Nato a Udine nel 1862 (dove morì nel 1938) da famiglia di tradizione liberale (la madre, una Degani, era «patriota ardente»), N. si formò alla scuola carducciana «di gusto classico e severa educazione morale» di Luigi Pinelli. Laureato in giurisprudenza a Bologna nel 1886, si dedicò alla professione, associandosi a Udine all’avvocato e poi onorevole Giuseppe Girardini. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, seguendo le fortune politiche di Girardini, fu giornalista e polemista, mentre agli anni della giovinezza risale una produzione letteraria in italiano, ma «disuguale e frammentaria». La sua scrittura dialettale affiorò in età già matura (il poeta aveva quasi sessant’anni) dopo la prima guerra mondiale, nel clima fervido che si accompagnò alla nascita della Società filologica e al ricomporsi della società friulana nel dopoguerra. Egli stesso motivò la scelta nella prefazione ai Versi friulani del 1922, legandola allo stato d’animo comune e al rientro «e pàtrie ciare», alla cara patria, al Friuli dopo l’invasione, con l’ansia di una rinnovata attenzione alla cultura e alle tradizioni locali, nonché al risveglio della Muse matarane, la Musa burlona di ascendenza zoruttiana, e più avanti esprimendo il convincimento che convenga «tignî ben cont dai dialèz» perché «dut e ben si pò dì cun lor» [tenere da conto i dialetti, perché tutto e bene si può dire con loro], in Lenghe e dialèt. La raccolta del 1922 uscì in edizione ampliata nel 1934 e rappresenta la sua opera più rilevante (tra le due guerre N. fu autore molto popolare), affiancandosi ai testi italiani e friulani di umorismo e a un teatro ben rappresentato. ... leggi Al primo periodo appartiene il libretto Cadore, opera drammatica musicata da Domenico Montico (poesie di tema amoroso saranno adattate da A. Zardini), allestita con successo a Padova, Milano e Udine, ma vietata a Firenze per gli spunti irredentistici. Le liriche in friulano appartengono a uno stesso ciclo (tra il 1920 e il 1926) e hanno caratteristiche unitarie (si staccano, come «dilettevoli esperimenti di travestimento» le versioni della Batracomiomachia e di un sonetto della Vita nova). Il dialetto (sostanziato dall’esperienza letteraria e dalla maturità del gusto) fornisce la voce adeguata al «fondo di sensibilità, d’arguzia bonaria, di saggezza un po’ ironica che costituivano l’uomo» (Carletti). Umorismo, vena zoruttiana, ascendenze portiane, lo fanno continuatore non passivo della tradizione ottocentesca («il solco zoruttiano non lo contenne tutto»: Carletti). Il suo verso, avulso da ricercatezze esteriori e pure curato e musicale, sa intonarsi al senso burlesco e comico, come alle varie gradazioni del sentimento, ora commuovendo oltre il riso (figura proverbiale è Pre Pieri misèrie [Pre Pietro Miseria]), ora toccando la vena satirica (L’ospitalitât [L’ospitalità], Il sior e lis âs [Il signore e le api]), sempre entro i limiti di una «irreprensibile correttezza». L’arguzia passa dal popolare all’osservazione morale o alla critica civile mantenendo l’ispirazione festosa e bonaria (si veda il monologo Par vivi [Per vivere], e La signorine Mie [La signorina Mie, Maria], ben rappresentati sulle scene). Non manca la nota triste negli «scorci di umile umanità» (Lise, Lisa, La fàrie [La fucina], L’albe [L’alba], Nine nane, Ninna nanna, Gnot di mai [Notte di maggio], Il bulo [Il bullo]), a tratti sottesi di mistero, leggenda, quasi sogno (Che di Peonis [Quella di Peonis], Il pronostic [Il pronostico]). Interessante L’orloi de cusine [L’orologio della cucina]: probabilmente ispirato dall’Orloi des sc’ialis [L’orologio delle scale] di Longfellow, traduzione di Bonini, ma rivisitata con originalità. Note intime si legano al senso di sgomento per la sua solitudine (Il gri vedran [Il grillo scapolo]). Il tocco descrittivo si declina facilmente in immagini idilliche (Avrîl [Aprile]), che danno voce al ritmo delle stagioni e alle visioni della pianura friulana, ma anche all’ideale del focolare («Intant al passe il timp; ce fá nol mance; / cuinzànt lis vîs tal ort svolin lis oris; / e in cusine, la sere, su la bance, / si tizìe in tal fûc, si contin storis / e si cuein lis cistinis sot lis boris» [Intanto passa il tempo; cosa fare non manca; / potando le viti nell’orto volano le ore; / e in cucina, la sera, sulla panca, / si attizza il fuoco, si raccontano storie / e si cuociono castagne sotto le braci]). Levità si ha in Par la so fieste [Per la sua festa], dalle reminescenze collorediane, in cui il poeta è «madrigalescamente impresario dei cantori del bosco» per la festa della giovinetta. Negli anni N. si dedicò alla «gentile missione» della difesa letteraria degli amici volatili e l’opuscolo Per le ali ebbe larga diffusione.
ChiudiBibliografia
Cadore. Dramma lirico in quattro atti, Musica del maestro D. Montico, Tip. del Patronato, 19063; La «signorine Mie». Monologo, Udine, Del Bianco, 1921; Par vivi, monologo in versi, Udine, Del Bianco, 1921; Versi friulani, Udine, Libreria Carducci, 1922; Res nullius? Contro l’uccellagione, Udine, Del Bianco, 1928; Per le ali, Bologna, Cappelli, 1929; Contro l’uccellagione e per la riforma dell’art. 711 del codice civile, Udine, Doretti, 1931; La Batracomiomachìe di Omero: traduzion a pît libar da la traduzion di Jacum Leopardi, «Ce fastu?», 8/1-2 (1932), 18-26; Uccelli e uccellatori, Udine, Grafiche Chiesa, 1933; Poesie friulane, Premessa di P. S. Leicht, Udine, Istituto delle edizioni accademiche, 1934; Versi scherzosi italiani, «Ce fastu?», 15/2 (1939), 100-101.
DBF, 560-561; A. LAZZARINI, Bibliografia del teatro friulano, «Rivista della Società filologica friulana», 4 (1923), 160; CHIURLO, Antologia, 465-466; G. LORENZONI, Un libro di vera poesia, «Ce fastu?», 11/1-2 (1935), 42-43; C. B[ORTOLOTTI], Un lutto della poesia friulana: Emilio Nardini, ibid., 14/2 (1938), 98-99; E. CARLETTI, Di Emilio Nardini, poeta dialettale, ibid., 15/2 (1939), 54-66; Mezzo secolo di cultura, 189-190; D’ARONCO, Nuova antologia, III, 144-145; U. ZANFAGNINI, I fratelli Giuseppe ed Emilio Girardini e il poeta vernacolo Emilio Nardini: una vita in tre nel soggiorno tricesimano, in Tresésin, 339-350; G. D’ARONCO, Poesia e non poesia in Emilio Nardini, «Ce fastu?», 63 (1987), 379-380.
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