Nacque a Breno (Brescia) il 22 gennaio 1924 da Mario e Luigina Dotti. Poco dopo la sua nascita il padre divenne capo cancelliere presso il tribunale di Udine e qui si trasferì con la famiglia. Dopo aver conseguito la maturità al liceo classico I. Stellini di Udine, F., seguendo l’esempio del padre, che rappresentava il Partito comunista italiano (PCI) nell’esecutivo militare del CLN di Udine, fece parte del battaglione Cacciatori, poi denominato semplicemente battaglione Studenti in quanto costituito quasi esclusivamente di studenti, gruppo resistenziale autonomo sorto nell’ottobre 1943 e in contatto con Candido Grassi (chiamato “Verdi”) e con i politici cattolici. Esso si prefiggeva di «lottare in armi contro il tedesco invasore» e di «vincere l’apatia della popolazione, particolarmente della classe studentesca». Il gruppo curò la pubblicazione del periodico ciclostilato «La Libertà», diretto da Arturo Toso, di cui uscirono sei numeri. Intorno alla metà di aprile 1944 il gruppo fu scompaginato essendo stati arrestati i suoi principali esponenti, e F. (“Boris”), trovato in possesso di una valigia di manifestini di propaganda e di armi, venne catturato dalla polizia militare nazista e rinchiuso il 20 aprile nel penitenziario di via Barzellini a Gorizia. Processato per «appartenenza a un’organizzazione segreta terroristica» e «possesso di armi e di munizioni», fu condannato alla fine di ottobre a tre anni di lavori forzati, che scontò nel lager di Bernau am Chiemsee, in alta Baviera, ove giunse il 17 dicembre 1944. Rientrato dopo la Liberazione in Friuli, si iscrisse al PCI, partito nel quale svolse un’attività molto intensa, come membro del Comitato provinciale e come giornalista, redattore capo responsabile dal 16 marzo 1947 e direttore dal 4 gennaio 1948 al 17 aprile 1949 di «Lotta e lavoro», settimanale della Federazione provinciale comunista di Udine. ... leggi Ripresi gli studi, si laureò nel 1949 in giurisprudenza all’Università di Bologna con una tesi su Diritti di sciopero e non collaborazione. Pur continuando la milizia politica, iniziò la pratica forense come legale della Federazione dei lavoratori della terra e delle Camere del lavoro di Udine e Pordenone. Eletto consigliere comunale di Udine nelle amministrative del 1951 e del 1956, in seguito ai fatti d’Ungheria non rinnovò la tessera del PCI, restando in consiglio comunale come indipendente, non condividendo talune concezioni dei diritti di libertà del cittadino negli Stati del blocco sovietico. Nel 1959 si dimise da consigliere comunale e aderì al Partito socialista italiano (PSI). Fondò inoltre a Udine il Centro di ricerche culturali Piero Calamandrei, di cui fu a lungo animatore e presidente, e la rivista «Politica e Cultura», avvalendosi della collaborazione del poeta friulano Luciano Morandini, condirettore del periodico. La rivista – che costituì anche redazioni a Parigi e Lubiana – ebbe il merito di mettere in relazione intellettuali e letterati italiani e jugoslavi, favorendo la conoscenza in Italia della nuova poesia jugoslava. La difesa che F. assunse di uno degli imputati nel processo per l’assassinio di Pierina Cassina, la “crocefissa di Masarolis”, avvenuto il 7 gennaio 1960, segnò la sua consacrazione professionale come avvocato penalista. Nelle elezioni del 28 aprile 1963 venne candidato alla Camera dei deputati, basando la propria campagna elettorale sul presupposto che il PSI fosse «l’elemento motore di una situazione che in Italia era in movimento». In un saggio pubblicato nel 1963, Il Friuli. Tesi per uno sviluppo economico, sostenne che «al processo di risparmio in Friuli non corrispondeva un processo di investimenti». Le cause dei ritardi nello sviluppo economico della regione venivano individuate da F. «nella perdita non episodica ma permanente» dei fattori primari della produzione: da un lato l’esportazione dei capitali in altre zone, dall’altro il persistente fenomeno dell’emigrazione. Per quanto concerne l’agricoltura in Friuli, F. sottolineava che la gran parte della superficie produttiva e la terra migliore erano concentrate in poche mani – 425 grandi proprietà, ossia lo 0, 4 per cento di tutte le aziende agricole, possedevano il 34, 9 per cento della superficie produttiva –, pertanto la crisi dell’agricoltura andava ricondotta non tanto al frazionamento del terreno meno