Nacque a Villafredda di Tarcento, nei pressi di Udine, il 7 ottobre 1741 da Gian Andrea e da Lucrezia Federli e venne battezzato con il nome di Carlo Antonio Innocenzo nella chiesa di San Michele di Segnacco da Antonio di Montegnacco, allora pievano di Tarcento. Rimasto precocemente orfano, prima della madre nel 1749 e quattro anni dopo del padre, venne allevato insieme a undici fratelli e sorelle dal fratello del padre, Gian Giuseppe, che godeva già di vasta fama di storico. Lo zio, che impostò la prima istruzione del nipote, sarebbe rimasto, fino alla scomparsa nel 1780 in tarda età, un riferimento importante sia sul piano dei rapporti familiari e della sua terra in genere sia su quello strettamente culturale. Dopo i primi anni di studio trascorsi parzialmente o interamente in famiglia, come era uso nelle case nobili dell’epoca, sotto la guida del barnabita Sigismondo Mantelli, allora docente di retorica nelle scuole pubbliche di Udine, nel 1761 maturò la decisione di farsi monaco benedettino ed il 5 luglio entrò nel monastero padovano di S. Giustina. L’11 dello stesso mese vestì l’abito religioso e iniziò l’anno di noviziato con il nome di Innocenzo Maria, avendo come maestro un altro friulano, padre Giuseppe Attimis. Esattamente un anno dopo, il 12 luglio, contemporaneamente al voto di professione, con atto notarile rinunciò a tutti i suoi beni a favore dei famigliari, con la condizione che questi costituissero a suo favore un livello annuo di trenta ducati. Di questi anni rimane una copiosa corrispondenza con lo zio, da cui si può vedere l’evoluzione culturale e spirituale di L.: spesso, oltre alle notizie aggiornate sugli studi intrapresi, vi si trovano richieste di libri alle quali lo storico puntualmente risponde, come per esempio con l’invio dei fascicoli Dell’eloquenza italiana di Giusto Fontanini. Tra le richieste ci sono ovviamente quelle degli scritti di Gian Giuseppe, con il quale scambia inoltre notizie sulla vita a S. Giustina, sulle vacanze a Monselice, su medaglie, proponendo scambi con quelle doppie dello zio, o su iscrizioni romane viste, domandando regolarmente consigli sulle letture da affrontare. ... leggi Nel 1763 venne scelto per essere destinato a proseguire gli studi di diritto canonico a Roma nel collegio di S. Callisto. Per introdurre il nipote nel nuovo ambiente, Gian Giuseppe gli inviò alcune lettere di presentazione, una delle quali per il marchese Pompeo Frangipane, del quale pochi mesi dopo il chierico avrebbe annunciato allo storico la scomparsa. A Roma L. frequentò, diventandone amico, Gregorio Barnaba Chiaromonti, il futuro Pio VII, che seguiva lo stesso suo iter scolastico; anche negli anni successivi il rapporto di consuetudine sarebbe rimasto e avrebbe avuto anche un peso nella carriera di L. Nel triennio romano, però, egli si ammalò in maniera seria, anche se non si hanno notizie precise sulla natura del male; si sa che la sua costituzione fisica non era particolarmente robusta e che inoltre, fin dall’adolescenza, aveva dovuto far uso di lenti. Diventato dottore in diritto canonico e sacerdote, rientrò nel 1766 a Padova nel convento di S. Giustina, dove assunse l’incarico di lettore di canoni, che avrebbe tenuto fino al 1803 con una interruzione forzata dal 1780 al 1784. La sua cultura veniva continuamente alimentata da studi e letture e da rapporti personali, favoriti inizialmente dallo zio Gian Giuseppe e poi dalle sue conoscenze, come quella con il veneziano Giambattista Schioppalalba che sovente lo metteva in contatto con altri studiosi, come l’illustre storiografo e teologo Bernardo de Rubeis, domenicano friulano, e con tipografi quando cominciò a voler rendere pubblici