«Kunstmaler in Graz»: così si definiva Francesco B., uno dei tanti pittori gemonesi che praticavano questa forma di emigrazione. Era nato nel 1847 a Gemona e iniziò, come di consuetudine, a lavorare giovanissimo a dodici anni senza alcuna istruzione, «rubando il mestiere», come scrive Franca Merluzzi. Questi pittori lavoravano tra compaesani, impostando il lavoro su base familiare. Francesco ebbe notevole abilità manuale ed una innata curiosità intellettuale, che lo spinse a collezionare stampe e libri. Nel 1859 iniziò a lavorare in Croazia come garzone di Tomaso Fantoni, nel 1867 era stato aiutante del pittore Luigi Stella, nel 1868 era entrato nella bottega di Giacomo Brollo e si era trasferito al seguito del fratello maggiore a Graz, dove operava una folta comunità di gemonesi impiegati nelle costruzioni e nelle decorazioni di chiese. Qui dimorò con la moglie Anna dal 1876 al 1887, affrescando chiese, conventi, edifici pubblici e privati in città, in Stiria e Carinzia. Con l’eccezione dello Johannenhof, un edificio residenziale costruito da Giacomo Ceconi, gran parte delle sue decorazioni fu distrutta, né ebbero sorte migliore quelle eseguite nel salisburghese (1883) e a Badgastein con le imprese di Valentino Ceconi e Angelo Comini. A questo periodo risale probabilmente un album di lavoro di sessantatré fogli, da mostrare a possibili committenti o usato per rapidi schizzi. Nel 1904 Francesco rientrò definitivamente in patria e su committenza di Giacomo Ceconi affrescò la chiesa (1905-1906) e il castello di Pielungo (1905-1908) con sfondati tiepoleschi, un curioso bagno pompeiano, ritratti di artisti e scienziati. ... leggi L’architetto Silvano Crapiz elenca puntigliosamente le numerose decorazioni a soggetto religioso, in cui Francesco non ricercava l’originalità, ma esercitava un dignitoso mestiere. Particolarmente riuscita è la decorazione a pittura e stucco della chiesa di S. Margherita a Sappada, di cui rimangono ancora i bozzetti. Non disdegnò l’esecuzione di insegne, tabernacoli e affreschi votivi e ricoprì un rilevante ruolo culturale a Gemona, presiedendo nel 1912 la Società vincoli d’arte; si interessò di fotografia e meccanica e amò anche la musica suonando la fisarmonica. Alla sua morte, nel 1918, Francesco lasciò la bottega al figlio Giuseppe.
Giuseppe era nato a Gemona nel 1890, aveva imparato dal padre il mestiere, integrandolo con la frequenza dell’Accademia di Venezia dal 1907 al 1911. Dagli anni Venti abbinò al mestiere di decoratore, la pratica artistica. Nei bozzetti di paesaggio sperimentò un linguaggio artistico autonomo, basato sull’uso del colore e sulla tecnica divisionista. Soggiornò con Giovanni Napoleone Pellis nei luoghi più appartati della montagna friulana: Sauris, Forni di Sotto e di Sopra, Resia. Giuseppe fu presente alla Mostra di emulazione di Udine nel 1921, alla Mostra degli artisti della Venezia Giulia di Gorizia (1924) e alle Biennali d’arte di Udine (1926 e 1928). Negli anni Trenta abbandonò la libertà pittorica dei bozzetti montani per aderire allo stile “Novecento”, valorizzando i rapporti tra forma e volume; nelle mostre del 1931, del 1934-1935 e 1937 lo smagliante cromatismo cedette il posto a toni grigi e bruni. Dai primi anni Venti al 1927, Giuseppe B. fu direttore artistico del mobilificio Fantoni di Gemona e progettò arredamenti in stile rustico esposti alle Botteghe d’arte di Venezia e alle Esposizioni di Cividale (1921 e 1925), alla I (1923) e III (1927) Biennale di Monza; fece eccezione l’arredo “Novecento” per la casa di Sequals del pugile Primo Carnera. Negli anni Trenta la sua attività prevalente fu la preparazione delle mostre gemonesi del 1931 e 1935. A poco a poco la sua attività pittorica rallentò per dare spazio all’attività di decoratore, iniziata nel 1906 e che costituiva la principale fonte di reddito. Negli anni Dieci le iconografie angeliche di ispirazione Liberty diventarono quasi una sua sigla nel santuario di Ribis e nella chiesa di Rivalpo di Carnia. Negli anni Venti la sua pittura, preraffaellita più che Liberty, si ispirò a Galileo Chini applicando la tecnica divisionista nelle parrocchiali di Manzano (1920), San Giovanni al Natisone (1921) e nella Cripta dei Caduti di Tarcento (1927), con riprese egizie e neobizantine. Nella pittura decorativa a soggetto religioso accentuò il simbolismo, evidente nella chiesa di S. Andrat al Cormor (1939), per aderire negli anni Trenta alla pittura volumetrica della corrente “Novecento”, come si nota a Pradamano (1927-1930), Stolvizza di Resia (1930 ca.), Tavagnacco e Lavariano (1937) e Laipacco (1939). La prematura scomparsa nel 1940 ne oscurò la memoria; prima degli studi recenti fu infatti ricordato solo da Carlo Mutinelli nella mostra Aspetti d’arte sacra in Friuli dal 1900 ai giorni nostri organizzata dalla FACE tra il dicembre 1953 e il gennaio 1954.
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