AUGUSTO

AUGUSTO

vescovo di Concordia

A. fu vescovo di Concordia verso la fine del VI secolo, un momento particolarmente travagliato per la storia dell’Ecclesia nelle “Venetiae” e per il destino della cittadina concordiese e delle sua sede vescovile, tra la riconquista bizantina dell’Italia e l’affermazione del regno longobardo e le profonde lacerazioni e gli scontri con il papato e l’Impero in conseguenza della controversa questione politico-religiosa che conosciamo con il nome di scisma dei Tre Capitoli. A. fu successore del vescovo Chiarissimo, che rappresentò la cattedra concordiese nel sinodo di Grado del 579 e in quello di Marano del 590: riunioni in cui si affermò esplicitamente la posizione scismatica dei presuli della provincia ecclesiastica aquileiese nei confronti della linea dottrinale romana, sostenuta dall’Impero, in merito alla questione della natura di Cristo. Ciò avvenne con la rinnovata e incondizionata professione di fede dell’ambito aquileiese nei dettami del concilio di Calcedonia (451) e degli altri tre precedenti concili ecumenici di Nicea (325), di Costantinopoli (381) e di Efeso (431), in opposizione alle decisione espresse invece nel concilio Costantinopolitano II del 553, ove si condannarono i Tre Capitoli nei quali si ammettevano le due nature, umana e divina del Cristo, pur unite nella medesima persona. Un problema dogmatico che fu a lungo motivo di discussione e diatriba tra le Chiese d’occidente e quelle d’oriente, divenendo però, tra VI e VII secolo, anche occasione di un profondo scontro politico, soprattutto nella penisola italiana, visto che alle tendenze autonomistiche e alle aspirazioni metropolitiche della Chiesa aquileiese si sovrappose anche la contrapposizione tra Bizantini e Longobardi. Durante l’episcopato del patriarca Severo (586-606), le posizioni si radicalizzarono allorché i Bizantini, su invito del papa, intervennero con la forza per ricomporre lo scisma. ... leggi In questo quadro si staglia la vicenda di A. che nel periodo immediatamente successivo al sinodo di Marano dovette essere elevato alla dignità vescovile, visto che lo ritroviamo quale sottoscrittore di una lettera inviata, nel 591, all’imperatore Maurizio. In questa missiva «Augustus, episcopus sanctae catholicae Concordiensis Ecclesiae», come viene ricordato, assieme ad altri nove presuli delle diocesi che si trovavano nel territorio soggetto ai Longobardi, rivolsero una supplica all’imperatore affinché il metropolita e i confratelli non fossero più sottoposti alle persecuzioni dell’esarca. Una protesta che nacque soprattutto contro le ingiunzioni di papa Gregorio Magno il quale dopo le posizioni assunte a Marano aveva inviato a Severo e ai suoi provinciali pressanti inviti di riunione a Roma con l’intenzione di risolvere la controversia. Nell’appello a Maurizio venne prospettato dai sottoscrittori, come possibile conseguenza di un’eventuale azione violenta contro di loro, la rinuncia dei vescovi di quei territori a farsi consacrare dai confratelli di area bizantina e di rivolgersi invece a quelli delle Gallie, dissolvendo in tal modi l’unità della metropoli aquileiese. Un argomento che dovette risultare di una certa forza, visto che l’imperatore impose al papa di evitare per il momento qualsiasi intervento. La presenza di A. in un elenco di presuli provenienti dall’area longobarda ed il tono generale della missiva sembrerebbero avere un significato storico di una certa rilevanza, soprattutto per stabilire la posizione di Concordia nella situazione alquanto dinamica degli equilibri territoriali che si andavano definendo tra Bizantini e Longobardi. In quel periodo nella cittadina del veneto orientale il vescovo poteva probabilmente contare su un nucleo cultuale ancora efficiente, posto nell’area dell’odierna cattedrale di Santo Stefano. Qui era forse ancora in uso la grande basilica paleocristiana, eretta alla fin del IV secolo, prima che un incendio ne segnasse l’abbandono probabilmente proprio fra lo scorcio del VI ed il VII secolo. Successivamente sopravvisse solo la basilichetta che si era sviluppata dalla trichora posta sul lato meridionale dell’edificio principale. L’epoca di A. segna dunque un momento di profondi cambiamenti in ambito concordiese. Dopo la sua menzione bisognerà attendere oltre un secolo, fino cioè al sinodo romano del 731, per trovare il ricordo di un altro vescovo concordiese.

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Bibliografia

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