Di M., patriarca di Grado, la tradizione storiografica locale veneto-gradese fornisce solo alcuni dati approssimativi: di presunta origine dalmata, pontificato dal 647 al 667 circa, sepoltura nella basilica di S. Eufemia. Al contrario nel verbale del sinodo Lateranense dell’ottobre 649, egli viene presentato come un importante teologo e uomo politico della Chiesa. Innanzitutto è necessario sottolineare che si tratta di un ampio verbale, in lingua greca e latina, di cinque sedute sinodali (5, 8, 17, 19 e 31 ottobre), fonte controversa per quel che riguarda il contenuto. Le teorie più antiche, secondo le quali si tratterebbe di un verbale originariamente in latino, tradotto poi da monaci greci che nella traduzione in greco lo avrebbero rielaborato sostanzialmente e completato dal punto di vista teologico (E. Caspar), sono state radicalmente modificate dalle ricerche di R. Riedinger: il testo originale sarebbe stato redatto in lingua greca, prima del sinodo, dai monaci greci della cerchia di Massimo il Confessore che poi l’avrebbero tradotto in latino, alla vigilia del sinodo, frettolosamente e in modo impreciso in diversi punti. Si tratterebbe quindi di un testo contraffatto a fini propagandistici che tuttavia avrebbe dovuto dare l’impressione di essere uno scritto autentico. La ricerca condotta da P. Conte (1989), sulla base della nuova edizione di Riedinger con rassegna critica delle fonti (1984), ha fortemente ridimensionato la radicale critica che considerava il documento un falso: i testi originali in greco furono presentati al sinodo nella loro traduzione latina e successivamente ratificati. Il verbale riporta perciò lo svolgimento del sinodo e le effettive idee dei suoi protagonisti che con le loro firme espressero il proprio consenso. I verbali delle singole sedute sinodali e quindi il verbale intero sono firmati dai partecipanti sia nella versione greca sia in quella latina: al primo posto si trova la firma di papa Martino, seguono le firme di 102 vescovi italiani (104 con i due aggiunti successivamente) e quelle di 4 vescovi provenienti da altre zone (due dall’Africa e due dalla Palestina). Queste firme costituiscono un documento di fondamentale importanza per ricostruire l’organizzazione della Chiesa alla metà del VII secolo nell’Italia bizantina (circa 80 vescovi) e, in misura minore, anche nell’Italia longobarda (circa 20 vescovi). Il patriarca di Grado M., che viene sempre indicato come “vescovo aquileiese”, compare in tutti i verbali al secondo posto d’onore, subito dopo il papa Martino. ... leggi La sua sottoscrizione appare nella versione latina (ma non in quella greca) nella sua forma lunga e solenne, che si distingue di poco dalla firma dello stesso papa (Acta conciliorum oecumenicorum, II/1, 390-391). M. interviene al sinodo pronunciando tre discorsi. Come importante teologo e dignitario ecclesiastico, interviene in qualità di principale sostenitore del papa nella lotta contro i seguaci della dottrina monotelita. La controversia teologica monotelita-monenergetica (638-681) era giunta, al tempo del sinodo Lateranense, ad una fase decisiva: dieci anni dopo l’editto in materia di fede dell’imperatore Eraclio (Ekthesis, 638), che diede inizio alla disputa, Costante II nel 648 (l’anno prima del sinodo Lateranense) tentò invano di appianare il dissenso con un nuovo editto in materia di fede (Typos). Il contrasto si estese anche all’Italia bizantina, dove la dottrina monotelita non si era potuta affermare a causa dell’energica opposizione papale. I tre discorsi del patriarca di Grado M. sono caratterizzati, sul piano linguistico, da uno stile personale e, per lo meno in due casi, sono interessanti anche dal punto di vista teologico. Poco innovativo per quel che riguarda il contenuto è invece il primo discorso del patriarca nella prima seduta sinodale del 5 ottobre 