Nato a Udine il 16 marzo 1902 da Giulio e Giuseppina Francescato, trascorse l’adolescenza nel capoluogo friulano fino alla rotta di Caporetto, quando si trasferì a Firenze. Rientrato a Udine, conseguì la maturità tecnica nel 1920 e si iscrisse al biennio di ingegneria a Bologna; quindi si trasferì a Roma per frequentare la Facoltà di architettura, appena costituita. Si laureò nel novembre 1925, ma già nel corso delle vacanze estive aveva potuto frequentare lo studio di Arduino Berlam ed è denso di riferimenti all’architettura del professionista triestino il progetto per la sistemazione di piazza Oberdan che ottenne il secondo premio al concorso nazionale. Superato l’esame di stato (il suo è il diploma numero uno) A. tornò a Udine e, accanto all’insegnamento presso la Scuola professionale di Maiano (sezione muratori, fabbri, falegnami ebanisti), dove fu chiamato da Alberto Calligaris, iniziò la carriera di libero professionista, partecipando a numerosi concorsi, come quello per lo Stabilimento balneare di Grado, la sede della Cassa di risparmio di Milano, la Scenografia Cinematografica (bandito dalla società CAIC-SA nel 1927), ma furono soprattutto i progetti per le Terme littorie, promossi dalla «Rivista illustrata del popolo d’Italia» nel 1926, a decretarne la notorietà, anche se l’arditezza strutturale delle sue visioni architettoniche non fece breccia nella giuria. Due anni dopo l’Università dello Sport conquistò e affascinò, facendo pensare a un Piranesi volto alla contemporaneità. Come componente della Commissione d’ornato del comune di Udine condusse, in nome dell’architettura moderna, una battaglia contro gli stili del passato e l’eclettismo ancora tanto apprezzato. ... leggi Durante la permanenza a Udine progettò le tombe per il fratello Marcello (1924), per la famiglia Castagnoli e quella materna (1928). A. affrontò il tema dell’architettura industriale (i “Silos”, tra i quali quello per la cartiera di Tolmezzo, 1929), nella quale mise in luce una vena espressionista che gli avrebbe meritato il soprannome di “Mendelsohn” italiano), anche se, a differenza dell’architetto tedesco che non disegna mai le piante, secondo Marco Pozzetto i progetti di A. «sono dichiaratamente architettura e non fantasia architettonica». Rilevante anche la sua produzione di arredi in collaborazione con il mobilificio Torossi (casa Miani, 1926; casa e negozio Basevi 1927-1928; palazzo Camavitto, 1938) e l’opera di sensibilizzazione verso il moderno delle arti applicate friulane. Esemplare al riguardo è l’intervento su «La Panarie» del 1927. Nel 1929 si trasferì a Torino dove si associò allo studio dell’ingegner Arrigo Tedesco-Rocca, un professionista di livello, la cui attività principale consisteva nella progettazione di interni. Anche in questa collaborazione A. apportò la sua sensibilità innovativa, così villa Berio ad Alassio (1930) e casa Verona a Torino (1931), dove le concessioni alla modernità sono frutto dell’intervento dell’architetto friulano. Aderì al gruppo torinese del MIAR (Movimento italiano per l’architettura razionale) e partecipò al concorso per il primo (1931) e il secondo tratto (1933) di via Roma a Torino, insieme a Giuseppe Pagano, Ettore Sottsass, Umberto Cuzzi, Gino Levi-Montalcini. Nel 1933, con l’ingegner Tedesco Rocca, partecipò al concorso per la Stazione Marittima di Napoli (ammesso al secondo grado) e vinse il primo premio del concorso bandito dalla V Triennale con gli Alberghetti di mezza montagna (con Cuzzi e Sottsass). Vinse l’appalto concorso per la Casa Littoria e il Palazzo del governo di Asti nel 1934 e partecipò al concorso per il palazzo del Littorio a Roma, progetto che, come quello per Asti, interpretava il razionalismo in chiave aerodinamica, dominata dal fluido intersecarsi di elementi curvilinei e volumi cilindrici. Tra i temi progettuali affrontati, vi era quello dell’albergo (progetti per Plateau Rosa, Breuil e Cervino, 1938) e della sala cinematografica, in particolare il cinemateatro Ideal a Torino (1938). Dal 1933 cominciò a insegnare presso la Facoltà di architettura di Torino, dapprima come assistente di composizione architettonica, quindi di scenografia e, ancora, di architettura degli interni, arredamento e decorazione, fino al 1969, anno delle dimissioni dall’incarico. Dopo il secondo conflitto mondiale A. ebbe un ruolo attivo nella ricostruzione, infine nel 1951 realizzò il complesso ILTE, il maggior stabilimento tipografico italiano dell’epoca, quindi seguì una nutrita serie di progetti, fino al 1959, quando realizzò il palazzo SIPRA che costituisce, a detta di Pozzetto, il suo capolavoro, al quale può essere accostato il palazzo SIP sempre a Torino (1966). A. morì a Torino il 24 gennaio 1986. Il suo archivio è stato donato ai Civici musei di Udine e consente di analizzare un sessantennio di attività di un progettista che a buona ragione si può definire “architetto artista”.
ChiudiBibliografia
Udine, Civici musei, Gallerie del Progetto, archivio Aloisio.
M. POZZETTO, Vita e opere dell’architetto udinese Ottorino Aloisio, Torino, a cura dell’autore, 1977; DAMIANI, Arte del Novecento II, 209-221; M. POZZETTO, Ottorino Aloisio, scheda, in Arti a Udine, 367-368; G. BUCCO, Il labile confine tra arte e artigianato. Per una storia delle arti applicate in Udine, ibid., 201-237: 214-215.
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