Nacque il 20 giugno 1840 a San Tomaso di Maiano (Udine), da Baldassare, originario di Gemona, ed Elisa Modesti. Nel paese pedemontano, la famiglia del padre occupava da tempo una posizione di un certo rilievo, ma speciale importanza nella formazione di B. ebbero il fervore religioso della madre Elisa e la saggezza e facondia del nonno Antonio Modesti (1768-1858), già amministratore dei beni dei conti di Colloredo e autore di memorie sulle battaglie napoleoniche in Friuli del 1809 e di vari altri scritti inediti di argomento economico. L’ingente patrimonio ereditato dal nonno materno consentì poi a B. di svolgere la sua attività di studioso al riparo da angustie materiali. Avviato dalla famiglia agli studi ecclesiastici, venne iscritto nel 1853 al ginnasio del Seminario udinese, nel quale si stava allora procedendo all’epurazione degli insegnanti compromessi con i moti patriottici del 1848. Nel 1857, terminati gli studi liceali e morta da poco la madre, entrò nel Collegio Romano, grazie ai buoni uffici del cardinale friulano Fabio Asquini, importante prelato della curia vaticana. Il susseguirsi di lutti familiari interruppe però i suoi studi romani: morto nel 1858 il nonno Modesti, nel 1859 e nel 1860 vennero stroncati dalla tisi il fratello maggiore e il padre. Costretto a rientrare a Gemona, proseguì gli studi nel Seminario di Udine e nel 1863 venne ordinato sacerdote. Morto nel 1865 il fratello Alessandro, rimase solo ed in condizioni precarie di salute; perciò, su consiglio dei medici e confortato da una notevole sostanza personale, rinunciò alle incombenze proprie del clero in cura d’anime e si dedicò per diversi anni alla propria personale istruzione, viaggiando in Italia e all’estero. Stava allora maturando nel mondo cattolico friulano l’intransigentismo, schierato a difesa del potere temporale dei papi, e inteso a negare legittimità al nuovo Stato liberale. ... leggi B., pur evitando di simpatizzare apertamente per l’unità, nelle sue carte private si espresse con pungente ironia sul clericalismo montante, legandosi ben presto con gli ambienti laici gemonesi, ove spiccavano personalità come Antonio e Fabio Celotti, Luigi Billiani, Antonio Zozzoli, Valentino Ostermann, Daniele Stroili. Verso la metà degli anni Settanta fornì i suoi primi saggi di ricerca storica ed archivistica, con qualche breve scritto dedicato a cose e figure ecclesiastiche locali. All’inizio degli anni Ottanta, assistito dall’amicizia e dall’esperienza di Vincenzo Joppi, prese ad occuparsi sistematicamente dell’archivio comunale gemonese, progettando nel contempo l’istituzione di una biblioteca pubblica, e sottraendosi garbatamente alle pressioni dell’arciprete di Gemona Pietro Forgiarini che avrebbe voluto impegnarlo nella costituzione di un circolo parrocchiale di lettura. Il nucleo originario di tale biblioteca – che si costituì nel 1888 e si identifica oggi con la Civica biblioteca glemonense – fu il suo personale patrimonio librario, ricco di oltre quattromila volumi. La sua attività di studioso trovò alimento nel quotidiano spoglio e riordino degli archivi comunale e parrocchiale. Postosi in linea di continuità con Liruti, ma soprattutto con l’abate Bini, che nel Settecento, da arciprete di Gemona, li aveva ampiamente sondati e regestati, B. ricevette nel 1881 dalla giunta comunale l’espresso incarico di procederne al riordino. Con l’aiuto di Alessandro Wolf – che già in precedenza si era occupato delle carte gemonesi –, Vincenzo Joppi e Valentino Ostermann, si diede perciò alla sistemazione cronologica del materiale, arricchendo le raccolte già predisposte dal Bini di indici di varia natura, ma anche fornendo ex novo i regesti dei quaderni dei massari e delle delibere consiliari tra il 1346 e il 1437. Sulla traccia di un precedente lavoro del Wolf, conosciuto con il nome di Diplomatarium Glemonense, si diede alla compilazione e trascrizione di documenti, relativi in special modo al duomo di S. Maria Assunta, che, raccolti e trascritti poi da Antonio Tessitori in una Appendice, costituiscono ancor oggi una guida di estrema utilità nei percorsi impervi dei quaderni dei camerari. B. pose così rimedio allo stato di abbandono in cui l’archivio era stato tenuto per quasi un secolo e al tempo medesimo si formò, durante un trentennio, un quadro così vasto ed accurato di conoscenze da stupire ancor oggi chi si accosti alla storia, specialmente artistica, di Gemona, tanto che si potrebbe rivolgere a lui lo stesso apprezzamento che egli aveva indirizzato all’abate Bini: «Nemo scivit quod Binius nescivit». Queste, ed altre iniziative culturali “laiche” di B., fecero sì che gli si formasse attorno la nomea, se non proprio di prete liberale, quantomeno di persona insofferente delle briglie