649 (ivi, 26-29): M. espone la base teologica per intervenire contro gli eretici, dove non raggiunge il livello del precedente discorso del papa (ivi, 10-21), e fornisce poi delle proposte di carattere pratico per intervenire contro i principali sostenitori dell’eresia. Il secondo discorso di M. alla fine della quarta seduta del 19 ottobre 649 (ivi, 234-245) è un ampio testo teologico, profondo e ambizioso, nel quale il patriarca muove le sue argomentazioni a partire dalle conclusioni del concilio di Calcedonia. Con una serie di citazioni dalla Bibbia e dai Padri della Chiesa, presenta un’aspra condanna teologica e morale della dottrina monotelita e dei suoi protagonisti, appellandosi alle conclusioni tratte in tutti i concili ecumenici e illustrando una serie di trenta diverse espressioni di ricusazione e di divergenza rispetto all’eresia. Così, come prima di lui il papa, M. aveva paragonato l’eresia con l’arianesimo e il nestorianesimo. Il suo discorso dimostra non solo un’ottima conoscenza dei documenti teologici cattolici, ma anche una profonda conoscenza dei testi eretici. Il terzo discorso del patriarca, tenuto alla fine della quinta seduta del 31 ottobre (ivi, 344-353), dimostra una competenza teologica ancora maggiore. M., tramite un’analisi dell’editto in materia di fede dell’imperatore Eraclio (Ekthesis), respinge la dottrina monotelita e quella monenergetica. La profondità del suo pensiero teologico e il riferimento ad una serie di testi teologici greci e latini apre la questione dell’istruzione teologica del patriarca e del suo atteggiamento nella controversia in materia di fede. Esternamente appare un’analogia con il punto di vista dei patriarchi scismatici aquileiesi dopo il 557, cioè la perseveranza nelle conclusioni tratte nel concilio di Calcedonia e l’opposizione verso la politica ecclesiastica degli imperatori bizantini, come rivelano le fonti relative al periodo che va dal 557 al 607/628. Si può supporre che la sede vescovile aquileiese, a causa della difficile situazione venutasi a creare dopo l’inizio dello scisma dei Tre Capitoli, si fosse impegnata a dotarsi di testi teologici fondamentali, sui quali potersi basare per una polemica teologica e politico-ecclesiastica. Nel secondo e nel terzo discorso, M. sostiene le proprie affermazioni con tutta una serie di citazioni dagli atti (soprattutto dalla professione di fede) del concilio di Calcedonia (almeno otto citazioni), ma anche con citazioni di importanti teologi, ortodossi (san Gregorio da Naziano, san Cirillo d’Alessandria, sant’Agostino) ed eretici (l’eretico monofisita Severo dell’inizio del VI secolo, che nell’intero verbale del sinodo Lateranense viene citato solo da M.). La profonda conoscenza in materia teologica dimostrata dai suoi interventi fa supporre che M. disponesse veramente di tale conoscenza, altrimenti l’opera di livellamento attuata dai monaci greci (in qualità di “autori” e “traduttori” di tali testi) non avrebbe avuto senso. Poiché la letteratura cristiana aquileiese nei quattro secoli che vanno dal 400 circa – Cromazio, Rufino – fino all’Ottocento – Paolino – è andata del tutto perduta, risulta difficile venire a conoscenza della vita spirituale e culturale, dell’educazione e della conoscenza teologica del patriarca di Grado alla metà del VII secolo. Le traduzioni latine di fondamentali testi teologici greci, intere o parziali (per esempio la versione latina degli atti del concilio di Calcedonia) conservate a Verona nella Biblioteca capitolare, e lo scritto poetico sul sinodo di Pavia (698), che parla del rogo degli scritti dei teologi pronestoriani e monoteliti alla fine dello scisma di Aquileia, dimostrano l’esistenza, nella sfera del patriarcato d’Aquileia e di Grado, di una raccolta di testi teologici piuttosto ampia.
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