Ferruccio nacque a Cussignacco, paese alle porte di Udine, il 24 marzo 1908; l’anno successivo, il 18 agosto, nacque il fratello Pietro; oltre a loro due, i genitori ebbero altri due figli. Le condizioni di povertà della famiglia costrinsero i due ragazzi ad impegnarsi presto in piccoli lavori edili e di manovalanza. Alla fine degli anni Venti entrarono in contatto con gli attivisti della Federazione comunista udinese e inizialmente furono coinvolti nella rete di solidarietà denominata “Soccorso rosso”. Nel 1932 Ferruccio fu protagonista – insieme con Emilio Trangoni – della riorganizzazione del gruppo comunista del suo paese, messo in forte difficoltà dalla repressione fascista. Nell’anno successivo venne cooptato all’interno del Comitato federale che dirigeva l’attività comunista in tutto il Friuli, e alla fine del 1933 era uno dei due soli membri di tale organismo rimasti pienamente operativi. Pietro, nello stesso periodo, era il responsabile per il partito di varie inchieste sulla condizione delle operaie e degli operai impiegati presso le fabbriche del circondario. I due fratelli vennero arrestati per la prima volta nel 1934, nel corso di una vasta battuta repressiva che colpì l’organizzazione clandestina dei comunisti friulani. Ferruccio venne condannato pochi mesi dopo a 8 anni di prigione dal Tribunale speciale per la difesa dello Stato; scontò la pena detentiva presso le carceri di Civitavecchia e di Fossano (Cuneo). Tre furono invece gli anni di pena comminati a Pietro; fu detenuto presso il carcere di Civitavecchia e quello di Castelfranco Emilia, dal quale venne liberato nel 1935. Nell’anno successivo venne arrestato nuovamente a causa della ripresa dell’attività “sovversiva” in Friuli; venne condannato a cinque anni di confino: li scontò fra Ventotene, le isole Tremiti e Ponza, dove fece conoscenza – fra gli altri – del dirigente comunista nato a Udine Mauro Scoccimarro. Ferruccio fu rilasciato nel 1937 a seguito di un indulto: rimase, comunque, sorvegliato come ‘persona pericolosa’; nell’estate dello stesso anno tentò di espatriare alla volta della Spagna per combattere a difesa della repubblica. ... leggi Il tentativo di arruolarsi nelle Brigate internazionali fallì. Arrestato presso il confine con la Svizzera, Ferruccio venne dapprima rinchiuso presso il carcere di Bolzano, poi presso la casa di lavoro di Imperia. Ricondotto a Udine fu incarcerato in via Spalato, prima di essere destinato al campo di internamento di Ariano Irpino. A causa della sua irriducibilità, venne disposto il suo confino presso le isole Tremiti, dove rimase fino all’estate del 1943. Liberati entrambi a seguito della caduta del regime fascista avvenuta il 25 luglio di quell’anno, i due fratelli riuscirono a tornare in Friuli; si collegarono rapidamente ai loro compagni e furono fra i primissimi organizzatori della Resistenza friulana. Si unirono subito al gruppo che – sotto la guida di Giacinto Calligaris – fondò a metà settembre il Battaglione Garibaldi “Friuli”, insediato nei pressi del paesino di Canebola. Fu in quella fase che Pietro venne individuato come il nuovo segretario della Federazione friulana del Partito comunista (carica che ricoprì fino alla primavera dell’anno successivo). Dopo i rastrellamenti che costrinsero il Battaglione a ripiegare oltre il Tagliamento, presso il Monte Ciaurlec, a Pietro venne affidato il compito di organizzare a Udine i Gruppi di Azione Patriottica (Gap). Ferruccio invece (nome di battaglia: Spartaco), poche settimane dopo il rientro, venne inviato in Veneto, a Fontanelle di Conco, presso l’altipiano di Asiago, dove contribuì all’organizzazione – con base a Malga Cogolin – di un distaccamento partigiano assieme ad altri militanti comunisti e a un gruppo di giovani cattolici, renitenti alla leva e capitanati da un ex militare di orientamento monarchico. Il reparto, tuttavia, non riuscì a consolidarsi a causa delle tensioni che ben presto si palesarono in relazione alla sua operatività. A seguito dell’attentato con il quale un nucleo di quei partigiani aveva eliminato un caporione del fascismo locale, in ambiente badogliano maturò la decisione di procedere con l’assassinio di Ferruccio e degli altri tre partigiani comunisti con cui collaborava. Il massacro venne realizzato – su ordine della componente monarchica del Comando militare provinciale della Resistenza vicentina – da un commando di giovani del reparto il 30 dicembre del 1943: Ferruccio rimase vittima dell’agguato mentre si trovava sulla via del ritorno a Malga Silvagno, dove si era da poco trasferito con i suoi compagni e il corpo suo e quello del suo compagno vennero gettati sul fondo di una cavità naturale chiamata “buso del giasso”. Pietro, invece, rimase in Friuli: raggiunse la montagna nell’aprile del 1944 e assunse incarichi sempre più rilevanti in seno alla Resistenza friulana (nome di battaglia: Gracco); nel corso dell’agosto di quell’anno venne designato commissario politico della Brigata Garibaldi “Carnia”; forte di questo ruolo prestigioso, fu fra gli organizzatori della Repubblica partigiana istituita a luglio presso la “zona libera” della Carnia. A conferma del riconoscimento di cui godeva, a settembre venne nominato commissario del Gruppo Brigate Garibaldi Nord appena costituitosi. Nell’autunno, tuttavia, una grande offensiva tedesca soffocò l’esperimento partigiano. Nel corso dei combattimenti successivi, venne intrappolato dai cosacchi assieme a un compagno presso un’abitazione in Val Pesarina (a Pieria, nei pressi di Prato Carnico); era il 14 dicembre: nonostante la furiosa sparatoria e il lancio di bombe incendiarie da parte dei cosacchi, Gracco rifiutò la resa e non accettò di consegnarsi ai nemici; il suo cadavere, completamente bruciato, venne trovato poi all’interno del fienile dagli abitanti del posto. In onore del loro impegno partigiano, “Ferruccio e Pietro Roiatti” diventò la denominazione di una delle otto Divisioni garibaldine del Friuli. Dopo la Liberazione, a Cussignacco venne svolta una solenne cerimonia funebre per loro e per gli altri partigiani caduti del paese: presero la parola, fra gli altri, Vanni Padoan e Amerigo Clocchiatti. Pietro Roiatti è stato insignito di Medaglia d’argento al valoro militare.
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