fertile, quanto piuttosto alla estensione della grande proprietà. Dalla grave crisi occupazionale nel settore industriale F. riteneva inoltre si potesse uscire con l’istituzione della regione Friuli-Venezia Giulia e un «piano di sviluppo di almeno 30-35 miliardi all’anno per dieci anni» in tutti i settori economici. Tale piano, per essere realizzato, avrebbe richiesto «una legislazione speciale per il Friuli pari a quella di cui stava beneficiando, e giustamente, il Sud». Il 12 e 13 ottobre 1963 si tenne il XIV congresso provinciale del PSI, in cui la mozione della Sinistra ottenne il 66, 7 per cento di voti precongressuali, eleggendo tre delegati, tra cui anche F., al XXXV congresso nazionale. La Sinistra prospettava, nella nuova fase storica caratterizzata dalla coesistenza pacifica, come obiettivo da perseguire quello di aprire la via del socialismo in Italia, contrastando i tentativi di «fare dei lavoratori una componente necessaria della razionalizzazione del sistema capitalistico», e considerava profondamente sbagliata la linea politica della corrente autonomista, fondata sull’adesione all’atlantismo, pur nella sua variante moderata, e su un lungo periodo di collaborazione con la Democrazia cristiana «per un ammodernamento neppure conseguente della società attuale». Dopo il congresso dell’Eur (25-29 ottobre), mentre la corrente della Sinistra si apprestava a compiere la scissione, costituendo il PSIUP, il deputato friulano fece, nonostante condividesse pienamente le valutazioni critiche di Vecchietti e Basso sull’accordo e la struttura di governo, un’aperta professione di lealismo nei confronti del PSI, dichiarando che avrebbe rispettato la disciplina di partito nel voto a favore del primo governo Moro, che si costituì il 4 dicembre 1963 con la partecipazione diretta dei socialisti alla compagine governativa. I parlamentari della Sinistra rimasti nel PSI convocarono a Roma per il 26 gennaio 1964 un proprio convegno, dando vita alla cosiddetta “Sinistra unitaria”, che riconfermò «la netta opposizione all’armamento atomico della NATO e quindi della Germania», «il rifiuto di ogni corresponsabilità con la politica estera del governo, rappresentata dall’azione di Saragat», e l’impegno a promuovere una politica economica basata su «un concreto collegamento tra le esigenze dei lavoratori e una programmazione che si contrapponesse agli interessi monopolistici». Nella Commissione nazionale della “Sinistra unitaria” il Friuli-Venezia Giulia era rappresentato da F., che entrò anche nel comitato direttivo del gruppo socialista alla Camera. La Federazione di Udine del PSI si mostrò inoltre contraria ad estendere anche a livello regionale e locale la formula di centro-sinistra e solo nel febbraio 1966 la seconda giunta regionale della prima legislatura, presieduta da Alfredo Berzanti, incluse anche il PSI. Il 30 e 31 ottobre 1965, nel corso del XV congresso della Federazione provinciale di Udine, il PSI friulano mutò la propria linea politica, riconoscendosi maggioritariamente – nella misura dell’82 per cento dei voti congressuali – nelle tesi di Nenni e De Martino favorevoli all’unificazione con il PSDI, sostenute a livello locale dall’on. F., membro del Comitato centrale. Nella IV legislatura, F. intervenne, a nome del gruppo parlamentare socialista, affinché fosse approvato in tempi rapidi il provvedimento legislativo necessario per eleggere il primo consiglio della regione Friuli-Venezia Giulia, nella persuasione che l’attuazione dell’ordinamento regionale avrebbe creato le basi di uno Stato moderno, fondato sull’autogoverno, e favorito il rientro di un numero elevato di emigranti stagionali e permanenti con la creazione di quattromila nuovi posti di lavoro all’anno per dieci anni (Camera dei deputati, Sedute del 26 settembre e del 31 ottobre 1963). Propose inoltre modifiche del Codice civile, penale e di procedura penale intese a salvaguardare i diritti dei lavoratori e a ostacolare l’utilizzazione contra legem della manodopera minorile e femminile, a fissare i limiti della custodia preventiva e a meglio definire i poteri di intervento del difensore in ogni stato e grado del dibattimento. Alla fine di dicembre del 1964 sollevò in parlamento il problema del divorzio, facendo riferimento al saggio Il divorzio in Italia (Firenze, 1959) di un alto magistrato, Mario Berutti, in cui si