i risultati della sua attività di ricerca ripresa con vigore dopo gli anni romani. Indispensabile gli era la biblioteca di S. Giustina, dove si prestava ad aiutare il bibliotecario Polinà fino ad essere nominato, nel 1800, dopo la scomparsa di quest’ultimo, allo stesso ufficio. La prima opera che risulta aver dato alle stampe, ma in forma anonima, è lo Specimen institutionum ad bibliothecam iuris canonici veteris, nel 1775, cui seguì lo scritto che avrebbe segnato pesantemente la vita e l’attività futura del lettore di canoni: il De finibus utriusque potestatis, ecclesiasticae et laicae commentarius in quo media tentatur via ad concordiam sacerdotii et imperii, apparso a Lugano e riedito a Ratisbona nel 1781. Il difficile tema al centro dell’opera, i rapporti tra Chiesa e Stato, era motivo di infinite controversie all’interno dello Stato veneto e L. lo aveva fatto oggetto dei suoi studi da anni. La decisione di rendere pubbliche le sue considerazioni con il fine di fare chiarezza, senza ledere né il potere ecclesiastico né quello civile, affermando l’autonomia e la sovranità di entrambi nel proprio ambito, gli avrebbe procurato un periodo di grandi dispiaceri. Le sue posizioni, infatti, non potevano che essere recepite in maniera negativa dalla veneta autorità, che trovò nell’opera, in circolazione a Venezia dal maggio 1779, proposizioni contrarie al governo. Le copie presso i librai veneziani vennero sequestrate e L., dopo essere stato deferito al tribunale supremo della Repubblica, fu costretto al domicilio coatto a S. Giustina. I timori dell’autore, che per tutelarsi aveva fatto uscire lo scritto in forma anonima presso gli Agnelli di Lugano («Non volendo poi in questi tempi arrischiarmi a stamparlo in questo stato»), dopo aver cercato invano stampatori in vari Stati italiani disposti a rischiare e nonostante i pareri favorevoli avuti da amici, si erano concretizzati. La sua convinzione nelle possibilità di successo delle tesi sostenute lo portò anche a pensare di pagare le spese di pubblicazione, convinto ad andare fino in fondo anche con il sostegno dello zio. E di fronte alle pagine finalmente stampate lo storico Gian Giuseppe confermò le sue convinzioni: «Ho scorso il suo libro […] ed a me sembra che in esso, con tutto che la materia sia gelosa così per una potestà come per l’altra, ella sia maneggiata con tanta delicatezza e cautella che non si dovesse avere alcun scrupolo dai revisori […]. Posciache, se si vuole considerare l’opera nel suo tutto, a me pare in verità esser essa un pezzo di storia letteraria sopra quel problema […]. Mi congratulo seco con lei o meco, chiamandomi pago e soddisfatto con questa di tutto il debito ch’ella potesse aver meco per l’attenzione da me usata nella sua educazione materiale e formale […]». Il parere dello zio lo confortò molto: «L’universale de’ dotti […] così di qui, come delle altre città, si unisce al parere di lei, e sonosi solamente qui trovate tre o quattro persone, vendute al pane, che hanno cercato di render odiosa l’opera […]. E questo ha fatto che io, per lenire il costoro livore, non abbia fatto venire altre copie da Lugano, e che perciò ora mi trovi senza alcuna di dispensare». Sempre in una lettera a Gian Giuseppe L. riconosce all’amico Schioppalalba l’importante ruolo avuto per il sostegno, la revisione e la stampa dell’opera. La segregazione all’interno di S. Giustina, iniziata il 2 giugno, durò fino all’ultimo giorno di settembre. Una volta libero dal domicilio coatto, andò a trascorrere un periodo di villeggiatura nella casa natale. Ma dopo pochi mesi la giustizia veneziana lo colpì ancora: nel luglio del 1780, infatti, il dotto venne costretto a trasferirsi