S. T. nacque attorno al 1548 da Leonardo, notaio in Udine e cancelliere di Belgrado, e da Maria di Vincenzo Porcia, appartenente ad un ramo diverso rispetto a quello comitale. All’età di quattordici anni iniziò gli studi di legge a Padova e, nemmeno diciottenne, alla presenza dei rettori Giovan Battista Contarini e Augusto Barbarigo propose e discusse centotrenta quesiti di materia legale. Nel maggio del 1566 conseguì la laurea, per poi rientrare a Udine e porsi al servizio dell’avvocato fiscale Antonio Emiliano. Secondo il del Torso, anche se la notizia non ha trovato ulteriori conferme, sposò Francesca di Enrico di Zucco, dalla quale comunque non ebbe figli. Alla morte dell’Emiliano, gli subentrò nella carica con uno stipendio di 100 ducati «non mai dato ad altri» e svolse per decenni il carico di difesa della Contadinanza friulana. L’intensa attività legale, esercitata nel foro di Udine, dove secondo la sua stessa testimonianza trattò «le cause più gravi, et importanti, civilli, et criminali con molto utile, et con lode universale», non gli impedì di impegnarsi attivamente anche nel governo del capoluogo udinese. Poco più che ventenne, il T. assunse infatti, oltre al ruolo di giudice civile e di censore, tutta una serie di cariche in ambito sia cittadino sia nel più ampio contesto della Patria del Friuli: nel 1571 venne nominato tra gli astanti, insieme con Arsenio Soardo, Antonio Belgrado e Giambattista Maniaco; l’anno successivo, affiancato da Roncadin Deciani e Geronimo Emiliano, era “giudice de pupilli”; nel 1575 entrò a far parte del Maggior consiglio della città di Udine in qualità di consigliere nobile ordinario perpetuo; successivamente, nel 1579, figurava tra i contradicenti, insieme con il dottor Nicolò de Cauriglio e ad Antonio Misson, e tra i provveditori alla sanità, affiancato dal dottor Flaminio de Rossi e da Paolo Belloni; mentre tra il 1589 e il 1593 il suo nome risulta costantemente fra quello dei deputati della giunta. ... leggi Al 1593 risale anche la sua nomina a rappresentante della città di Udine nelle trattative con i rettori giunti nella Patria per valutare la delicata scelta circa l’erezione della fortezza di Palma, che era di interesse per la difesa dell’intero territorio. Dietro sua proposta, il Maggior consiglio decise di stanziare l’ingente somma di 36.000 ducati di cui 12.000 sarebbero stati versati subito, mentre i restanti 24.000 sarebbero stati pagati nell’arco dei dodici anni successivi. Il discorso pronunciato in tale occasione, davanti a Marcantonio Barbaro, Giacomo Foscarini, Marino Grimani, Leonardo Donà e Zaccaria Contarini, venne successivamente dato alle stampe con il titolo Oratione dell’eccellentissimo signor Servilio Treo uno degl’illustrissimi signori sette deputati della molto illustre città di Udine, fatta a gl’illustrissimi et eccellentissimi signori proveditori sopra la nova città nomata Palma (Venezia, 1594). Dopo aver esercitato l’avvocatura senza interruzioni per ventisette anni consecutivi, nel 1594 venne designato vicario di Stefano Viaro, a sua volta nominato podestà di Treviso; stesso incarico che mantenne anche sotto la guida del podestà seguente, Daniele Dolfin. Negli anni successivi, ricoprì per alcuni mesi la medesima posizione a Vicenza, con podestà Benedetto Corner, per poi passare giudice al maleficio in Padova, con il governo di Giovanni Corner. Il succedersi delle nomine a diversi vicariati e assessorati della terraferma lo portò successivamente a Verona, dove ebbe come podestà Almorò Zane, poi a Brescia, come vicario di Pietro Morosini e del suo successore Leonardo Mocenigo, infine a Treviso, sotto la guida di Alvise Moro, per poi tornare a Vicenza, sempre in qualità di vicario, molto probabilmente dietro richiesta diretta del podestà Antonio Marcello. Sono più o meno gli stessi anni che lo vedono attivo, nonostante gli impegni esterni alla Patria del Friuli, in alcune posizioni di rilievo nella città di Udine: dapprima nel 1602 come provveditore alla sanità, “oratore a Palma” ed esattore dei livelli, e successivamente, nel 1606, nella veste di astante e di “soprastante al peso de le galette”. Incarichi in Patria e in terraferma che non abbandonò completamente nemmeno quando, in seguito alla morte di Erasmo Graziani, il 27 febbraio 1610 venne nominato consultore in iure, per la quale carica dovette trasferirsi a Venezia, limitando l’assunzione degli eventuali assessorati solo alle città più vicine alla dominante. In breve tempo, anche nella nuova veste di consultore, e particolarmente di esperto feudista, riuscì ad affermarsi come stimato consigliere ed eccellente giureconsulto, in linea con quanto aveva scritto di lui alcuni anni prima Bartolomeo Burchelati, medico, filosofo e letterato, nel volume intitolato Le opinioni, ragionamento havuto dal curioso academico cospirante registrato dall’eccellen. sig. Bartholomeo Burchelati fisico (Treviso, 1600), dedicato proprio al T. A conferma del suo ottimo operato, il friulano ricevette ben presto la carica onorifica di cavaliere, una collana d’oro del valore di duecento scudi assegnatagli per decreto del senato ed un atteso aumento salariale, probabilmente concessogli anche in seguito alle sue stesse richieste. Pochi anni dopo il suo insediamento a Venezia, il T. aveva infatti più volte sottolineato, come «mentre fossi nel vicariato di Vicenza fui eletto ala carica di consultore in iure, col gravissimo peso di star continuamente in questa città