Nacque a Udine nel 1584 da Girolamo e Sofonisba Percoto. Studiò grammatica a Udine, come ricorda il Liruti, sotto la guida di Marco Erminio e dei Cilleni, per poi completare gli studi di belle lettere e matematica a Padova. Nel 1606 fu tra i fondatori dell’Accademia degli Sventati, che ospitò nel suo palazzo di borgo Grazzano (ora piazza Garibaldi), costruito nel 1577 dal nonno Daniele, fratello di Floriano, già committente di Andrea Palladio dell’altro palazzo degli Antonini in borgo Gemona. La famiglia, tra le più facoltose della nobiltà udinese, dopo avere acquistato nel 1491 dalla Repubblica Veneta la giurisdizione di Saciletto, si impose per ricchezza e prestigio, privilegiando la carriera delle armi al servizio del principe. Nel 1606, contemporaneamente alla fondazione a Udine dell’Accademia degli Sventati, Venezia stava organizzando la difesa a causa della vertenza dell’interdetto emanato contro di lei da Paolo V; in tale occasione Francesco Antonini, zio di A., fu capitano del reggimento cittadino e delle milizie equestri della Patria, indicato nei rapporti del luogotenente alla Repubblica come uomo di grande perizia tecnica e appartenente a un casato stimato per virtù e fortuna. A ventidue anni l’A. contribuì, anche con la concessione della sede in un palazzo di prestigio qual era quello della sua famiglia, alla costituzione e al rafforzamento dell’istituzione accademica udinese che per quasi tutto il Seicento costituì un importante elemento di collegamento tra gli spiriti intellettualmente più vivaci della provincia. Secondo il Liruti, l’A. avrebbe fondato anche l’Accademia cavalleresca, ma non ci sono elementi per provare tale affermazione. ... leggi Nominato “principe” degli Sventati, l’A. con il nome di Sereno fissò le prime regole del sodalizio, come afferma il segretario Giulio Liliano (Infarinato) in un’orazione laudatoria del 1609, in cui traccia un profilo elogiativo del primo “principe”. Nel 1615 l’A. pubblicò una raccolta di Rime dedicate agli accademici sventati, da lui composte dai quattordici ai venti anni; secondo il Liruti, altre rimasero manoscritte. Ma dopo tale data l’A. abbandonò le lettere per le armi. Infatti, alla morte del fratello Daniele nel 1616 nella guerra di Gradisca egli ne raccolse l’eredità militare e culturale. Daniele, che aveva studiato matematica a Bologna con il Cataldi e a Padova con Galilei, aveva avviato una corrispondenza scientifica con quest’ultimo, che lo avrebbe voluto (ma le richieste non ebbero seguito) socio dell’Accademia dei Lincei e cavaliere di S. Stefano al servizio del granduca di Toscana. Dopo aver servito in Fiandra, Daniele aveva combattuto per il suo «principe naturale», vale a dire la Repubblica Veneta, celebrato come un eroe sia da questa che eresse in sua memoria una statua equestre nel duomo di Udine sia dal consiglio cittadino che ordinò un busto marmoreo da collocare nel palazzo pubblico. L’A., che comunicò a Galilei la morte di Daniele, nel 1616 fu nominato sopraintendente della Carnia, mentre l’altro fratello, Giacomo, divenne capitano della cavalleria di Udine. Entrambi combatterono nella guerra di Gradisca, proclamando sempre la loro fedeltà alla Repubblica, ma non senza denunciare alla città situazioni di diserzione dei soldati causa le paghe troppo basse. L’A. fu assunto regolarmente nell’esercito di Venezia con lo stipendio di 800 ducati all’anno fino al 1619, quando si trasferì in Germania, Paesi Bassi, Boemia, ufficialmente «per farsi più habile», come spiega il