Nacque a Gemona il 22 febbraio 1841. Fu partecipe degli ideali risorgimentali e dello sforzo messo in atto da quella generazione per ricostruire il tessuto culturale del Friuli postunitario, ricercatore positivista, uomo di scuola: prima a Gemona; dal 1878 insegnante di pedagogia al collegio Uccellis di Udine e poi di geografia nella R. Scuola normale; dal 1891 a Belluno, Cosenza, Ravenna e infine a Treviglio. In questa città morì il 16 ottobre 1904. O. fu in corrispondenza e in sintonia con il tessitore italiano di quella prima stagione della ricerca etnografia, Giuseppe Pitrè, collaborando all’impresa dell’«Archivio per lo studio delle tradizioni popolari». È significativo che l’anno di edizione del lavoro più importante di O. (La vita in Friuli, Udine, 1894) coincida con quello della Bibliografia delle tradizioni popolari italiane dello studioso palermitano. L’apprezzamento di Pitrè costituisce di per sé una riabilitazione scientifica, rispetto al giudizio impietoso e antistorico (patriottismo e anticlericalismo che sarebbero stati dettati da ragioni di carriera, sciatteria stilistica, superficialità documentaria, localismo senza prospettiva, e altro) che sul conterraneo formulò il gemonese Giuseppe Marchetti nel profilo steso per Friuli. Uomini e tempi. O. ebbe un campo d’interessi vasto: la storia e l’archeologia, soprattutto la numismatica e la sfragistica. ... leggi Il primo lavoro importante, che impose O. all’attenzione del folclorismo italiano, è la raccolta dei Proverbi friulani («raccolti dalla viva voce del popolo e ordinati» per argomento; Udine, 1876). Il lavoro più complesso e maturo, seguito all’edizione nel 1892 per Del Bianco della raccolta di Villotte friulane (con un’interessante Appendice fuori commercio di villotte “oscene”), resta La vita in Friuli. Usi, costumi, credenze, pregiudizi e superstizioni popolari (1894): un’opera che sintetizza i tanti contributi parziali precedenti, editi su «Pagine friulane», negli atti dell’Accademia di Udine, su «In Alto». O. aveva allora cinquantatré anni, ed era a Belluno ove stava collaborando alla fondazione della rivista «Studi bellunesi», caposaldo del rinnovamento storiografico relativo alla montagna veneta. La vita in Friuli venne poi riedita nel 1940, sottoposta a una sorta di restauro da parte di Giuseppe Vidossi, ma restando sostanzialmente immutata nella struttura. Costituisce il primo quadro organico, complessivo, a tutto tondo, della cultura popolare in Friuli, ricercata con attenzione anche alla dimensione storica, attraverso l’utilizzo selettivo della documentazione d’archivio allora nota. Il quadro della cultura popolare non è tracciato utilizzando soltanto lo schema (che sarebbe divenuto poi classico e pressoché obbligatorio nella ricerca folclorica successiva del primo Novecento) che incrocia le tradizioni collegate al “ciclo dell’anno” con quelle del “ciclo della vita”; lo sguardo è rivolto in maniera prioritaria alle cosmologie (alle “etnoscienze”, si direbbe, con la terminologia etnologica contemporanea), ai sistemi di credenze che nella cultura tradizionale si erano cristallizzate intorno agli astri, alle piante, agli animali, ai fenomeni naturali, ai saperi e alle pratiche connesse agli stati di salute e malattia, agli oggetti d’uso, agli spazi, alle immagini, e così via. L’impianto positivistico-evoluzionistico è dichiarato. Espressioni come quelle che aprono, ad esempio, il capitolo terzo, dedicato a I contadini, a casa e al lavoro («L’ambiente in cui cresce il contadino, e la tradizione di cui si nutre, sono pieni di superstizioni; perciò non è da meravigliarsi se queste dominano gran parte della sua vita, delle sue operazioni, dei lavori