La vita del B. coincise in buona misura con quella di Paolo II, papa dal 1464 al 1471, esponente della stessa casata; questo fece sì che già molte fonti e testimonianze dei contemporanei (a cominciare da Marin Sa nu do) attribuiscano al B. una stretta parentela col pontefice, e più precisamente il grado di nipote “ex fratre”. A complicare la questione contribuisce la mancanza della famiglia Barbo negli Arbori de’ patritii veneti di M. Barbaro e A.M. Tasca, la più attendibile fonte genealogica del patriziato veneziano, donde il fraintendimento in cui incorsero gli studiosi; neppure la recente “voce” dedicata al B. da G. Gualdo nel Dizionario biografico degli Italiani sgombra completamente il campo dall’equivoco, poiché attinge da due diverse tavole di P. Litta, pur citandone solo una. Il B. nacque a Venezia nel 1420 da Marino di Marco e da Filippa da Riva; la carriera politica del padre fu alquanto modesta, tuttavia il B. ricevette una compiuta educazione umanistica grazie allo zio Ludovico (1382-1443), abate di S. Giustina a Padova e successivamente vescovo di Treviso. Si spiegherebbe in tal modo perché l’allora cardinale Pietro Barbo, dopo la morte di Ludovico, che gli era parente, abbia preso su di sé la protezione del giovane B., nominandolo suo maestro di casa (1449); Gaspare da Verona, autore di una biografia di Paolo II, descrive il B. come «deditissimo al parlare elegante, alle lettere ed allo studio delle buone arti» e ne sottolinea la «continenza di vita e sobrietà», non meno che l’«aspetto e la dignità del corpo». Da questo momento le fortune del B. seguirono quelle dell’alto prelato, che non gli fece mancare il conferimento di numerosi benefici, tra i quali la commenda dell’abbazia di Rosazzo (30 ottobre 1454). L’anno successivo il B. fu promosso da Callisto III vescovo di Treviso, la diocesi che era stata dello zio Ludovico; qui egli si recò per curarne l’amministrazione ecclesiastica ed economica sino al 17 settembre 1464, allorché fu trasferito alla diocesi di Vicenza dal suo protettore, da pochi giorni divenuto papa Paolo II. Resosi vacante il patriarcato di Venezia, il Senato vi elesse il B., ma egli rifiutò, forse dietro indicazione del pontefice, che intendeva averlo a Roma presso di sé. Quando, infatti, di lì a poco, morì il cardinale camerlengo Ludovico Trevisan, di cui era nota l’annosa rivalità con Paolo II, quest’ultimo non gli diede un successore, preferendo gestire l’incarico tramite persone di sua fiducia. ... leggi Pertanto al B. nel 1465 furono affidate varie importanti incombenze, tra le quali la riforma dell’ordine dei cavalieri gerosolimitani; poi, nel concistoro del 18 settembre 1467 fu eletto cardinale col titolo di S. Marco. L’accumulo di benefici e nuovi compiti proseguì intensamente: basti qui ricordare che nel 1468-69 il B. presiedette la commissione d’inchiesta contro l’Accademia romana del Platina, e che nel marzo 1471 venne trasferito dall’episcopato vicentino al patriarcato di Aquileia, che governò mediante il vicario Angelo Fasolo, vescovo di Feltre, data la sua impossibilità di lasciare la curia. Qualcosa cambiò dopo la scomparsa di Paolo II, non già perché il nuovo papa Sisto IV non stimasse il B., ma per il naturale ridimensionamento di chi aveva rivestito un ruolo di eccezionale rilievo. Si spiega anche così il suo allontanamento da Roma, protrattosi dal febbraio 1472 al novembre 1474, con la missione, peraltro impegnativa e prestigiosa, di promuovere una crociata antiturca presso i principi tedeschi, polacchi e ungheresi. Fu un fallimento, nonostante il B. non si fosse risparmiato; in riconoscimento del servizio prestato, il 9 gennaio 1478 fu nominato camerlengo e nel conclave seguito alla morte di Sisto IV (12 agosto 1484) ottenne numerosi voti, indice della considerazione di cui godeva nel Sacro collegio e anche della popolarità che riscuoteva tra la popolazione romana. A Roma scomparve il 2 marzo 1491, «di optima fama», annota Sanudo, aggiungendo che «morse in povertà, e non li fo trovà danari; et hessendo amalato, papa Innocentio fo a visitarlo, e di sua mano lo asolse di colpa e di pena». A Udine non risiedette mai, tuttavia seppe occuparsi anche da lontano della diocesi aquileiese con sollecitudine e accortezza, inviando prescrizioni scritte ai suoi vicari, così da ottenere un deciso miglioramento della disciplina ecclesiastica in tempi segnati da una diffusa corruzione morale.
ChiudiBibliografia
EUBEL, Hierarchia, II, 92, 248; M. SANUDO, Le vite dei dogi (1474-1494), II, a cura di A. CARACCIOLO ARICÒ, Roma-Padova, Antenore, 2001, indice; P. PASCHINI, I benefici ecclesiastici del cardinale M. B., «Rivista di storia della Chiesa in Italia», 13 (1959), 335-354; G. GUALDO, Barbo, Marco, in DBI, 6 (1964), 249-252; M.L. KING, Umanesimo e patriziato a Venezia nel Quattrocento, II, Profili, Roma, Il Veltro, 1989, 468-471.
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