Capodagli, nelle tecniche da mettere al servizio del suo principe, presso il quale ritornò per essere impegnato in incarichi in terraferma (fu anche commissario generale della cavalleria leggera della Serenissima in Dalmazia) fino al definitivo rientro a Udine. Nel 1647 con il fratello Giacomo acquistò la gastaldia di Tolmezzo e nel 1648 la giurisdizione di Nimis, consolidando un processo di ascesa e affermazione nobiliare. Il Capodagli tace sulla corrispondenza dell’A. con Galilei; al Liruti era nota soltanto una lettera di Galilei all’A. del 20 febbraio 1638 (1637 secondo lo stile fiorentino) sulla titubazione lunare, edita per la prima volta nell’edizione bolognese delle opere di Galilei del 1638. Le lettere reperite dell’A. a Galilei, edite e inedite, conservate in copia presso la Biblioteca civica Joppi di Udine, iniziano nel 1627. Nella prima (da L’Haja, 22 ottobre 1627), dalla quale si evince che l’A. aveva precedentemente incontrato Galilei a Firenze, lo informò che la Compagnia delle Indie e gli Stati Generali d’Olanda avevano depositato 30.000 scudi da darsi a chi avesse trovato un metodo sicuro per determinare la longitudine per uso della navigazione, invitandolo a concorrere. In un’altra lettera dall’Olanda, non datata, ma di poco successiva, gli fornì altre informazioni sull’argomento che interessava lo scienziato, in quanto questi già aveva avviato una trattativa sulla stessa materia con la Spagna. Nel 1632 (da Verona, 24 luglio) l’A. lodò i Dialoghi che il padre Fulgenzio Micanzio gli aveva fatto recapitare, ricordando il fratello Daniele: «Ho sempre osservato la sua incomparabile virtù con particolare e doppio affetto, perché rimasi erede anche di quello del signor Daniello mio fratello». Il 20 febbraio 1638 Galilei indirizzò all’A. la già ricordata lettera sulla titubazione lunare, cui il nobile udinese rispose (da Saciletto, 3 marzo 1638) esortandolo a rendere pubbliche le sue osservazioni. Morì a Udine nel 1657. Secondo il Liruti, lasciò inedito uno scritto sulla guerra di Gradisca. Gli si attribuisce un componimento in versi in occasione di una vittoria di Venezia sui Turchi nel 1649 durante la guerra di Candia, quando l’A. aveva offerto il suo aiuto finanziario alla Serenissima con un contributo mensile di cinquanta ducati.
ChiudiBibliografia
ASV, Senato, Dispacci provveditori terra e mar, b. 241 (dispacci relativi ad Alfonso e Giacomo Antonini); mss BCU, CA, M. IX, 49r, 15 novembre 1616 (denuncia di A. dei problemi provocati dalle paghe troppo basse dei soldati); Joppi, 479, G. Liliano, Complimento all’ill.mo et ecc.mo sereno prencipe dell’Accademia de’ Sventati, 1609; Joppi, 238, corrispondenza Alfonso Antonini-Galileo Galilei (in copia).
CAPODAGLI, Udine illustrata, 66-81; LIRUTI, Notizie delle vite, IV, 326-328; P.S. LEICHT, Corrispondenti friulani di Galileo Galilei, «Ce fastu?», 17/6 (1941), 198; G. GALILEI, Opere, XVII, a cura di A. FAVARO, Firenze, Barbera, 1966, passim; L. MILOCCO, L’Accademia udinese degli “Sventati” (Sec. XVII-XVIII), in Più secoli di storia dell’Accademia di scienze lettere e arti di Udine (1605-1969), a cura di V. FAEL, Udine, AGF, 1970, 143-269; L. CARGNELUTTI, Daniele Antonini, l’«eroe patrio», in «Venezia non è da guerra». L’Isontino, la società friulana e la Serenissima nella guerra di Gradisca, a cura di A. ZANNINI - M. GADDI. Atti del convegno internazionale di studi storici (Gradisca d’Isonzo, 26-27 ottobre 2007), Udine, Forum, 2008, 107-120.
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