col stipendio di soli ducati trecento, minore assai di quello, che danno le città, et i castelli commodi di questo ser[enissi]mo stato alli suoi nuncij, oltre diversi commodi, che sogliono ogni anno darli»; e dunque aveva accettato l’incarico solo per dar «testimonio della mia devotione, et fede verso questa serenissima Repubblica, alla quale nascendo suddito, et servo consacrai il mio spirito, et la vita stessa, benché fossi certo di dover spender del mio ducati 500 all’anno, oltre lo lasciare ogni cosa mia al governo d’altri, et di perder anco mille, et più ducati ogn’anno d’altri miei ordinarii, et civili comodi». Nel ruolo di consultore affiancò Paolo Sarpi, apportando al lavoro comune solidità di sapere giuridico, conoscenze approfondite dei testi e degli autori sui quali si poggiava la loro attività consulente. Talvolta manifestò posizioni in contrasto o opposte a quelle del servita, come nell’accesa disputa politica e giuridica in corso tra Venezia e il patriarcato di Aquileia, riguardante numerose questioni e vertenze, come per esempio quella che vedeva coinvolta la comunità di San Daniele (per la quale vennero chiamati in causa, a fianco del Sarpi e del T., anche il veronese Agostino Del Bene e il giurista padovano Marcantonio Pellegrini) e che prendeva in considerazione la sovranità patriarcale (religiosa, ma anche amministrativa e giudiziaria) sulla cittadina ed il territorio annesso. Una diatriba solo apparentemente territoriale, come un’altra successiva e molto simile che coinvolgeva i feudatari e la comunità di San Vito al Tagliamento, per la quale vennero interpellati ancora una volta il Sarpi e T.: esse si inserivano in un contesto più ampio di contrapposizione tra il patriarca e la Serenissima, e tra quest’ultima e il papato circa aspetti giurisdizionali e diritti ecclesiastici in territorio veneto. Come ha ben sottolineato Claudio Povolo, il T., «che come il Graziani, aveva svolto ripetutamente l’attività di assessore in alcune importanti corti di terraferma», affiancò costantemente Paolo Sarpi nell’attività consulente occupandosi «agli inizi del secondo decennio del Seicento di temi di notevole rilevanza politica come le legittimazioni e la creazione dei notai: temi che esprimevano al massimo grado il ruolo sovrano delle magistrature repubblicane e, soprattutto, del diritto che le ispirava» (Ripensando Paolo Sarpi, 414). Numerosi furono i consigli redatti dal T. nella veste di consultore, molti dei quali stilati in collaborazione con gli altri colleghi, conservati in buona parte presso l’Archivio di stato di Venezia e solo parzialmente editi. Fra le diverse tematiche in essi trattate si segnalano, solamente a titolo d’esempio, diatribe tra giurisdizioni ecclesiastiche e civili, vertenze confinarie tra casa d’Austria e Repubblica veneta, rivendicazioni giurisdizionali avanzate dalle città e comunità in contrapposizione alle prerogative ecclesiastiche, approvazione di alcuni statuti cittadini o comunitari (per esempio quelli redatti dagli abitanti della Valcamonica). Tra le carte manoscritte figurano anche numerosi appunti privati, relazioni su questioni circoscritte (per esempio sulla «compagnia della S[antissi]ma Croce di Brescia» o sulle frequenti controversie tra parrocchiani e patriarca per l’elezione di diversi parroci), sommari di questioni giurisdizionali e diversi altri documenti, come l’importante volume/sommario corredato di indici per titoli e per materia redatto dal T., poco dopo la sua nomina a consultore, in collaborazione col Sarpi, volume che raccoglie in ordine cronologico numerosi consulti e pareri giuridici redatti da essi e da diversi altri consultori. Tra i molti problemi e le numerose questioni presi in esame ne ricordiamo uno: nel 1615 venne richiesta la consulenza di Paolo Sarpi e dello stesso T. sull’imposizione della professione di fede agli studenti stranieri dell’Università di Padova. Un tema, quello dell’istruzione dei giovani, che rimase sempre molto caro al T., tanto da costituire il nucleo della Lettera di copioso discorso scritta alli clariss. sig. Giacomo, et Angiolo Marcelli dell’illustriss. sig. Antonio podestà dignissimo di Vicenza dal molto illustre et eccellentissimo signor Servilio Treo giureconsulto di Udine suo vicario (Treviso, 1610), nella quale, prendendo spunto da una lettera di Erasmo di Valvasone al nipote Cesare allora quattordicenne, cresciuto nelle lettere e nelle arti, il T. sottolinea l’importanza dello studio delle lettere classiche e del volgare, della filosofia e della retorica, della storia e della cura e “gagliardia” del corpo. Morì a Venezia nel 1622 e venne sepolto nella chiesa di S. Giuliano. Alcuni mesi prima del suo decesso, a testimonianza di quanto il suo apporto consultivo fosse fondamentale per il governo della Repubblica e dell’importanza dei documenti redatti dal giureconsulto, venne dato incarico a un segretario di recuperare le scritture di carattere pubblico che il T. aveva con sé, onde poterle riportare nella Dominante.
Un secondo Servilio Treo, con ogni probabilità distinto rispetto al T. consultore, compare nel 1617 come “sopraveditore del fontico”, nel 1619 come “giurato di Comun” e nel 1622 nella carica di “presidente alla stanga dei panni” della città di Udine; non recando con sé il titolo di dottore, va considerato molto probabilmente come un omonimo attivo a Udine nel corso della prima metà del Seicento.
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