G. da C. fu figlio del notaio e tesoriere della chiesa Maggiore, maestro Giuliano da Rizzolo: è questa una recente acquisizione della ricerca che precedentemente aveva individuato nel figlio del maestro tesoriere un altro notaio, Giovanni Rosso da Cividale, il cui padre, anch’egli magister Giuliano, in realtà era un calzolaio originario di Feltre. L’erronea identità, oltre che dall’identica paternità, è ulteriormente dovuta al fatto che a Cividale, nello stesso arco di anni (a cavallo fra i secoli XIII e XIV), tre distinti notai sottoscrissero i loro atti come Iohannes de Civitate imperiali auctoritate notarius (il terzo fu Giovanni di Fiorentino), distinguendosi solo grazie ai signa ed, evidentemente, per una diversa grafia. Menzionato per la prima volta nel 1277 (7 ottobre) con il nome di G. di Riccarda, poiché investito, assieme a maestro Giuliano da Rizzolo, dei beni di Elicuzza nipote del defunto maestro Bonincontro, doveva già essere maggiorenne: ciò permette di datare la sua nascita intorno alla fine degli anni Cinquanta. Il rapporto di filiazione fra G. e maestro Giuliano è tuttavia svelato da un documento dell’8 gennaio 1288, in cui il secondo, in presenza di G. e di Riccarda da Cividale, rinunciava al capitolo tutti i beni immobili che teneva per conto di quella istituzione per esserne reinvestito assieme al figlio G., con la clausola aggiuntiva che, nel caso di decesso di entrambi, tali beni sarebbero passati alle sorelle di G., Giuliana e Margherita, e alla loro madre Riccarda. Quest’ultima, identificata nell’obito come «mater Ioannis notarii», morì il 2 agosto del 1302. Il primo documento noto che G. sottoscrisse con il suo signum è del 25 luglio 1287. Pochi sono, d’altronde, i munda autografi di G. pervenuti, ma uno di questi è la riduzione in publicam formam di un contratto annotato dal padre nel 1268 ed esemplato evidentemente dopo la morte di lui (1303) su mandato del patriarca Ottobono de’ Razzi. D’altra parte, i cinque protocolli di imbreviature del notaio conservatisi (1296-1345), presentano un bacino di utenza del notaio abbastanza vario, ma collocabile nelle classe media degli artigiani (caligarii, fabri, barbitonsores, macellatores). Una grossa partita di frumento, che G. acquistò da Nerlo de Nerlis di Firenze alla fine del gennaio 1305, fa presumere che il notaio trattasse anche il commercio di questa derrata. ... leggi L’acquisto del suo vino (terrano e ribolla, forse dei vigneti di Giuliano), è documentato già dal 1294 da compratori non solo cividalesi, ma anche di Gorizia e persino da Lignano: si sa, d’altronde, che la casa del notaio, situata in borgo San Pietro, si trovava fra la pubblica via e la casa di Marquardo taverniere. Con documentata regolarità il notaio, inoltre, prestò danaro a usura, con evidente profitto suo e della sua famiglia costituita dalla moglie, Caterina detta Filgian, e da almeno tre figli, Pietro, Agnese e Nicoletta. Queste attività, assieme ai beni ereditati dal padre, evidentemente permisero a G. di raggiungere un certo benessere: morto Giuliano nel gennaio del 1303, a ottobre di quell’anno, G. acquistava una corte con case nello stesso borgo San Pietro, confinante con l’omonima chiesa e il suo cimitero, per riaffittarla poi allo stesso venditore. Agli inizi di febbraio dell’anno successivo dava in locazione un’altra sua casa con orto nei pressi della chiesa di Santa Chiara. A maggio di quello stesso anno 1304 G. e tale Ulrico da Moimacco eleggevano il notaio del comune Antonio da Cividale in qualità di arbitro per una loro controversia: G. protestava di aver preso una certa quantità di danaro a usura per conto di Ulrico, questi adduceva, dal canto suo, di aver effettuato servizi di carreggio per conto del notaio (probabilmente legati ai traffici di granaglie e vino). L’imprenditorialità e le conseguenti facoltà economiche di G. sono testimoniate anche da un documento del giugno 1309: il decano Bernardo di Ragogna e il capitolo di Cividale vendevano per un anno al notaio tutti i redditi, i proventi e le entrate delle pievi di Tolmino, Volzana, San Vito, Plezzo e Caporetto, nonché la decima della biade e degli altri foraggi al prezzo di 105 marche di danari aquileiesi che G. prometteva di pagare entro fine novembre nelle città di Venezia o Padova, ove meglio paresse al decano e ai membri del capitolo. La menzione di Padova è da tenere in conto, perché potrebbe testimoniare il desiderio da parte del notaio. di completare gli studi superiori per ottenere la dignità di magistero: le fonti non autorizzano, tuttavia, a fare alcuna ulteriore illazione in tal senso, perché non pare che il G. abbia mai avuto il titolo di magister. Una sua nota dell’11 febbraio 1313 registra il matrimonio contratto dal collega Benvenuto del fu Pantaleone da Cividale con la figlia di un calzolaio cividalese: i due nubendi confermarono il loro consenso alle domande formulate da un terzo collega, il notaio Giovanni Rosso. G. visse molto a lungo, sopravvivendo di quasi vent’anni alla moglie Caterina, morta l’8 aprile 1323. Pochi giorni prima, il 3 di aprile, era morta anche la figlia Nicolotta, moglie di Mich di Covatto da Cividale: quest’ultimo aveva ricevuto dal suocero notaio la soluzione della dote (302 lire di piccoli veronesi) il 26 giugno 1312. Nel 1339, il 26 giugno, dettava le sue ultime volontà al figlio Pietro, anch’egli divenuto notaio, in cui disponeva di vendere alcuni suoi libri e una casa per poter soddisfare i legati testamentari e di lasciare i rimanenti suoi libri, probabilmente appartenuti a Giuliano, agli scolari poveri: egli si spense tuttavia solo sette anni dopo, probabilmente poco meno che ottantenne, a Cividale il 19 marzo 1346. Due anni più tardi moriva l’altra figlia Agnese, l’11 agosto del 1348; il figlio Pietro continuò la dinastia notarile per ancora dodici anni: morì a Cividale l’8 marzo 1358.
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