Nacque nel 1707 ad Attimis, presso Udine, da Girolamo Attimis dell’Orso e dalla nobile Taddea Ridolfi Codroipo di Cordovado, primo di diciassette figli. Dopo avere frequentato il Seminario di Udine, studiò all’Università di Padova dove ebbe per docente di umanità greca e latina padre Domenico Lazzarini. A Padova conobbe i gesuiti e maturò in lui il desiderio di entrare nell’ordine per dedicarsi a una vita di missione. Nel 1725 iniziò il noviziato a Bologna, nel 1727 si trasferì a Piacenza per studiarvi filosofia, poi tornò a Bologna per un corso di teologia e matematica, ebbe incarichi di insegnamento ai novizi a Imola, Piacenza, Parma. Nel 1741 pronunciò i voti. Destinato alla Cina, a Nankino, una delle missioni più vaste, partì nel gennaio 1744 da Lisbona con altri compagni. Doppiato il Capo di Buona Speranza, giunse a Macao il 13 settembre 1744 dopo avere affrontato una tempesta e per due volte minacce di corsari. Nel 1745 riprese il viaggio fino a Nankino. La situazione dei gesuiti in Cina, paese dove dalla seconda metà del Cinquecento essi si erano imposti con l’opera di Matteo Ricci che aveva professato stima per le tradizioni confuciane, era in quel momento critica, in quanto Roma imponeva loro di trascurare con rigore le usanze cinesi. La revoca da parte di Benedetto XIV nel 1742 di ogni concessione fatta in tale direzione provocò la reazione dei poteri locali che considerarono i missionari nemici della civiltà. I beni delle chiese furono confiscati, i cristiani incarcerati e privati delle loro sostanze. ... leggi A. si trovò a dovere operare nel clima di una persecuzione che nel 1746 fu condotta in modo violento su tutto il territorio e si vide costretto a esercitare l’apostolato nell’ombra insieme con il padre portoghese Antonio Joseph Henriquez, suo superiore a Nankino. Nel 1747 i due gesuiti furono denunciati da un cinese che li tradì perché chiedeva del denaro a uno dei catechisti di padre Henriquez. L’11 dicembre 1747 A., arrestato presso Shangai, fu condotto in carcere e con lui anche Henriquez. In un primo momento il mandarino del luogo dimostrò rispetto per A., ma la situazione andò precipitando: il mandarino fu trasferito, la prigionia diventò sempre più dura, i due missionari furono portati nelle carceri comuni, sottoposti a torture fino alla sentenza imperiale di morte per strangolamento in conformità alle leggi, in quanto colpevoli di avere ingannato il popolo con l’insegnamento di una falsa dottrina. A. e Henriquez furono uccisi nella cella la notte del 14 settembre 1748. Oltre a loro la persecuzione colpì in quegli anni anche cinque domenicani e un francescano con alcuni fedeli. I gesuiti vollero raccontare la tragica storia dei due confratelli con tutti i particolari della loro prigionia e della loro morte affidandola a una pubblicazione uscita a Lisbona nel 1751 e tradotta l’anno dopo in italiano, opera in cui A. e Henriquez sono presentati come due martiri della fede. L’opuscolo in un primo momento passò sotto silenzio, in quanto l’ordine gesuitico fu travolto da una campagna denigratoria che li accusava dei peggiori crimini e intrighi, come la complicità nell’attentato in cui nel 1758 fu ferito il re del Portogallo Giuseppe I, pretesto per il primo ministro Pombal per la loro espulsione dal paese e dalle colonie e il sequestro delle loro proprietà. Nella campagna antigesuitica di quegli anni si accenna anche al martirio di A. e di Henriquez raccontato nell’opuscolo del 1751, la cui autenticità viene messa in dubbio, in quanto si vuole presentare lo scritto come un’operazione di glorificazione voluta dell’ordine dopo che era stata stampata un’allocuzione pontificia per l’uccisione di cinque padri domenicani in Cina, insinuando anche che Roma non fosse convinta della veridicità della storia dei due gesuiti. Dopo altre espulsioni, come dalla Francia, dalla Spagna, dal Regno di Napoli, da Malta, da Parma, l’ordine gesuitico fu sospeso nel 1773 e le missioni della Cina furono chiuse. La storia di A. fu ripresa alla fine dell’Ottocento, quando A. fu proposto per la beatificazione. Tra 1895 e 1897 fu aperto un primo processo informativo sulla base di ricerche effettuate negli archivi di Shangai dove era stata trovata la registrazione della sentenza di morte con le motivazioni della condanna. La Congregazione romana dei sacri riti il 20 febbraio 1906 ritenne validi i processi informativi, riconoscendo che A. fu ucciso in odio alla fede. Una lapide ricorda oggi A. nella cappella gentilizia della villa di Attimis dove nacque. Nel duomo di Cordovado, città natale della madre, nella pala dell’altare maggiore, opera del pittore Pino Casarini (1962), il beato Tristano d’Attimis è raffigurato con sant’Andrea a fianco della Madonna con Bambino, mentre nella predella sono narrati episodi della vita sia di Tristano sia di sant’Andrea.
Chiudi
Nessun commento