clericali. Sicché in più di un’occasione il quotidiano udinese «Il Cittadino italiano», esponente del clericalismo locale, non mancò di censurare gli scritti del sacerdote gemonese, il quale fin dal 1885 aveva aderito alla Società operaia di mutuo soccorso di Gemona, costituitasi nel 1874 sull’impulso di precedenti iniziative e scritti del sindaco Antonio Celotti e ben presto qualificata dai clericali come “liberal-massonica”. Nondimeno B. partecipò alle più notevoli iniziative della società, ed in special modo all’attività della nuova Scuola d’arte applicata all’industria, sorta nel 1883 in sostituzione della vecchia e ormai inadeguata scuola di disegno per gli artigiani. Membro per lunghi anni della commissione di vigilanza e del consiglio direttivo, vi insegnò religione, storia, geografia e francese. Rimase socio della Società operaia anche dopo la defezione, nei primi anni Ottanta, di non pochi cattolici, che nel 1884 costituirono il concorrente Circolo di S. Giuseppe. Soltanto nel 1892, preso atto che l’enciclica di Leone XIII, Rerum novarum (1891), aveva prescritto ai cattolici di uscire dalle società operaie laiche, e di formarne invece di proprie, improntate ai valori cristiani, uscì quietamente e senza polemiche dalla comune. Alla crescente attività pubblicistica, che tra la fine degli anni Ottanta e tutti gli anni Novanta lo vide collaborare frequentemente con il quotidiano «La Patria del Friuli», occasionalmente con il «Il Cittadino italiano» e regolarmente con la rivista «Pagine friulane», si accompagnò la pubblicazione di quasi un centinaio di opuscoli, per lo più intorno alle memorie storiche ed ai monumenti artistici, civili e religiosi di Gemona. L’origine per lo più occasionale di tali lavori – spesso pubblicazioni per nozze – non gli consentì di attribuire loro un vasto respiro storico, ma in non pochi di essi B. seppe comunque intrecciare sapientemente le vicende dei monumenti con la storia della comunità gemonese. Nel 1891, redigendo una guida storica ed artistica da Gemona a Venzone, seppe anche proporre una sintesi piana e scorrevole dei risultati complessivi delle sue ricerche e fornire un’illustrazione storica sobria e concisa delle due comunità. All’inizio degli anni Novanta la sua attività di studioso della storia e del patrimonio artistico locale ebbe i primi riconoscimenti ufficiali: la croce di cavaliere del Regno nel 1891, ma soprattutto, nel 1893, l’incarico di R. ispettore onorario ai monumenti per l’area di Gemona, Tarcento e Moggio. Infatti, mentre la diocesi udinese non parve apprezzare le sue proposte in materia di edilizia sacra, il governo dei Savoia riconobbe i meriti che egli si era guadagnato, specie nel corso della lunga e complessa vicenda dei restauri della chiesa di S. Giovanni Battista di Gemona, che ospitava il soffitto a lacunari dipinti da Pomponio Amalteo e che vide impegnati su diversi fronti personaggi eminenti della critica e del restauro artistico quali Giovanni Battista Cavalcaselle e Giuseppe Uberto Valentinis. In veste di ispettore, B. ebbe modo di assolvere con competenza pressoché unica ai compiti che gli vennero affidati: la catalogazione e la tutela del patrimonio. Non sempre tuttavia fu in grado di intervenire con decisione e tempestività nei casi critici che gli si presentavano, sia a Gemona sia a Venzone. B. praticò anche la pittura, particolarmente negli anni tra il 1872 ed il 1887. Autodidatta, subì l’influenza di quella “scuola gemonese” che nella seconda metà dell’Ottocento si fece conoscere nei suoi più validi esponenti – i Fantoni, i Brollo, i Barazzutti – anche nei paesi dell’Impero asburgico. Il catalogo delle opere di B. si compone di sedici dipinti esistenti e di altri undici non reperiti. Si tratta di pale d’altare anche di buona dimensione (a Pradipozzo, Monteaperta, Castions di Strada, Castelnovo del Friuli), di opere di contenuto sacro (lunettoni nella parrocchiale di Treppo Grande, dipinti nel Museo Raffaelli di Gemona ecc.) e di ritratti, i cui caratteri stilistici appaiono fedeli all’iconografia classica, per lo più rinascimentale, mostrando altresì una discreta padronanza della tecnica pittorica. A cavallo del nuovo secolo fu costretto dal declinare della salute – soffriva di sordità e di disturbi cerebrali e circolatori – a diminuire la sua attività di conservatore dei monumenti e di archivista. Nel suo testamento, redatto tra il 1904 e il 1906, trasferì la massima parte dei suoi beni all’ospedale di S. Michele, con il vincolo di istituire un orfanotrofio che si sarebbe dovuto chiamare «Pia Opera Baldissera-Modesti». Il 26 giugno 1906 si spense nella sua casa di borgo Zuccola a seguito di un’emorragia cerebrale che l’aveva colto dopo un intenso lavoro di spoglio dell’archivio comunale.
