Nacque a Udine il 16 novembre 1899. Il nome rivela le simpatie socialiste del padre, lo scultore e architetto Giulio, da cui Max apprese i primi rudimenti del mestiere. La sua formazione proseguì poi a Venezia, dove fu allievo dell’architetto Guido Cirilli e dello scultore Antonio Del Zotto all’Accademia di belle arti (1912-1915). Negli anni successivi alla grande guerra, a cui partecipò nonostante la giovane età, P. maturò diverse esperienze prima di trasferirsi stabilmente a Udine. Dopo il congedo partì per Parigi, in compagnia dell’architetto milanese Giovanni Muzio, risiedendovi fino al 1921 e sopravvivendo con piccole commesse. Nel 1922, rientrato in Italia, rimase per un anno a Torino, intrecciando buone relazioni con diversi artisti, tra cui Arturo Dazzi. L’anno successivo fu a Roma, presso lo studio dello scultore friulano Aurelio Mistruzzi. Trascorse il biennio 1924-1925 a Udine, condividendo lo studio con il pittore Fred Pittino, prima di trasferirsi a Pistoia, dove lavorò per quattro anni presso la fonderia d’arte De Pasqualis. Grazie alle esperienze accumulate nel decennio, P. perfezionò il proprio mestiere e, rientrato a Udine, decise di costruire un laboratorio specializzato nella fusione in bronzo a cera persa. Partecipò, anche come membro della giuria, alla II Biennale friulana nel 1928, ma il suo definitivo rientro a Udine fu in qualche modo sancito dalla prima mostra personale, con Fred Pittino, tra dicembre 1929 e gennaio 1930 (i due esposero ancora insieme a Venezia nell’aprile del 1949). La sua attività scultorea tra gli anni Trenta e i primi anni Quaranta, mentre era preside della Scuola di disegno professionale di Rivignano (Udine), fu scandita dalla partecipazione a numerose mostre collettive e dalla realizzazione di diversi lavori su commissione. ... leggi Tra le prime occorre ricordare, oltre alle varie esposizioni organizzate dalla sezione provinciale del Sindacato fascista di belle arti, in cui fu coinvolto anche dal punto di vista organizzativo, la presenza alla II Mostra sindacale nazionale di Napoli (1937). Dei secondi, significative furono le decorazioni per le tombe delle famiglie Guatti (1930), Moretti-Menazzi (1936), Loschi (1940), Plaino (1942) e Cogolo (1942), destinate al cimitero monumentale di S. Vito a Udine. Nell’ambito della scultura pubblica, P. realizzò nel 1933 il monumento ai caduti di Settimo (Cinto di Caomaggiore, Venezia) e due anni dopo il busto di Enrico Fruch per il comune di Rigolato. Nel 1938 partecipò al concorso per le quattro sculture monumentali della facciata del Tempio Ossario di Udine, dividendo il secondo premio – il concorso fu vinto da Silvio Olivo – con Geminiano Cibau, Mirko e Dino Basaldella. Passati gli anni della seconda guerra mondiale, P. riprese l’attività (nel 1947 ottenne il primo premio per la scultura alla Mostra regionale d’arte sacra contemporanea di Udine) partecipando senza preclusioni di schieramento alla vita artistica postbellica: l’adesione al gruppo della Famiglia artisti cattolici Ellero non contraddiceva la partecipazione, con Gli impiccati di Premariacco, alla prima mostra organizzata dall’Unione artisti friulani (1951), il sindacato affiliato alla Camera del lavoro che divenne una voce importante delle istanze neorealiste friulane, politicamente orientate a sinistra. La fine della guerra segnò anche la ripresa delle commesse religiose (tra esse le due figure in marmo di S. Cecilia e S. Sebastiano per la chiesa di S. Patrizio a Washington) e nel 1946 realizzò la Via Crucis per la chiesa di Urbignacco (Buia), cui fecero seguito quelle delle chiese del Seminario (1955) e dell’ospedale di Udine (1960-1961), di Cargnacco (1956-1958) e di Cividale del Friuli (1964). Degli stessi anni sono il bassorilievo Liber Abaci per la facciata dell’Istituto Zanon di Udine (1956), il monumento al poeta Emilio Girardini e il Ritratto di Giosuè Carducci (1957). Dopo la partecipazione a numerose collettive (tra cui alla VIII Quadriennale romana e alla XIII Biennale d’arte triveneta di Padova nel 1959), finalmente Udine gli dedicò una mostra personale nel 1966, caratterizzata da una serie di bronzetti in cui le forme, perdendo la consistenza plastica di un tempo, erano come corrose dalla luce. Quest’attenzione al dato luministico era mantenuta anche nelle opere pubbliche più recenti, come la Primavera per l’Istituto Malignani di Udine (1965), il Crocifisso per la chiesa di Cervignano del Friuli (1967) e il monumento ad Arturo Zardini di Pontebba (1969). Dal 1950 al 1971, anno in cui consegnò al comune di Tolmezzo La donna carnica, fu il figlio Giulio ad aiutarlo nella realizzazione delle opere monumentali. Verso la fine della sua carriera si cimentò con maggiore continuità anche nell’ambito della medaglistica, a cui si era interessato fin dagli anni Trenta, partecipando a diverse esposizioni (Mostra della medaglia italiana, Parigi, 1965; Triennale, Udine, 1966 e 1970). L’anno prima della morte, avvenuta a Tricesimo nel 1974, si tenne a Palmanova una sua mostra antologica, mentre Udine gli dedicò una personale e una medaglia d’oro per i cinquant’anni di attività.
ChiudiBibliografia
Artisti udinesi d’oggi, a cura di V. ROSSITTI, Udine, AGF, 1971, 188-190; Max Piccini scultore. Catalogo della mostra (Udine, 17 ottobre-9 novembre 1981), Udine, Comune di Udine/Centro friulano arti plastiche, 1981; A. CURTAROLO, Friuli 1937-1939. Fascismo e concorsi artistici decorazioni nella “città della cellulosa”, «Storia contemporanea in Friuli», 24/25 (1994), 73-151: 80-81; G. PELLIZZARI, Il Neorealismo in Friuli. Il dibattito artistico nel secondo dopoguerra, ibid., 24/26 (1995), 97-124; G. BRUSSICH, Il Novecento, in La scultura nel Friuli-Venezia Giulia, II. Dal Quattrocento al Novecento, a cura di P. GOI, Pordenone, GEAP, 1988, 396, 398; Arti a Udine, 466-468; G. GEMO, Max Piccini, in Scultura in Friuli Venezia Giulia. Figure del Novecento. Catalogo della mostra (Pordenone, 10 dicembre 2005-26 febbraio 2006), a cura di A. DEL PUPPO, Cinisello Balsamo, Silvana, 2005, 173.
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