L’attività di V. di Aymo “degli Equi” a Udine, documentata negli anni 1348 e 1349, segna per il patriarcato di Aquileia, negli ultimi anni del pontificato di Bertrando di Saint-Geniès (1334-1350), un momento di cruciale rilevanza per gli echi che essa ebbe nel cuore dell’Europa e per lo sviluppo della scuola pittorica friulana fino all’inizio del Quattrocento. Della sua attività precedente si hanno notizie a partire dal 1330: in quell’anno V. venne pagato per gli affreschi eseguiti nella cappella Odofredi in S. Francesco a Bologna. Nel 1331 è iscritto nella “Venticinquina” di Porta Stiera tra gli uomini abili a portare armi appartenenti alla parrocchia di S. Maria Maggiore di Bologna e, nel 1334, compare come testimone in due atti stipulati presso il convento dei francescani di Bologna. In base a questo dato, considerando che per poter fare il testimone si richiedevano almeno 25 anni di età, gli storici pongono la sua data di nascita intorno al 1309. I documenti bolognesi degli anni Trenta collegano la sua attività iniziale all’ordine francescano: a testimonianza delle opere eseguite per l’ordine è a noi pervenuto il Cenacolo dipinto nel refettorio della foresteria del convento di S. Francesco a Bologna completato nel 1340. Prima di tale affresco, oggi conservato nella Pinacoteca nazionale della città, sono attribuiti al maestro affreschi frammentari in S. Martino a Bologna; e forse proviene da S. Francesco anche l’affresco con la Madonna del ricamo oggi nella Pinacoteca nazionale della città. Al 1345, secondo la testimonianza del D’Agincourt (1835), che riportò la scritta (oggi non più leggibile) apposta in calce all’opera, va datata la tavola della Madonna dei Denti forse posta nell’oratorio di Mezzaratta. ... leggi Tale data, a parere della critica, può valere come riferimento per la decorazione a fresco della chiesetta (staccata e conservata nella Pinacoteca di Bologna) eseguita sotto la direzione di V. ma conclusa negli anni successivi alla sua morte. Sono gli anni delle quattro Storie di sant’Antonio Abate, già nella chiesa dedicata al Santo, annessa al collegio Montalto, esposte nella Pinacoteca nazionale di Bologna. Il successo conseguito e le numerose commissioni dovettero spingere V. a formare una bottega, «docile nello svolgere le sue invenzioni seppure incapace di riflettere fino in fondo il grado fantastico della sua immaginazione». È in questo momento (1348-1349) che si colloca il soggiorno udinese del maestro, seguito nel 1351 dall’attività nella basilica di S. Maria a Pomposa e, successivamente, dall’esecuzione del polittico per l’altare di San Thomas Beckett nella chiesa di S. Salvatore a Bologna (1353). L’ultimo importante ciclo di affreschi, del quale sussistono significativi vasti frammenti, venne eseguito nella chiesa bolognese di S. Maria dei Servi. Il pittore, ancora in vita il 4 giugno 1359, risulta defunto in un documento del 31 luglio del 1361 riguardante suo figlio. Il documento più antico relativo al soggiorno udinese di V. a noi pervenuto attesta la sua presenza, come testimone, nella chiesa di S. Francesco nel giugno 1348. L’esistenza di un lacerto di modesta estensione, parte di un perduto Compianto su Cristo deposto, sulla parete sud dell’aula della chiesa udinese avente caratteri stilistici vitaleschi, già riferito a un collaboratore del maestro, ha indotto ad ipotizzare un diretto intervento del pittore nella chiesa udinese. Con certezza apprendiamo dai documenti che V. operò nel duomo, alla decorazione della cappella maggiore e dell’adiacente cappella di S. Nicolò, amministrata dalla fraterna dei Fabbri e forse anche della cappella di S. Antonio, sul lato sud, ancora parzialmente esistente dietro l’organo “in cornu epistulae”. La prestigiosa commissione della decorazione dell’abside della chiesa principale della città, consacrata dal patriarca Bertrando nel 1336, venne conferita all’artista dal patriarca stesso, forse tramite i buoni uffici del suo collaboratore, il vescovo di Concordia Guido Guizzi (1318-1347), originario di Reggio Emilia e vescovo di Modena, fervente devoto di san Francesco e sostenitore dell’ordine francescano. Guido si fece inumare nella chiesa di S. Francesco di Udine, nella quale fino al 1945 poteva ammirarsi la sua lastra tombale, finemente scolpita, distrutta dai bombardamenti che danneggiarono gravemente la chiesa. Con ogni probabilità un “famulus” del patriarca, il “caniparius” Giovannolo, affiliato alla fraterna dei Fabbri, fu il tramite per l’incarico affidato a V. di decorare la cappella di S. Nicolò. Come di consueto il programma iconografico dell’ampio ciclo eseguito nell’abside fu fissato dalla committenza patriarcale che ebbe forse anche parte nell’indicazione dei temi scelti per la decorazione dell’adiacente cappella dei Fabbri. Il vasto lavoro compiuto da V. a Udine in un lasso di tempo assai breve venne reso possibile dalla organizzazione del lavoro del maestro bolognese che si serviva di una attrezzata bottega con collaboratori forse anche di provenienza locale: la presenza di aiuti è sempre stata notata dagli studiosi che si sono occupati delle superstiti testimonianze pittoriche udinesi del maestro bolognese. L’impresa compiuta da V. ebbe una risonanza enorme in Friuli, influenzando gran parte della pittura prodotta nella regione per almeno mezzo secolo. Tra gli echi più significativi va citata la decorazione dell’abside del duomo di Spilimbergo, vero e proprio calco del ciclo udinese di V., eseguito poco meno di dieci anni dopo, entro il 1358, forse da uno dei collaboratori del maestro (il “maestro dei Padiglioni”, termine coniato da Luigi Coletti nel 1931 o, secondo Maria Walcher, da Cristoforo da Bologna). Grazie al ciclo pittorico di Spilimbergo, assai abraso ma ancora leggibile nella sua interezza, è possibile ricostruire il programma degli affreschi della cappella maggiore del duomo di Udine. Un utile, anche se non verificabile, apporto allo studio del perduto capolavoro udinese di V. è fornito dalle testimonianze scritte, più tarde (XVI-XVII secolo), ma precedenti la riforma barocca del duomo e la conseguente scomparsa degli affreschi di V. Giacomo Valvasone di Maniago (XVI secolo) e Giovanni Francesco Palladio degli Olivi (1660) tacciono il nome dell’autore ma tramandano particolari relativi ai soggetti raffigurati, legati alla committenza. In particolare il Valvasone di Maniago ricorda nella cappella di S. Nicolò il ritratto di Giovanni da Imola insieme a quelli di Dante e di Giovanni Boccaccio. Lo stesso autore, dopo aver ricordato (sulla base della celebre lettera del patriarca Bertrando al decano Guglielmo) l’impegno profuso dal patriarca per decorare la cappella maggiore del duomo, afferma che nel ciclo che decorava l’abside era stato inserito il ritratto di Bertrando insieme a quello di Francesco Savorgnano marchese dell’Istria. Secondo il Valvasone erano state anche ritratte «le due figliuole di Gerardo di Cucagna», sposate l’una a Ricciardo il Vecchio da Camino e l’altra ad un Savorgnan. Palladio degli Olivi ripete sostanzialmente le notizie del Valvasone citando però (al posto del Boccaccio) il Petrarca accanto a Dante. Ancora più complessa la versione fornita nel XVII secolo da Guido Panciroli che individuava nella cappella di S. Nicolò le immagini di Petrarca, Boccaccio, Guido Cavalcanti e Cino da Pistoia. La riscoperta degli affreschi eseguiti da V. e dalla sua organizzata bottega, avvenne a tappe lente nel corso del Novecento. I primi ad essere ritrovati furono gli affreschi della cappella di S. Nicolò: nel 1911 si scoprivano i Funerali di san Nicolò (dipinti in alto nella lunetta alla base della volta), rimasti occultati a seguito della costruzione di un soppalco, ma mai scialbati. Inizialmente la scena venne interpretata come i Funerali del beato Bertrando ma la corretta interpretazione iconografica venne ben presto imposta dalla scoperta di altri lacerti, chiaramente legati al culto del santo titolare della cappella. Il recupero totale della frammentaria decorazione fu realizzato solo coi restauri degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento. I lavori contemplarono anche la ricostruzione delle vele della volta e della parete nord della cappella: venne restituita la dimensione degli invasi originari, alterati dopo la trasformazione barocca del duomo con la fusione in un solo ambiente delle due cappelle nord del transetto. Sulla parete sud, oltre ai funerali del santo, vennero posti in luce episodi relativi a miracoli compiuti dal santo di Mira dopo la sua morte: san Nicola salva il fanciullo caduto dalla barca, il santo resuscita i tre fanciulli messi dall’oste malvagio in salamoia, e salva l’ebreo spergiuro. In quest’ultima scena le frammentarie figure di due astanti al miracolo presentano effettivamente somiglianze con i tradizionali ritratti