U. proveniva dalla casata degli Eppenstein. Era figlio del conte Marquardo e della moglie Liutbirg. Il matrimonio dei genitori è da fissare al più tardi nel periodo intorno al 1050, perché intorno al 1065 i due coniugi avevano già dei figli grandi. Poiché U. è descritto come “iuvenis” nel 1077, data della sua elevazione ad abate di S. Gallo ed egli stesso, verisimilmente non molto prima della sua morte nel 1121, si definì «iam in senectute positus», la sua nascita dovrebbe collocarsi non molto tempo dopo la metà del secolo XI. Marquardo, padre di U., era a sua volta figlio di Adalberone che nel 1035 era stato deposto dal ducato di Carinzia e che era morto nel 1039. Probabilmente per via di Beatrice (Brigida nelle fonti di Rosazzo), madre di Marquardo, U. poteva essere definito parente di Enrico IV. In effetti Beatrice non è identificata nella omonima figlia dell’imperatore Corrado II, ma in lei si vede generalmente la sorella dell’imperatrice Gisella e una delle figlie del duca Ermanno II di Svevia e di Gerberga di Borgogna. L’origine della madre di U. è incerta, essa è stata a torto ritenuta una figlia dell’imperatore Enrico IV. Nel 1077 re Enrico IV elevò U., suo giovane parente, abate del monastero di S. Gallo, oggi in Svizzera (Ulrico III abate di S. Gallo). La parentela con il sovrano fu sottolineata in quest’occasione da amici e nemici (rispettivamente con “cognatum” e “consanguineum”). Era stata in sommo grado una nomina politica. Nello stesso anno il rivale di Enrico IV, Rodolfo di Svevia, aveva provveduto a elevare ad abate di S. Gallo il monaco Lutoldo, della famiglia dei Nellenburg, mentre U. aveva l’appoggio dei monaci schierati dalla parte di Enrico. U. ebbe la meglio e il suo avversario Lutoldo dovette fuggire nel monastero di Reichenau, dove era abate il fratello Eccardo. ... leggi Costui interruppe tuttavia la sua campagna contro S. Gallo prima che si giungesse ad una azione militare. Nell’elevazione di U. ad abate non era in gioco solo il monastero di S. Gallo. Enrico IV aveva approfittato abilmente della concorrenza tra le dinastie importanti della Germania del sud. In marzo, o all’inizio dell’aprile del 1077, re Enrico IV aveva deposto il duca di Carinzia Bertoldo di Zähringen e aveva affidato il ducato reso vacante a Liutoldo, fratello di U. Gli Eppenstein erano così di nuovo rientrati nella carica persa nel 1035 e in ultimo occupata da Bertoldo di Zähringen; era tuttavia nell’interesse del regno impedire anche una eccessiva concentrazione di potere nelle mani degli alleati. Come ricompensa per l’insediamento nel ducato di Carinzia, Enrico IV ottenne forse da Liutoldo il consenso per conferire la contea del Friuli al patriarca di Aquileia Sigeardo. Era da prevedere che Bertoldo di Zähringen, deposto, avrebbe opposto resistenza e così la fedeltà degli Eppenstein verso l’imperatore si sarebbe rafforzata. Non servì a U. che Bertoldo di Zähringen morisse già l’anno successivo, perché il figlio Bertoldo II ereditò il titolo ducale; per questo U. era tra gli Eppenstein l’avversario più facilmente raggiungibile e così egli diresse contro costui i suoi attacchi. A S. Gallo si conosceva l’opinione di Bertoldo, secondo la quale egli era stato privato con il consenso del re del ducato di Carinzia da Liutoldo fratello di U., e sempre con il volere del re anche della marca d’Istria dall’altro fratello Enrico, più tardi Enrico III duca di Carinzia. U. per il ducato di Carinzia dovette affrontare contemporaneamente il partito gregoriano e gli Zähringen, avversari della sua famiglia. Nel 1079 Eccardo, abate di Reichenau, durante un viaggio a Roma al servizio