepoltura anche un vescovo Marciano (forse nel 608) che «peregrinatus est pro causa fidei»: si ricava che il clero aquileiese si era organizzato per un’azione missionaria al di fuori dei soliti canali. La basilica di S. Eufemia, che accolse per molti altri secoli le tombe dei patriarchi e che nel tesoro manteneva vivo il culto dei martiri, anzitutto dei Canziani, costituì per E. una ripresa, specie nei mosaici, ma anche un rinnovamento di tradizioni illustri; criteri simili interessarono anche la prossima basilica di S. Maria. Altri oggetti preziosi giunsero da Costantinopoli (la capsella in argento di Maria Regina e la stauroteca, ma anche almeno una cattedra in avorio) dopo il 607, dopo cioè che il patriarca Candidiano (607-612), a sua volta successo a Severo (587-606), aveva ridotto all’obbedienza romana la sua chiesa: uno scisma all’interno del clero aveva portato all’elezione d’un altro patriarca, Giovanni, che con i suoi era ritornato ad Aquileia, fissandovi la sede per sé e per i successori, incominciando da Fortunato (I), anche lui fuggito da Grado tra 627 e 628, con l’assenso, non con il favore, del re longobardo, e aveva sottratto alla sede gradese parte del tesoro. In tal modo, come annotò Paolo Diacono, si ebbero da allora due sedi e due serie di patriarchi. A E., che nella sua azione era affiancato e sostenuto non soltanto dal clero ma da una plurima comunità di fedeli, come eloquentemente attestano le molte epigrafi che punteggiano e cadenzano i mosaici pavimentali, si attribuirono svariate fondazioni, sia prossime (monastero di Barbana), sia lungo le coste. Mancano documenti attendibili in merito, benché sia certo che, duplicando Aquileia, Grado accolse istituzioni monastiche e si dotò di numerosi altri luoghi di culto prima e dopo l’episcopato di E., riflettendo infine anche Ravenna (S. Vitale, Ss. Cosma e Damiano). E. costituì per Venezia un precedente essenziale per la sua stessa identità, che vide più tardi (secolo XI) in Grado la “Nova Aquileia”, quantunque di recente a Venezia si preferisca dare importanza a indizi più antichi e più veneziani.
ChiudiBibliografia
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