Nacque a Udine verso il 1520 da Natan o Donato, come appare negli atti notarili udinesi. Il padre, evidentemente di origine ashkenazita come suggerisce l’appellativo Aschanasi, fu attivo a Udine durante la prima metà del Cinquecento: compare infatti con la famiglia, il 18 dicembre 1543, nell’elenco degli Ebrei residenti a Udine in calce alla delibera delle autorità locali che proibiva loro il transito per le vie della città in occasione delle processioni del Santissimo Sacramento. Non se ne conosce la data della morte che dovette avvenire tra la fine del 1543 e il 1545, anno in cui egli risulta già deceduto. La famiglia Aschanasi seguì probabilmente le sorti degli Ebrei residenti a Udine che, nel 1556, vennero espulsi dalla città con l’accusa di avervi introdotto la peste. Sappiamo che i figli di Donato, Moisé e Samuele, si stabilirono a Gemona, le figlie Sara, moglie di Vita del fu Moisè ed un’altra di cui si ignora il nome, moglie di Abraham Basseva (Basevi), si trasferirono con i loro mariti nella Terraferma veneta, rispettivamente a Oderzo e a Verona. Un altro figlio, di cui non si conosce il nome, consta che si fosse trasferito in Polonia. Infine compare un Hieronimo o Girolamo Thomasino o Tomasini, convertitosi al Cristianesimo prima del 30 giugno 1561, il quale aveva preso dimora nel 1574 con i figli Cornelio e Thomaso a Cividale del Friuli. S. studiò probabilmente a Padova dove, come ipotizza Benjamin Arbel, conseguì la laurea in medicina in data imprecisata. Pare che, prima di stabilirsi a Costantinopoli, dove risulta già attivo verso la metà degli anni Sessanta, S. avesse soggiornato a Cracovia, dove fu forse medico del re Sigismondo II Augusto I Jagellone. ... leggi A Costantinopoli, l’A. divenne medico dei baili Vettor Bragadin (1564-66), Giacomo Soranzo (1566-68) e Marcantonio Barbaro (1568-72) e, grazie ai loro buoni uffici, venne nominato medico personale e consigliere del gran visir Mehmed Sokollu o Sokolli (1565-79). Nel 1571 ebbe infine l’incarico di medico della nazione veneta a Costantinopoli con uno stipendio annuo di circa 70 ducati. Durante il conflitto fra l’Impero ottomano e la Lega santa, l’A. si trovò nella delicata posizione di conciliare la sua fedeltà alla Serenissima, alla quale era legato da antichi vincoli, e la sua posizione a Costantinopoli. Si adoperò per far pervenire segretamente a Venezia la corrispondenza del bailo Marcantonio Barbaro e, per questo, venne ripetutamente arrestato ma sempre liberato grazie alla protezione del gran visir Sokollu, contrario al conflitto. Non stupisce pertanto che, dopo la battaglia di Lepanto, S. o alla turca «Allaman Oglou», ricevesse da Sokollu l’incarico di condurre le trattative di pace con i Veneziani. Assieme al dragomanno Ali bey, l’A. fu l’estensore degli accordi sottoscritti dalle due parti nel marzo del 1573. Nella stessa occasione l’amicizia della Serenissima gli consentì di far revocare, il 29 giugno 1573, il bando di espulsione degli Ebrei da Venezia decretato dal Senato il 18 ottobre 1571. L’A. fu di nuovo a Venezia, dal giugno al 14 settembre 1574, impegnato nelle trattative fra la Repubblica e la Porta per la definizione dei confini tra la Serenissima e l’Impero ottomano in Dalmazia. In tale occasione l’A. non dimenticò i suoi parenti che ancora vivevano in Friuli. Riuscì infatti ad ottenere dalle autorità veneziane per i figli del suo defunto fratello Samuele, tra i quali un Natan, il rinnovo dei privilegi, a suo tempo accordati, per la prosecuzione del banco che costoro, come si evince da una ducale del primo settembre 1574, gestivano a Gemona fin dal 1545. L’attività di mediatore dell’A. non si limitò tuttavia all’ambito veneziano. Tra il 1574-75 fu implicato, senza successo, con altri Ebrei nelle vicende dell’elezione del re di Polonia sostenendo la candidatura del duca di Ferrara, Alfonso II d’Este. Lo vediamo quindi nel 1578 adoperarsi in favore della ripresa dei rapporti diplomatici fra il Granducato di Toscana e la Porta. L’uccisione, il 12 ottobre del 1579, del gran visir Mehmed Sokollu, suo grande protettore, segnò l’inizio della decadenza delle sue fortune alla corte ottomana tanto che, in una lettera del 1581, l’A. si definiva «vecchio e povero», segno ormai che anche le attività economiche ed imprenditoriali, sviluppate nel corso degli anni parallelamente all’attività diplomatica, erano in netto declino. Inoltre, proprio in quell’anno, la sorte lo colpì negli affetti più cari con la perdita di due dei quattro figli avuti a Costantinopoli dalla moglie, l’ebrea Boula Eksati, anch’essa esperta nell’arte medica. Non si conosce la data della sua morte, avvenuta a Costantinopoli negli ultimi anni del regno di Mehmed III, prima comunque del 22 dicembre 1603, data di ascesa al trono del giovanissimo sultano Ahmed I, che venne curato dal vaiolo dalla sua vedova Boula Eksati. La Serenissima gli rimase sempre grata. Quando nel luglio del 1605 suo figlio Natan, che nel nome perpetuava la memoria del nonno paterno, giunse a Venezia come inviato del sultano, venne accolto favorevolmente dal Collegio e dal doge Marino Grimani i quali, in omaggio alla figura del padre, gli concessero l’esenzione dal pagamento del dazio sulle merci qui acquistate fino al valore di 40.000 ducati.
ChiudiBibliografia
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