di Rodolfo di Svevia cadde prigioniero e fu dato per morto per qualche tempo; U. sfruttò il momento favorevole, occupando con la forza l’isola di Reichenau e facendosi nominare abate dell’omonimo monastero. Costruì fortezze tutto intorno all’abbazia di S. Gallo e fece guerra in un raggio ancora più ampio su entrambe le rive del lago di Costanza e del Reno, con alterno successo. Il monastero perse temporaneamente le entrate dei suoi beni e dovette cedere patrimoni notevoli dal tesoro della chiesa per il sostentamento dei monaci. Al ritorno l’abate Eccardo allontanò di nuovo U. da Reichenau e tentò a sua volta e ripetutamente di riconquistare S. Gallo per il fratello Lutoldo. Nel 1085 U. ottenne un grande successo con la conquista della importante fortezza di Hohentwiel; ma l’anno successivo il partito avversario era diventato ancora più forte: Ghepardo fratello di Bertoldo di Zähringen, era diventato vescovo di Costanza. L’esercito di Bertoldo riuscì anche ad impadronirsi di S. Gallo e U. dovette fuggire. Il vescovo Ghepardo dichiarò deposto U. e fece in modo che Ermanno di Salm, succeduto a Rodolfo, insediasse un Werinhar come abate di S. Gallo. Werinhar non ottenne però alcun seguito a S. Gallo e le truppe di U. lo scalzarono violentemente dal castello di Rachenstein, nella regione di Appenzell. Si deve dubitare che U. durante tutti questi conflitti sia andato effettivamente in Aquitania e abbia portato le reliquie di santa Fede come segno di vittoria. Nel 1086, forse in aprile, U. fu nominato patriarca di Aquileia da Enrico IV, dopo che questi l’anno prima aveva insediato Ermanno fratello di U. come suo vescovo di Passau. L’imperatore poteva così contare su un suo fedele alleato in questa sede vescovile. Gli Eppenstein, con il padre Marquardo e il nonno Adalberone erano già presenti in Alta Italia ed avevano molti possedimenti in Friuli. Diversamente la donazione di Marquardo a Rosazzo non avrebbe potuto essere così ricca. L’avvocazia esercitata da Marquardo sul patriarcato di Aquileia era probabilmente passata immediatamente al figlio Enrico, uno dei fratelli di U., come si può dedurre dal cosiddetto documento di fondazione del monastero di Moggio. Se nel conferimento del ducato di Carinzia a Liutoldo di Eppenstein nel 1077 non si era potuto già ristabilire il pieno potere di cui Adalberone aveva goduto fino al 1035, l’unione del patriarcato e dell’avvocazia relativa nelle mani di due altri fratelli Eppenstein doveva essere per loro un obiettivo molto auspicato. U. poté mantenere accanto al patriarcato anche il monastero di S. Gallo, di cui rimase abate fino alla morte. U. ricevette probabilmente il pallio dall’antipapa Clemente III. Nel 1093 quale patriarca ottenne dall’imperatore Enrico IV la restituzione della Carniola, che poco dopo gli fu di nuovo tolta e quasi contemporaneamente ottenne anche le regalie sul vescovado di Pola, così da riunire tutti i vescovadi istriani nelle mani del patriarca di Aquileia. Il giorno della restituzione della Carniola, l’imperatore Enrico IV a S. Gallo gli consegnò la “villa” di Daugendorf, nel Baden-Württemberg, che era stata posseduta dal fratello Enrico. La località che era probabilmente uno di quegli “oggetti di scambio” ai quali Enrico aveva dovuto rinunciare per il titolo ducale di Carinzia, con il passaggio a U. rimaneva ancora in un certo modo a disposizione della famiglia. Questo è l’unico documento di S. Gallo che parli di U. Nessun’altra fonte come la Continuatio casuum sancti Galli fornisce su U. abate di S. Gallo in particolare così tante notizie. Paradossalmente nessun patriarca, a parte Rodoaldo e Poppone, produsse