alla corte di S. Salvaro, vicino Monselice, con l’incarico di rettore del piccolo monastero della campagna padovana. L’influenza nella politica veneziana del procuratore di S. Marco, Andrea Tron, ferreo sostenitore del ruolo della Repubblica in materia ecclesiastica, unitamente al fatto che abate di S. Giustina era Antonio Tron, suo fratello, portò quindi al suo allontanamento da Padova ed all’abbandono dell’insegnamento. Solo nel 1784 L. poté rientrare a S. Giustina e riprendere le sue funzioni di insegnante di diritto canonico, dopo aver respinto nel 1781 un tentativo di allontanamento fisico ben più radicale, contenuto nella proposta apparentemente allettante di venire nominato lettore di diritto canonico a Roma, presso il collegio di S. Callisto. In modo inequivocabile scrisse al fratello Giuseppe Antonio: «Come però questo è un pasto più di fumo, che di rosto, così io fo di tutto per cavarmene», aggiungendo che avrebbe seguito il consiglio dei suoi amici più vicini, che gli suggerivano anche la motivazione da addurre per il rifiuto, cioè «per cagion della salute, considerati gl’incomodi che quindici anni sono mi toccò in Roma a soffrire». Nella primavera del 1780 vide la luce un altro suo scritto, frutto dell’esperienza come docente di diritto canonico, sul metodo di insegnare e studiare questa materia, opera che, dietro consiglio del bibliotecario del monastero Pier Maria Polinà e grazie all’interessamento del sacerdote suo amico Schioppalalba, che contattò a Venezia il tipografo Simone Occhi e seguì la stampa, uscì ancora una volta anonima col titolo Regole e pensieri intorno al metodo d’insegnare il ius canonico. L’interesse per il De finibus e la sua probabile rapida scomparsa dal mercato ufficiale avevano fatto sì che l’opera venisse ristampata, per iniziativa dell’abate di S. Emmeran, nel 1781 a Ratisbona e che venisse anche ipotizzata dal vescovo di Frisinga una traduzione in lingua tedesca, che però non sarebbe mai stata realizzata. La censura veneziana intercettò e sequestrò due esemplari della nuova edizione, spediti a Schioppalalba, che riuscì poi ad averne altri due da Vienna per mezzo di monsignor Giuseppe Garampi, nunzio in Germania. A S. Giustina vennero assegnate negli anni altre cariche a L., come quella di sostituto dell’abate Gian Alberto Campolongo; riprese anche gli amati studi letterari e giuridici, continuando la corrispondenza con numerosi studiosi tra i quali Angelo Maria Bandini, bibliotecario della Marucelliana, Arcangelo Bossi, padre benedettino, che lo avrebbe sostenuto nella pubblicazione del De finibus, e il padre cassinese Gian Giuseppe Calepio, colui che avrebbe trovato la soluzione di Lugano, presso gli Agnelli, per la stampa del De finibus. Con tutti L. si intratteneva sulle sue private vicende, ma numerosissimi erano i riferimenti agli studi ed alla ricerca di opere sia per sé sia per la biblioteca. Ma è soprattutto con lo zio Gian Giuseppe che aveva fin dagli anni Sessanta un interessante scambio di lettere, illuminanti per le notizie che si possono ricavare sulle due figure e sui ruoli che diventano negli anni simili, quasi sullo stesso piano quando L. iniziò a rappresentare un punto di riferimento culturale per lo zio. Tra queste lettere, L. scrive della visita di Antonio Zanon fattagli a S. Giustina in data «ultimo di Carnevale» del 1769. In altre anticipa l’invio ai fratelli di cioccolata, di «ottimo tabacco» e di vasetti d’olio di S. Giustina «anche pel sig.r zio». Anche con i fratelli Giuseppe Antonio e Carlo Antonio, ma specialmente con il primo, intrattenne una fitta relazione epistolare: in questo caso, oltre alle notizie di famiglia ed ai commenti su fatti