ChiudiBibliografia
Opere di V. Baldissera: Il palazzo comunale di Gemona: notizie storiche, Gemona, Bonanni, 1883; La chiesa di S. Giovanni in Gemona e il suo soffitto dipinto da P. Amalteo, Udine, Doretti, 1884; L’ospedale di S. Maria de’ Colli di Gemona, Venezia, Visentini, 1887; L’ospedale di San Michele in Gemona, Gemona, Tessitori, 1887; Degli uomini degni di ricordanza in Gemona. Note biografiche raccolte da Valentino Baldissera, Udine, Tip. del Patronato, 1888; Cronichetta della chiesa e fu convento di S. Maria delle Grazie di Gemona (1479-1840), Gemona, Bonanni, 1889; Da Gemona a Venzone. Guida storia e artistica, Gemona, Tessitori, 1891; Cronachetta della Chiesa e convento di Sant’Antonio in Gemona, Gemona, Tessitori, 1895; Il Borgo del Ponte e la Chiesa di S. Rocco a Gemona, Gemona, Bonanni, 1905.
G. BRAGATO, Valentino Baldissera, «Pagine friulane», 17/9 (1906), 130; ID., Valentino Baldissera, «La Patria del Friuli», 27 giugno 1906; G. VALE, L’archivio e la biblioteca comunale di Gemona e l’opera del cav. don V. Baldissera, in Gemona, 18 novembre 1906. Numero unico, Gemona, Tessitori, 1906, 2-3; ID., Discorso per il settimo anniversario della morte del Sac. Cav. Valentino Baldissera, Udine, Stab. Tip. S. Paolino, 1913; G. BALDISSERA, Don Valentino Baldissera. Cenni biografici, Gemona, Toso, 1931; L. ZANINI, Friuli migrante, Udine, Doretti, 19642, 136-137; G. MARINI, La vita e l’opera di don Valentino Baldissera, «Notiziario gemonese», 7/5 (1983), 3; A. SORAVITO, La biblioteca comunale di Gemona e il suo fondo antico, t.l., Università degli studi di Udine, a.a. 1994-1995, passim; F. MERLUZZI, Valentinis e il restauro del soffitto di Amalteo a Gemona, in Il restauro dei dipinti nel secondo Ottocento. ... leggi Giuseppe Uberto Valentinis e il metodo Pettenkofer, Udine, Forum, 2002, passim; PATAT, Oms, 21-26; G. MARINI, Una vita in disparte, in Valentino Baldissera. 1840-1906, Gemona del Friuli, Comune di Gemona del Friuli, 2006, 9-150; M. PATAT - G. MARINI, Bibliografia [di V. B.], ibid., 151-164; I principali scritti di Valentino Baldissera, a cura di G. MARINI, ibid., 165-184; M. PATAT, La “Baldisseriana”, ibid., 185-206; M. VALE, I colori di Valentino, ibid., 207-237; G. MARINI, La Gemona medievale (e non) tra Liruti e Marchetti, in Gemona nella Patria del Friuli: una società cittadina nel Trecento, Trieste, CERM, 2009, 26-32.
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