tanti atti giuridici quanti lui. Tuttavia, alla pari dei due patriarchi ricordati, la tradizione dei documenti di U. è stata contaminata in modo massiccio da rifacimenti e falsificazioni. U. ricevette favori e concessioni non solo dall’imperatore, ma anche da altri, in particolare in Istria: così ad esempio nel 1101 e nel 1102 da Ulrico, figlio dell’omonimo margravio d’Istria, e dal proprio fratello Enrico. Quando costui rinunciò all’avvocazia sul patriarcato, U. la poté conferire al nuovo avvocato con poteri minori rispetto a quelli fino ad allora esercitati. Nei secoli successivi si fece continuamente riferimento a questo documento, in particolare da parte del capitolo aquileiese che nel 1195 ne fece incidere il testo in una stele romana tuttora visibile davanti al portale principale della basilica di Aquileia. U. si impegnò sulla scena del lago di Costanza anche da patriarca. Nel 1092 cacciò da Costanza il vescovo Ghepardo insediandovi al suo posto un monaco di S. Gallo di nome Arnoldo per il quale ottenne l’investitura anche da parte dell’imperatore. Ma il successo di U. non fu duraturo: egli dovette presto ripiegare ingloriosamente accontentando i suoi sostenitori altrove, parte a S. Gallo, parte nel patriarcato. Nel 1097 però U. appoggiò Welf VI, questa volta con successo, nel conflitto per l’eredità del margravio Azzo d’Este contro gli avversari del papa. U. si espose politicamente soprattutto nel 1111, quando Enrico V fece prigioniero papa Pasquale II e lo diede in custodia a lui. Nella sua attività aquileiese U. non fondò nel senso stretto della parola alcun monastero, ma fu molto coinvolto nella nascita e nel rinnovamento di quattro istituzioni ecclesiastiche relativamente importanti. Alla nuova fondazione di Rosazzo, già beneficata dal padre Marquardo, donò tra l’altro la chiesa di S. Andrea fuori delle mura di Capodistria, che faceva parte del suo patrimonio ereditario; introdusse a Rosazzo la regola benedettina al posto di quella canonica di S. Agostino e chiamò, secondo la tradizione, i primi monaci da Millstatt. La stessa tradizione monastica sottolinea come U. avesse introdotto questo provvedimento in ossequio alla regola benedettina che lui aveva abbracciato. Con i beni lasciati in eredità da un conte Cacellino della stirpe degli Ariboni istituì l’abbazia di Eberndorf in Carinzia, a sud di Völkermarkt e il monastero di Moggio nel Canale del Ferro. Il documento di fondazione di Eberndorf che dal punto di vista formale è un falso essendo stato rifatto nel XIII secolo, è datato nel 1106. Il sigillo appesovi, che doveva originariamente essere impresso e non pendente come oggi, è il più antico che si conservi di un patriarca di Aquileia. Il documento di donazione per il monastero di Moggio, datato 1072, è anch’esso un falso dal punto di vista formale; tuttavia attraverso le notizie di dedicazione della chiesa si può affermare con certezza che il monastero fu consacrato nel 1119 alla presenza del patriarca. Non è detto però che tutte le donazioni successive che secondo il documento, avrebbero ampliato la donazione originaria di Cacellino, provengano tutte realmente dal patriarca. Almeno una parte di esse potrebbe essere stata attribuita a lui come donatore unico solo in età posteriore, come si ricava da altri documenti di fondazione confezionati in seguito. L’intitolazione del monastero di Moggio a san Gallo risale evidentemente all’ufficio di abate di U. a S. Gallo, come anche il recupero delle reliquie di sant’Otmaro sull’altare principale della chiesa abbaziale. È solo una tradizione più tarda che anche i primi monaci siano venuti da S. Gallo. Intorno