sosteneva che era necessario tenere rigorosamente distinti i doveri del cittadino dai doveri del credente. Il primo ottobre 1965 F. presentò alla Camera una proposta di legge volta a disciplinare i «casi di scioglimento del matrimonio», che si differenziava dal progetto di legge presentato nell’ottobre 1954 dal deputato socialista Renato Sansone e modificato nel giugno 1958 dalla collega Giuliana Nenni (il cosiddetto “piccolo divorzio”), in quanto prevedeva una casistica meno rigida. Intervenendo alla Camera nella seduta del primo aprile 1966, F. rilevava che le profonde trasformazioni in atto nella società italiana avevano posto in crisi la visione patriarcale della famiglia, facendo emergere nuove istanze «soprattutto di libertà individuali». «L’uomo non si ritrova più a suo agio nei vecchi ordinamenti creati per una società profondamente mutata», si trova impigliato in una rete di leggi e procedure arcaiche, «veri relitti che intralciano la rotta del progresso», e rifiuta «l’attuale logora impalcatura giuridica», in parte «con una protesta veemente al momento del voto», in parte rifugiandosi in atteggiamenti scettici, che possono anche sconfinare «nell’amarezza del qualunquismo», lasciando disarmati i veri riformatori. Mentre proseguiva l’azione di sensibilizzazione sul tema del divorzio da parte della stampa e dei partiti di orientamento laico e progressista, la Segreteria di stato vaticana e la CEI cercarono di ostacolare l’iter parlamentare della legge sul divorzio, definita un grave vulnus inferto al concordato, sollecitando la mobilitazione dell’opinione pubblica cattolica con l’intento di ricorrere a un referendum popolare abrogativo se la legge fosse stata approvata. Nonostante l’esito elettorale deludente per il PSU, nato dalla unificazione del PSI e del PSDI, nelle elezioni politiche del 19-20 maggio 1968, F. risultò eletto nelle due circoscrizioni (Milano-Pavia e Udine-Gorizia-Belluno) in cui venne candidato, optando per la seconda. Rafforzato dall’ampio consenso elettorale conseguito, F. ripresentò il 5 giugno 1968 la sua proposta di legge, firmata a titolo personale da altri settantuno deputati dei partiti laici – PCI, PSU, PSIUP, PRI –, mentre il 7 ottobre il deputato liberale Antonio Baslini e altri presentarono un’analoga proposta di legge sulla «disciplina dei casi di divorzio». I due progetti di legge, seppur discussi separatamente, finirono per essere accorpati in uno solo, tanto che la legge, approvata in via definitiva il primo dicembre 1970 (legge n. 898) con 319 voti favorevoli e 286 contrari, fu poi sempre ricordata con il nome “Fortuna-Baslini”. Essa era stata preceduta dalla legge 352 del 25 maggio 1970, che regolava l’istituto del referendum previsto dall’art. 75 della Costituzione, istituto che secondo Eugenio Scalfari e F. era inapplicabile a una legge come quella del divorzio, in quanto essa tutelava le minoranze. Rieletto deputato nella circoscrizione Udine-Gorizia-Belluno nelle elezioni del 7 maggio 1972, F. presentò l’11 febbraio 1973 come primo firmatario la proposta di legge n. 1655 dal titolo «Disciplina dell’aborto», in cui si faceva esplicito riferimento a recenti studi promossi dal Club di Roma sulla crescita esponenziale della popolazione mondiale, allo scopo di mostrare il carattere anacronistico di logiche fondate sulla massima «il numero è potenza», pur ribadendo che la regolamentazione dell’aborto non avrebbe dovuto in alcun caso fondarsi sull’obiettivo di «risolvere l’eccesso di popolazione». La problematica dell’aborto, a cui il progetto di legge intendeva fornire una ragionevole soluzione pratica per l’Italia, veniva ricondotta in ultima istanza alla libertà di scelta, in particolar modo della donna, che non doveva essere coartata in una società democratica. La proposta di F. si proponeva di debellare le conseguenze sulla salute e sulla vita delle donne, soprattutto di quelle meno abbienti, delle pratiche abortive illegali, che si riteneva ammontassero in Italia ad alcune centinaia di migliaia. F. si pose anche il problema dell’inizio della vita umana e, considerando la pluralità di risposte sulla questione, sostenne l’impossibilità di stabilire sul piano scientifico il momento esatto in cui inizia ad esistere un essere umano e la necessità di tener conto, nella valutazione morale e giuridica dell’aborto, dei valori che