pubblici e, alla fine del secolo, anche politico-militari, si tratta di scritti di carattere amministrativoeconomico, essendo Giuseppe colui che curava i pagamenti del livello per il monastero. Nel 1782, per inspiegabili ritardi dell’invio del livello, L. entrò in conflitto con il fratello. Continuò in questi anni a pubblicare, spesso sempre in forma anonima, opere di carattere teologico come Del diritto delle chiese e de’ corpi ecclesiastici, spezialmente de’ monasteri sopra a’ beni temporali da loro posseduti. Lettera ad un amico alla quale vi si aggiunge una poscritta sopra l’instituzione della profession monastica e sua necessità, De ecclesiastica hierarchia conservationum liber (1787), De sero metropoleon ecclesiasticarum ortu in occidente (1787), Apparatus ad jurisprudentiam praesertim ecclesiasticam libri tres in quorum primo praenotiones et elementa juris praecipua continentur. In altero de fontibus juris canonici veteris tum jurisdictionis tum rituum sacrorum agitur. In tertio dissertationes selectae ad ipsos juris canonici veteris fontes spectantes ponuntur (1793) e l’unica opera in cui si rileva un interesse, seppur marginale, per la terra natale, Sopra a’ primi vescovi caprulensi o di Caorle, isola ed antica città al littorale del Friuli, Osservazioni di d. Innocenzo M. Liruti priore del monastero di S. Giustina di Padova (post 1795). Nel marzo del 1800 venne eletto papa il cardinale benedettino Chiaramonti, vescovo di Imola e compagno di studi in gioventù di L.: durante il conclave, che si tenne straordinariamente a Venezia, egli venne contattato dal cardinale Stefano Borgia che, non avendo a disposizione testi idonei, si rivolse a lui per risolvere questioni teologiche-giuridiche. Questo episodio aumentò la sua già vasta fama di uomo dotto, che lo avrebbe fatto passare ai posteri con l’appellativo di “biblioteca ambulante”. Dopo la scomparsa di Pier Maria Polinà nel 1800, L. assunse la carica di bibliotecario del monastero in cui viveva, incarico affidatogli dall’abate Campolongo e che gli era quanto mai congeniale, sia per l’assidua frequentazione legata ai suoi studi, sia perché se ne era occupato durante le assenze del bibliotecario. Iniziò pertanto un accurato lavoro di riordino e revisione delle raccolte, tramite acquisti, soprattutto dal libraio Carlo Scapin, o scambi di libri doppi che permettevano un incremento senza gravare sulle casse del monastero. Accanto ai riordini ed all’incremento della raccolta, il bibliotecario aggiornò i ponderosi cataloghi delle antiche e pregiate edizioni inserendo anche, spesso a margine dei dati registrati dai predecessori, postille e note chiarificatrici sugli autori della compilazione degli stessi inventari, sulle edizioni descritte o su asportazioni, come quelle dei decreti napoleonici eseguiti nel 1807. Il bibliotecario friulano è l’autore anche di un accurato catalogo delle opere più antiche e rare compilato nel 1806, attualmente conservato a Verona nella Biblioteca del Seminario. Dopo aver ricoperto nel 1802 e fino all’anno seguente anche la carica di priore amministratore di S. Giustina, L. per problemi di salute chiese di essere esonerato dall’insegnamento e dalla carica di priore claustrale, preferendo dedicarsi solo alla biblioteca; era tenuto invece a continuare la sua opera di priore. Nel 1806 parte della biblioteca del monastero di S. Giustina venne dichiarata proprietà dello Stato, a seguito dei decreti napoleonici del 1805 e del 1806 e, unitamente all’archivio e agli altri beni dei benedettini, venne confiscata. Una parte fu trasferita alla Biblioteca di Brera, mentre il convento di S. Giustina rimase fino al 1810 l’unico benedettino a Padova preservato