e delle cose che all’arte sua si riferiscono. Ma questa superstiziosità non contrasta, anzi si associa con una fede ingenua e profonda») sono emblematiche: per gli intellettuali di quel fine secolo rappresentavano una sintesi efficace delle caratteristiche proprie della cultura contadina; per noi, oggi, restano una fotografia esemplare non tanto della cultura contadina, quanto del modo con cui essa venne pensata, osservata e interpretata dagli intellettuali dell’epoca. La nozione di “superstiziosità” è buon criterio di lettura per l’operazione di O., perché permette di cogliere con immediatezza sia gli elementi di novità, sia la persistenza, ancora nel secondo Ottocento, di modi tradizionali di accostare la cultura popolare. Nuovo era lo sforzo di ricerca diretto, di raccolta (relativamente) sistematica e di osservazione “sul campo”, incrociati con la prospettiva storica. Per l’età moderna, prima dei questionari di età napoleonica e prima della ricerca messa in atto dalla generazione di studiosi di matrice romantico-positivistica, le fonti a disposizione per la ricostruzione della cultura contadina sono scarse e indirette; per la conoscenza delle strutture cognitive, delle credenze, degli aspetti di mentalità collettiva, i documenti utilizzabili sono addirittura quasi soltanto negativi. È il caso delle fonti giudiziarie e di quelle inquisitoriali in particolare: per l’età moderna, conosciamo in parte ciò che il mondo popolare pensava e credeva (e i comportamenti che dalle credenze derivavano) attraverso ciò che era proibito pensare e credere; quasi soltanto l’anomalo (l’“eterodosso”, ciò che era sospetto o vietato) lasciava traccia scritta. Nel 1797 anche il tribunale dell’inquisizione udinese venne soppresso; qualche decennio dopo, ne La vita in Friuli fu proprio O. a utilizzare per primo i regesti dei verbali del Sant’Ufficio come fonte documentaria, nello sforzo di dare profondità storica alla documentazione che era andato raccogliendo sul campo, attraverso l’osservazione e l’interrogazione della società contadina contemporanea. Impresa pionieristica ripresa e sviluppata in ambito storico-antropologico e in maniera compiuta soltanto decenni dopo.
ChiudiBibliografia
Un quadro dei lavori di V. O. nell’ambito della folcloristica è deducibile dalle bibliografie specialistiche: G. PITRÈ, Bibliografia delle tradizioni popolari italiane, Torino, Clausen, 1894; per i saggi su «Pagine friulane», G. D’ARONCO, Bibliografia ragionata delle tradizioni popolari friulane (Contributo), Udine, Appendice agli «Annali della scuola friulana», 1950; per i contributi sulla poesia popolare, B. CHIURLO, Bibliografia ragionata della poesia popolare friulana, Udine, SFF, 1929. Profili critici di V. O. sono stati tracciati da G. COSTANTINI, Valentino Ostermann e il folclore, «La Panarie», 47/8 (1931), 299-304; B. CHIURLO, Valentino Ostermann, «Ce fastu?», 25-26 (1948-1949), 31-33; MARCHETTI, Friuli, 763-769. Un quadro generale degli studi folclorici del periodo in Friuli è in G.P. GRI, La cultura popolare e lo sguardo dei folkloristi nel secondo Ottocento, in Friuli. Storia e società II, 259-275.
Le opere folcloriche di V. O. sono state più volte ristampate: i Proverbi friulani in anastatica da Forni (Bologna) nel 1974 e, a cura di A. PICOTTI, da Del Bianco (Udine) nel 1995; le Villotte friulane, con premessa di G. D’Aronco e, a corredo, un saggio di E. MORPURGO su La villotta friulana (1968), presso Del Bianco nel 1976; la ristampa 1940 de La vita in Friuli. Usi - costumi - credenze popolari, a cura e con revisione di G. VIDOSSI, in anastatica Forni per conto dell’editore Del Bianco, nel 1974.
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