al 1113 U. rifondò la chiesa rovinata di S. Giovanni in Tuba (di Duino, sul Carso) e la consegnò come cella, con i relativi possedimenti, al monastero della Beligna presso Aquileia come avevano fatto già i suoi predecessori Enrico e Federico II. La cella doveva permettere ai monaci della Beligna di sfuggire al clima malsano del loro monastero; alcuni di essi dovevano celebrarvi messa stabilmente. La datazione di questo avvenimento rimane un problema: a tal proposito possono essere presi in considerazione tutt’al più gli anni intorno al 1113, anche e soprattutto perché un’epigrafe di consacrazione nella chiesa di S. Giovanni in Tuba non permette di retrodatare l’avvenimento. Anche questa epigrafe di consacrazione esalta i meriti di U. nei riguardi della chiesa citata. Non molto prima di morire, “iam in senectute positus”, U. confermò la donazione all’abbazia della Beligna aggiungendovi tra l’altro la parrocchia di Marcelliana, nell’attuale Monfalcone. Nel 1136 U. è indicato come fondatore di due ospedali, a Chiusaforte e ad Aquileia. U. favorì anche altri istituti religiosi, come le benedettine del convento di S. Maria di Aquileia. Morì il 13 dicembre 1121 (poiché le registrazioni del necrologio non concordano del tutto, la data è talvolta stata ritenuta incerta). L’incompleta registrazione del Necrologio aquileiese fa ritenere che U. sia stato sepolto ad Aquileia. La famiglia degli Eppenstein si estinse il 4 dicembre 1122 con la morte di Enrico duca di Carinzia e fratello di U. L’attività di U. come abate di S. Gallo e come patriarca di Aquileia (1077-1121) coincide in modo molto preciso con il periodo della cosiddetta lotta per le investiture.
ChiudiBibliografia
P. PASCHINI, Vicende del Friuli durante il dominio della casa imperiale di Franconia, «MSF», 9 (1913), 277-291, 333-353 (vengono citate solo le pagine pertinenti); E. KLEBEL, Zur Geschichte der Patriarchen von Aquileja, Carinthia I, 143 (1953), 326-352; O. FEGER, Geschichte des Bodenseeraumes, I-II, Lindau e Konstanz, Jan Thorbecke, 1958, in particolare 34-36, 43-46; K.-E. KLAAR, Die Herrschaft der Eppensteiner in Kärnten, Klagenfurt, Geschichtsverein für Kärnten, 1966 (Archiv für vaterländische Geschichte und Topographie, 61); G. CUSCITO, L’epigrafe metrica del patriarca Vodolrico I di Eppenstein (1086-1121) a San Giovanni del Timavo, in Studi monfalconesi e duinati, Udine, Arti grafiche friulane, 1976 (Antichità altoadriatiche, 10), 77-95; J. DUFT - A. GÖSSI - W. VOGLER, Die Abtei St. Gallen. Abriss der Geschichte. Kurzbiographien der Äbte. Das stift-sanktgallische Offizialat, St. Gallen, Stiftsarchiv St. Gallen, 1986, in particolare 34-35, 121-122; R. HÄRTEL, Le fonti diplomatiche e la fondazione dell’Abbazia di Moggio, in Le origini dell’abbazia di Moggio e i suoi rapporti con l’abbazia svizzera di San Gallo. Atti del convegno internazionale (Moggio, 5 dicembre 1992), Udine, Deputazione di storia patria per il Friuli, 1994 (Pubblicazioni della Deputazione di storia patria per il Friuli, 21), 17-44; W. VOGLER, Ulrico di Eppenstein e l’abbazia di San Gallo di Moggio, Ibid., 45-64; G. GÄNSER, Die Mark als Weg zur Macht am Beispiel der “Eppensteiner”, parte 1, «Zeitschrift des Historischen Vereines für Steiermark», 83 (1992), 83-125; parte 2, Ibid., 85 (1994), 73-122 (quadro generale della politica della casa degli Eppenstein); R. HÄRTEL, Le fonti dell’abbazia di Rosazzo e i conti di Gorizia, in Da Ottone III a Massimiliano I. Gorizia e i conti di Gorizia nel Medioevo, a cura di S. CAVAZZA, Mariano del Friuli, Edizioni della Laguna, 2004 (Storia goriziana e regionale, 4), 137-203.
Nessun commento