dalla soppressione. Dopo quasi un anno dal decreto di nomina, emanato da Napoleone a Varsavia nel gennaio 1807, e la successiva conferma da parte di papa Pio VII, L. venne consacrato vescovo di Verona il 27 dicembre 1807 nel duomo di Milano e, dopo un breve ritorno a S. Giustina, il 20 marzo 1808 fece il pubblico ingresso a Verona ed il 25 dello stesso mese prese possesso della diocesi, di cui sarebbe rimasto ordinario fino alla morte. Già dall’inizio mostrò una notevole tempra che, a nome dei vescovi del Regno d’Italia, lo portò a scrivere per il congresso ecumenico di Parigi del 1811 un appello a Napoleone per la liberazione di Pio VII, confinato a Fontainebleau dopo la scomunica da lui pronunciata contro i francesi, che avevano occupato lo Stato pontificio. Incontrato più volte l’imperatore, venne da questi creato barone del Regno. Sotto il suo vescovato la chiesa di Verona cessò di essere suffraganea dell’arcivescovato di Udine, passando al patriarcato di Venezia. Abbandonati, anche se non completamente, gli amati studi, si dedicò all’attività apostolica, intervenendo sulla riforma amministrativa della diocesi, sulla preparazione dei seminaristi introducendo lo studio delle scienze naturali, riformando anche il catechismo diocesano sulle orme del Bossuet, catechismo che sarebbe stato più volte pubblicato negli anni del suo vescovato. Nei due decenni passati a Verona furono pubblicati le lettere pastorali, le omelie e gli atti ufficiali: la prima lettera, D. Innocentii M. Liruti ord. S. Benedicti Congregationis Casinensis Dei et Apostolicae sedis gratia episcopi Veronensis Epistola prima pastoralis ad clerum et populum Veronensem, apparve l’anno stesso, mentre le raccolte delle Lettere sarebbero uscite nel 1817 e nel 1823. Altri scritti che uscirono nel periodo veronese sono: De’ vescovi della santa chiesa veronese (edito più volte) e le Instruzioni per la predicazione, esposte in una lettera; ora ristampata ad uso de’ novelli sacerdoti della città, e diocesi di Verona. Si aggiungono in questa nuova impressione istruzioni varie di umane lettere, come a suo luogo vedrassi. Dalle lettere dell’inizio del 1825, inviate al pronipote Giuseppe, si apprende che la sua costituzione fisica, gracile fin dalla giovinezza ma che gli aveva comunque consentito di affrontare compiti rilevanti e faticosi, si sta rapidamente deteriorando soprattutto per la diminuzione progressiva della vista e per scompensi cardiaci. Nei primi mesi del 1827 L., passeggiando nelle camere del palazzo vescovile, cadde e fu quindi costretto all’infermità, ma, pur essendo impedito a scrivere in prima persona, voleva far sapere la sua preoccupazione «sopra il futuro stato della vostra famiglia, anzi della mia insieme, che mi è carissima sopra quanto posiate mai credere». Già da tempo era infatti turbato sia per la poco fiorente situazione economica, che per l’assenza di eredi da parte dei fratelli, con la conseguente probabile estinzione della famiglia: in una missiva del maggio insisteva con Giuseppe perché si sposasse «nelle circostanze della nostra famiglia» e fino all’ultima lettera sarebbe tornato con insistenza su questo tema. Scomparve l’11 agosto 1827, lasciando in eredità al pronipote un «offizio della Madonna con rami della stamperia Plantiniana legato in pelle rossa con margine dorato».
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Molti manoscritti di L. sono conservati nel Seminario di Verona, la cui biblioteca fu da lui riorganizzata nel 1822, mentre in Archivio di Stato di Udine, nel fondo Liruti, si ritrovano molte sue lettere; altre presso varie biblioteche pubbliche o religiose, ad esempio presso la Biblioteca civica Joppi di Udine e l’Accademia dei Concordi di Rovigo.