in ogni caso concreto possono entrare in conflitto. La proposta di legge di F. constava di undici articoli e considerava ammissibile l’aborto se due medici attestavano l’esistenza di un rischio per la salute fisica o psichica della donna incinta nella continuazione della gravidanza o la possibilità che vi fosse un rischio di malformazioni fisiche o mentali del nascituro. L’aborto illegale e, in misura maggiore, quello di una donna non consenziente era punito invece con pene detentive sino a diciotto anni. Veniva inoltre ammessa l’obiezione di coscienza per i medici. Seguirono le proposte di socialdemocratici, comunisti, repubblicani e liberali e anche quella della DC, che non prevedeva la depenalizzazione del «delitto di aborto». Dopo il referendum del 12 e 13 maggio 1974, che attribuì al fronte a favore del divorzio una vittoria che andava oltre le più rosee previsioni, F. fu in prima linea nella battaglia per la depenalizzazione dell’aborto, promossa dal settimanale «L’Espresso» e dalla Lega del 13 maggio. Il primo dicembre 1975, dopo aver denunciato l’inettitudine parlamentare del suo partito e il tradimento del metodo democratico dei referendum, annunciò le proprie dimissioni da deputato. A causa dello scioglimento anticipato, la proposta di F. sull’aborto decadde e solo nel corso della VII legislatura venne definitivamente approvata la legge 22 maggio 1978 n. 194, Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, in un testo giudicato non sufficientemente permissivo dal movimento femminista e dai radicali che, per via referendaria, intendevano raggiungere la piena liberalizzazione dell’aborto. Il parlamentare friulano venne rieletto alla Camera nella consultazione elettorale del 20 giugno 1976, sostenuto dal Partito radicale, al quale si era iscritto, avendo così una “doppia tessera”. In seguito al ricambio al vertice del PSI, determinatosi nel Comitato centrale del 12 luglio 1976 che elesse Bettino Craxi come segretario generale, F. venne escluso dalla nuova direzione nazionale. Riconfermato alla Camera nelle elezioni del 3 giugno 1979, ricoprì nella VIII legislatura l’incarico di vicepresidente della Camera dal 20 giugno 1979 al primo dicembre 1982 e, successivamente, nel V governo Fanfani, quello di ministro senza portafoglio con delega per il coordinamento della Protezione civile dal primo dicembre 1982 al 14 agosto 1983. Il 9 luglio 1981, nell’annunciare il suo voto favorevole al governo presieduto da Spadolini, lo invitò a prestare una attenzione politica non generica all’appello di cinquantasette Premi Nobel per un’immediata azione a favore della pace, e per la redistribuzione degli enormi sprechi per il riarmo in «contributi urgenti per ridurre la fame nel mondo». Rieletto alla Camera anche nella consultazione del 26 giugno 1983, F. nella IX legislatura presentò il 19 dicembre 1984 la proposta di legge n. 2405 «sulla tutela della dignità della vita e disciplina della eutanasia passiva», con la quale intendeva contemperare il diritto alla vita e il rispetto della persona umana in conformità ai principi della Costituzione, prevedendo la possibilità di interrompere le terapie di sostentamento vitale nelle fasi terminali dell’esistenza umana. F. prestò sempre notevole attenzione ai problemi economici e sociali del Friuli e partecipò attivamente alla formulazione della legge sulle minoranze. Nella IX legislatura fu relatore, presso la Commissione affari costituzionali, sulle proposte di legge in materia di tutela e valorizzazione delle lingue minoritarie (relazione del 3 luglio 1985), sostenendo che non si trattava di una concessione paternalistica dello Stato ma del riconoscimento di un diritto di libertà che avrebbe rafforzato e non affievolito il senso dello Stato stesso. Nella IX legislatura presentò anche la proposta di legge n. 77, «Norme speciali di tutela del gruppo linguistico sloveno». Ricoprì infine, per pochi mesi, l’incarico di ministro senza portafoglio con delega per il coordinamento delle politiche comunitarie. Morì a Roma il 5 dicembre 1985 e riposa nel famedio del cimitero monumentale di Udine. Alle idealità e all’impegno culturale e politico di F. si richiama l’Istituto di studi Loris Fortuna di Udine, che ha promosso la collana della casa editrice milanese Mimesis sui temi della laicità e dei diritti civili “SX/Quaderni Loris Fortuna”.
