Nacque a Gorizia nel 1688. Non è noto l’iter formativo di questo pittore di derivazione piazzettesca; si sa però che, negli anni Venti del Settecento, fu a Venezia. Nel 1718 risultava inserito nella fraglia dei pittori veneziani. La sua presenza è testimoniata da G. A. Moschini fino al 1728: fino a quell’anno lavorò nella chiesa di S. Maria della Misericordia, edificio che andò distrutto assieme alle opere in esso custodite. Nella stessa chiesa avevano lavorato anche G.B. Tiepolo e G. Pittoni. Non essendoci testimonianze successive della sua presenza veneziana, si deve supporre che, dopo quella data, il P. fosse rientrato a Gorizia. Tra le prime opere, oggi disperse, dovrebbero esserci state delle tavole ad olio, firmate e datate ANTONIO PAROLI 1732, che Giovanni Cossar aveva visto, prima del 1915, in una chiesa tra Ronchi e Monfalcone ed alcuni anni più tardi nella parrocchiale di Ronchi dei Legionari. Purtroppo anche di queste tavole nulla è rimasto. A Gorizia, il P. viveva nella contrada delle beccherie, in casa Tomada, dove teneva bottega; era considerato pittore prevalentemente storico. La prima opera conservata risale al 1737: una tela della parrocchiale di Romans, dedicata a S. Pietro, che è raffigurato con i santi Valentino, Osvaldo e Giovanni Nepomuceno. Si tratta di una delle tante pale d’altare di chiese del Goriziano, del Carso e della valle del Vipacco. Oltre all’attività di pittore sacro, il P. ebbe notevole successo negli anni centrali del secolo, in concomitanza con l’affermazione della città di Gorizia quale centro amministrativo e religioso. ... leggi La famiglia Attems Petzenstein, che in quegli anni vide due fratelli, Sigismondo e Carlo Michele, ai livelli più alti della vita civile e religiosa, gli commissionò diverse opere. Il primo, negli anni intorno al 1745, stava portando a termine la ristrutturazione e l’ampliamento del suo palazzo in Gorizia: tale data infatti è inscritta nella facciata del rinnovato palazzo. Per l’edificio il P. dipinse la grande tela del soffitto nel salone d’onore, intitolata Gli dei dell’Olimpo, che risultava già in loco in occasione della prima adunanza dell’Accademia dei Filomeleti (24 febbraio 1744), istituita dallo stesso Sigismondo di Attems. L’artista eseguì anche il ritratto della moglie di Sigismondo, Gioseffa Lantieri (ora a Ljubljana, Narodna galerija), mentre, per la villa che la famiglia aveva fatto costruire a Podgora (ultimata intorno al 1748), dipinse anche quattro sovrapporte: un Minuetto, un Consulto medico, Alessandro il Macedone taglia il nodo di Gordio e Uccisione di un guerriero. Non è stato possibile identificare, invece, i quattro dipinti, di carattere storico, citati sommariamente nell’inventario redatto alla morte di Sigismondo di Attems (1758). Gli anni Quaranta furono molto intensi anche per le commissioni di carattere sacro. Numerose pale d’altare risalgono proprio a questo periodo. Di questi anni è pure il ciclo di dipinti raffiguranti le sette opere di misericordia, realizzati per la famiglia Lantieri, di cui rimangono tre tele, Vestire gli ignudi, Visitare gli infermi, Confortare i carcerati. Il fatto più importante per Gorizia, negli anni centrali del secolo XVIII, fu l’istituzione della arcidiocesi (1752), in seguito alla soppressione del patriarcato di Aquileia. L’occasione fu motivo per commissionare al P. diverse opere. Affrescò innanzitutto l’abside del duomo con La gloria di San Vito, soggetto scelto sia per eternare la memoria dell’antica dedicazione della chiesa parrocchiale di Gorizia, insieme con quella dell’Esaltazione della croce, la cui memoria rimase nella intitolazione della cappella arcivescovile, sia per ricordare il lascito per la costituzione di una diocesi goriziana da parte del sacerdote Vito Gullin (1686), parroco di Hensberg, in Stiria. Purtroppo, l’affresco è andato perduto così come quello che aveva eseguito sul soffitto della chiesa parrocchiale di Lucinico. Sempre nel 1752, il P. dipinse a “grisaille” gli stalli dei canonici nella metropolitana, raffiguranti episodi della vicenda terrena di san Vito. I dodici dipinti ebbero una storia travagliata. Nell’Ottocento parte di essi fu trasferita nella chiesa di S. Rocco. Alla mostra goriziana sul Settecento, del 1956, ne furono esposti alcuni, che furono poi venduti nel 1959. In anni relativamente recenti (1996), due di essi sono stati individuati in una collezione privata e sono stati esposti alla mostra sul pittore organizzata dai Musei provinciali di Gorizia con la Narodna galerija di Ljubljana. Le due tavole sono ritornate quindi definitivamente in città, acquistate dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia. Nel 1756, in occasione dei festeggiamenti per il primo centenario di presenza dei Fatebenefratelli in città, il P. dipinse due grandi medaglioni con raffigurazioni della vita di san Giovanni di Dio. Anche se non ci sono dati documentali, è possibile ipotizzare che, a partire dagli anni Cinquanta, vista anche la sua non più giovane età, il P. potesse contare su qualche aiuto di bottega. L’ultimo dipinto datato, infatti, risale al 1763, quando l’artista era ormai settantacinquenne. Tra le opere rimaste a Gorizia sono da ricordare i dipinti raffiguranti il ciclo di leggende sulla vita di Giuseppe l’Ebreo, un Sacrificio di Isacco, una Madonna con Bambino e san Giovannino, Gesù tra Marta e Maria, i Santi Ilario e Taziano (Musei provinciali) e la Via crucis della chiesa di S. Rocco. Non mancano presenze in alcune collezioni private. Sempre a Gorizia rimane il dipinto intitolato L’elemosina di San Carlo Borromeo nell’omonima chiesa del seminario. Si tratta sicuramente di una delle ultime opere del pittore; la chiesa, infatti, venne ultimata nel 1767. Il P. morì ottantenne a Gorizia il 13 febbraio 1768 e fu sepolto nel cimitero di Braida Vaccana, come risulta dal Liber mortuorum della parrocchia dei SS. Ilario e Taziano. Non sono state trovate, invece, indicazioni riguardo la sua nascita: o era nato altrove oppure potrebbe trattarsi di un Antonio, senza cognome, nato nel novembre del 1687, che ebbe come padrino Antonio Brugnoli. La mancanza di dati certi ha contribuito all’errore dei primi biografi come il Formentini che lo indicò come Giovanni. Un errore corretto da Ranieri Mario Cossar, cui va il merito di aver trovato i primi documenti d’archivio relativi alla morte del pittore. Anche la pronuncia del cognome tradizionalmente accentato sulla prima sillaba, fa supporre al Tavano che il cognome fosse una derivazione da “parvulus” [pargolo].
ChiudiBibliografia
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