[I.M. LIRUTI], Specimen institutionum ad bibliotecam iuris canonici veteris, Padova, Conzatti, 1775; I.M. LIRUTI, De finibus utriusque potestatis, ecclesiasticae et laicae commentarius in quo media tentatur via ad concordiam sacerdotii et imperii, Lugano, Agnelli, 1779; [ID.], Regole, o pensieri intorno al metodo d’insegnare il ius canonico, Venezia, Occhi, 1780; ID., Del diritto delle chiese e de’ corpi ecclesiastici, spezialmente de’ monasteri sopra a’ beni temporali da loro posseduti. Lettera ad un amico alla quale vi si aggiunge una poscritta sopra l’istituzione della professione monastica e sua necessità, Avignone, Guarigand, 1785; ID., De ecclesiastica hierarchia conservationum liber, Lugano, Agnelli, 1787; ID., Apparatus ad iusprudentiam praesertim eccllesiasticam libri tres in quorum primo praenotiones et elementa iuris praecipua continetur; in altero de fontibus iuris canonici veteris tum iurisdictionis tum rituum sacrorum agitur; in tertio dissertationes selectae ad ipsos iuri canonici veteris fontes spectantes ponuntur, Padova, Bettinelli, 1793; ID., Sopra a’ primi vescovi caprulensi o di Caorle, isola ed antica città al littorale del Friuli, Osservazioni di d. Innocenzo M. Liruti priore del Monastero di S. Giustina, Padova, Bettinelli, 1795; ID., D. Innocentii M.ae Liruti ord. S. Benedicti congregationis Casinensis Dei et Apostolicae sedis gratia episcopi Veronensis epistola prima pastoralis ad clerum et populum Veronensem, Padova, Tip. ... leggi del Seminario, 1807; ID., De’ vescovi della santa Chiesa veronese: lettera d’Innocenzo Liruti vescovo di Verona, conte […], Verona, Tommasi, 18152.
C. BRESCIANI, Orazione in morte di monsignore Innocenzo Liruti vescovo di Verona recitata dall’abate d. Cesare Bresciani per ordine dell’amplissimo Capitolo degl’ill. rr. monsignori canonici della Cattedrale, Verona, per Valentino Crescini tipografo vescovile e capitolare, 1827; L. FRANZA, In morte dell’illustre ed amorosissimo vescovo di Verona Innocenzo Liruti. Canzone dell’ab. Lorenzo Franza veronese […], Verona, eredi di Marco Moroni, 1827; Necrologia di monsignor Liruti vescovo di Verona, «Giornale dell’italiana letteratura», 66 (1828), 261-267; G. D. CICONI, Udine e sua provincia. Illustrazione, Udine, Trombetti-Murero, 1862, 395; G. BIASUTTI, Lettera inedita di mons. Innocenzo M. Liruti vescovo di Verona allo storico Gian Giuseppe Liruti, «Pagine friulane», 10/12 (1898), 196-198 (preceduto da note bio-bibliografiche sul Liruti); O. MARINELLI, Guida delle Prealpi Giulie, Udine, Società alpina friulana, 1912, 316-317; G. BALDISSERA, Cittadini illustri e benemeriti di Tarcento […], Gemona, Toso, 1934, 76-82; DI MANZANO, Cenni, 145-146; D. GALLIO, La concordia tra sacerdotium e imperium nel De finibus utriusque potestatis di Innocenzo Liruti: 1741-1827, «Studia Patavina», 19/1 (1972), 31-53; MARCHETTI, Friuli, 981; D. GALLIO, Innocenzo Liruti 1741-1827: lettore di diritto canonico a S. Giustina, Padova, Antenore, 1980, 195-224; F.L. MASCHIETTO, Biblioteca e bibliotecari di S. Giustina di Padova (1697-1827), Padova, Antenore, 1981, 223-293; M. ZENARI, Chiesa e Stato in Innocenzo Liruti (1741-1827), Roma, Pontificia Universitas Gregoriana, 1981; L. SERENI, Personaggi storici e personalità, in Tarcint, 372-373; G. EDERLE - D. CERVATO, I Vescovi di Verona. Dizionario storico e cenni sulla Chiesa Veronese, Verona, s.n., 2002, 136-141; Innocenzo Liruti vescovo di Verona (1807-1827). Diari e documenti. Trascrizione a cura dell’Archivio storico della curia diocesana di Verona, Verona, Archivio storico curia diocesana, 2004.
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