ChiudiBibliografia
IFSML, Archivio della Federazione di Udine del PSI.
Atti Parlamentari, Proposta di legge n. 2630 (1° ottobre 1965), «Casi di scioglimento del matrimonio»; Proposta di legge n. 3488 (25 giugno 1971), «Riforma del diritto di famiglia»; Proposta di legge n. 1655 (11 febbraio 1973), «Disciplina dell’aborto»; Proposta di legge n. 2405 (19 dicembre 1984), «Norme sulla tutela della dignità della vita e disciplina della eutanasia passiva»; L. FORTUNA, Il Friuli. Tesi per uno sviluppo economico, Udine, Del Bianco, 1963; Divorzio e unità familiare [Quarta tavola rotonda organizzata dal Movimento Gaetano Salvemini il 23 febbraio 1964 al Ridotto dell’Eliseo], Roma, Nuova Grafica Romana, 1964 (estratto da: «Montecitorio», 1964, n. 3-4); P. FORTUNA - L. JORIO - A. PANDINI, Rapporto sul divorzio in Italia, Milano, Sugar, 1966; L. FORTUNA, Il divorzio, Milano, Mursia, 1974.
Necrologi in: «Avanti!», 6 e 8-9 dicembre 1985; «MV», 6-7-8 dicembre 1985; «L’Unità», 6 dicembre 1985; A. COLETTI, Il divorzio in Italia. Storia di una battaglia civile e democratica, Roma, Savelli, 1974, indice; F. MORABITO, La sfida radicale, Milano, SugarCo, 1977, indice; M. TEODORI - P. IGNAZI - A. PANEBIANCO, I nuovi radicali. Storia e sociologia di un movimento politico, Milano, A. Mondadori, 1977, indice; A. MORETTI, La Resistenza armata di fronte alla DC nel 1943 in Friuli, «Storia contemporanea in Friuli», 9/10 (1979), 234 s.; M. LIZZERO, L. Fortuna, ibid., 16 (1985), 197 s. ... leggi; G. PAGANO, Loris Fortuna, intimo e politico, Roma, Ardini, 1990; A. BANDINELLI, scheda, in Il Parlamento italiano 1861-1988, XX. Fra Stato sociale e contestazione. Da Rumor ad Andreotti 1969-1972, Milano, Nuova CEI, 1992, 65 s.; Z. CIUFFOLETTI - M. DEGL’INNOCENTI - G. SABBATUCCI, Storia del Psi, III. Dal dopoguerra a oggi, Roma-Bari, Laterza, 1993, indice; G. SIRCANA, Fortuna, Loris, in DBI, 49 (1997), 219-221; L. MORANDINI, Promemoria friulano, Pasian di Prato (Udine), Campanotto, 1998, 60-71; A. CHIMENTI, Storia del referendum. Dal divorzio alla riforma elettorale, 1974-1999, Roma-Bari, Laterza, 1999, indice; G. SCIRÈ, Il divorzio in Italia. Partiti, Chiesa, società civile dalla legge al referendum (1965-1974), Milano, B. Mondadori, 2007, indice; ID., L’aborto in Italia. Storia di una legge, Milano, B. Mondadori, 2008, indice; Amore civile. Dal diritto della tradizione al diritto della ragione, a cura di F. BILOTTA - B. DE FILIPPIS, Milano/Udine, Mimesis/SX, 2009; Laicità e filosofia, a cura di G. MILIGI - G. PERAZZOLI, Milano/Udine, Mimesis/SX, 2010; N. ORLANDI, Come eravamo. Storie di avvocati friulani del secolo appena trascorso, Venezia, Marsilio, 2010, 41-50.
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