di Dante e Petrarca. Sulla parete di fondo, nel registro sottostante una frammentaria Pentecoste (?), riapparve la ieratica figura di san Nicolò in trono affiancato dalle figure di giovane santo martire identificabile con san Fortunato e di un santo vescovo identificabile con sant’Ermagora. Nel registro sottostante vennero messe in luce le due figure di san Cristoforo e san Girolamo. Solo nel 1969-1970 furono ritrovati, in occasione dei lavori condotti nell’abside del duomo di Udine, protetti dagli stalli del coro secentesco, frammenti del vasto ciclo eseguito dal maestro bolognese nella cappella maggiore. Dell’ampia impresa sussistevano (sui due lati lunghi) solo la zoccolatura a finto marmo e il soprastante primo registro con tre episodi del Vecchio Testamento (Giuditta e Oloferne, Susanna e i Vecchioni, il Ritorno di Tobiolo e Sara) e tre episodi del Nuovo Testamento (Cattura di Cristo, Flagellazione, Salita al Calvario). Purtroppo le scene risultavano danneggiate nella zona alta, con perdita irreparabile di molte teste delle figure. Nonostante ciò la qualità della pittura è tale da permettere un discorso critico sull’intervento del maestro che con ogni probabilità lasciò la sua firma proprio al di sotto del comparto con la Flagellazione, dove ancora si legge la frammentaria scritta …D]E BONONIA FEC[IT, che rappresenta un apice di drammaticità e di poesia non inferiore a quelli toccati nei più noti cicli bolognesi, come quello della chiesa di Mezzaratta. La paternità vitalesca dei frammenti ritrovati nella cappella maggiore del duomo udinese venne riconosciuta solo nel 1975 dagli studi di Serena Skerl Del Conte. La perfetta concordanza dei temi delle sei storie bibliche superstiti con quelli del ciclo di affreschi del duomo di Spilimbergo conforta nell’ipotesi, ormai comunemente accettata, che sulla parete sud fossero dipinte quattordici storie del Vecchio Testamento e altrettante del Nuovo Testamento sul lato nord. Il ciclo comprendeva, sulla parete destra, la Creazione di Eva, la Cacciata dal Paradiso, I Progenitori al lavoro, l’Uccisione di Abele, Lamech uccide Caino, Noè costruisce l’arca, il Sacrificio di Isacco, Gli Ebrei nel deserto, la Caduta di Gerico, David e Golia, la Morte di Assalonne, Tobiolo e Sara fanno ritorno in da Tobia, Susanna e i vecchioni, Giuditta e Oloferne; sulla parete sinistra, la Nascita di Cristo, l’Adorazione dei Magi, la Presentazione al Tempio, la Fuga in Egitto col miracolo della palma, la Strage degli innocenti, la Disputa nel Tempio fra i dottori, le Nozze di Cana, Cristo scaccia i mercanti dal Tempio, la Trasfigurazione, l’Entrata in Gerusalemme, l’Orazione nell’orto degli ulivi, la Cattura di Cristo, la Flagellazione, la Salita al Calvario. Sulla parete di fondo, tra le due finestre, doveva esservi una grande Crocifissione sormontata dall’Incoronazione della Vergine. Su tale parete, nel duomo di Spilimbergo, compaiono anche l’Annunciazione e due figure di santi Vescovi. È probabile che fossero su questa parete i ritratti di Bertrando e del marchese dell’Istria citati dal Valvasone di Maniago e dal Palladio degli Olivi. Sulle vele della volta infine dovevano essere rappresentati, come ancora si constata a Spilimbergo, i Padri della Chiesa e gli Evangelisti. V., coi suoi collaboratori, dipinse, con ogni probabilità, anche nella cappella di S. Antonio dove si conserva una grandiosa Annunciazione e un frammento di Crocifissione. Restano da approfondire i contatti intercorsi tra V. e la raffinata corte del patriarca francese Bertrando di Saint-Geniès. Come ha dimostrato Todini, un’opera di Matteo Giovannetti era stata eseguita per un dignitario della corte patriarcale e si trovava nella città friulana quando vi giunse V. L’attività del grande maestro bolognese oltre a rappresentare un punto di riferimento per lo sviluppo della pittura friulana di soggetto sacro nella seconda metà del Trecento, fu anche elemento di stimolo per lo sviluppo di un filone di pittura di soggetto profano, già in sintonia con gli sviluppi della fase “internazionale” della pittura gotica, che sembra aver avuto un certo seguito nella regione, come dimostrano gli affreschi riemersi dopo i bombardamenti del 1945 in casa Perusini in via Savorgnana (conservati nei Civici musei di Udine) con eleganti raffigurazioni dei mesi, forse esemplate su analoghe rappresentazioni eseguite negli spazi abitati dalla corte del patriarca.
ChiudiBibliografia
Sull’attività udinese del pittore JOPPI, Notariorum, XII, f. 65.
Per l’intera attività di Vitale: R. GIBBS, Vitale da Bologna, in The Dictionary of Art (Grove), London, 1996, 32, 624-626; D. BENATI, Vitale da Bologna, in Enciclopedia dell’arte medievale, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 2000, XI, 699-705. JOPPI, Contributo quarto, 7; R. LONGHI, La questione bolognese negli affreschi del Camposanto di Pisa, conferenza tenuta nel maggio 1931 al Kunsthistorisches Institut di Firenze, in ID., Lavori in Valpadana, dal Trecento al primo Cinquecento, Firenze, 1973, 215-216; L. COLETTI, Il Maestro dei Padiglioni, in Miscellanea in onore di J. B. Supino, Firenze, Olschki, 1933, 211-228 (alle 226-227 la trascrizione dei pagamenti a Vitale per gli affreschi della cappella di S. Nicolò, dal perduto codice citato da Joppi); C. GNUDI, Vitale da Bologna, Bologna, Cassa di Risparmio, 1962, 9-10, 41-48; A. RIZZI, Nuovi affreschi di Vitale a Udine, «Arte antica e moderna», 19 (1962), 261-266; E. BELLUNO, Udine, Duomo, «Bollettino d’Arte del Ministero della pubblica istruzione», III-IV (luglio-dicembre 1966), 198-199; L. VERTOVA, Testimonianze frammentarie di Matteo da Viterbo, in Festschrift Ulrich Middeldorf, Berlin, Gruyter, 1968, 46-49; C. SOMEDA DE MARCO, Duomo, 387-392, 475-481; F. ZULIANI, Lineamenti della pittura trecentesca in Friuli, in I convegno internazionale di storia dell’arte sul tema: “La pittura trecentesca in Friuli e i rapporti con la cultura figurativa delle regioni confinanti” (Udine, 1970), Udine, AGF, 1970, 9-38; RIZZI, Profilo, 63-67; S. SKERL DEL CONTE, Vitale da Bologna e il duomo di Udine: un’ipotesi alternativa, «Arte in Friuli Arte a Trieste», 1 (1975), 15-34; F. FLORES D’ARCAIS, Affreschi trecenteschi del duomo di Udine, «Arte veneta», 32 (1978), 24-30; M. WALCHER CASOTTI, Gli affreschi del duomo di Spilimbergo e il problema di Cristoforo da Bologna, «Arte in Friuli Arte a Trieste», 4 (1980), 33-47; S. SKERL DEL CONTE, Nuove proposte per l’attività di Vitale da Bologna e la sua bottega, «Arte veneta», 41 (1987), 9-19; F. TODINI, Due note su Matteo Giovannetti, «Arte Documento», 2 (1988), 56-57; E. TABIADON, La chiesa e il convento di San Francesco di Udine nei secoli XIII e XIV. Introduzione storica e documenti, t. ... leggil., Università degli studi di Trieste, a.a. 1988-1989; P. CASADIO, Vitale da Bologna a Udine, in Itinerari di Vitale da Bologna. Affreschi a Udine e Pomposa, Bologna, Nuova Alfa Editoriale; 1990, 49-78; C. SANTINI, Itinerari di Vitale: Udine e Pomposa, recensione alla mostra, «Arte cristiana», 744 (1991), 221-222; F. ZULIANI, La pittura del Trecento in Friuli, in In domo habitationis. L’arredo in Friuli nel tardo Medioevo, a cura di G. FIACCADORI - M. GRATTONI D ’ARCANO, Venezia, Marsilio, 1996, 27-37.
Nessun commento