Il ritratto del B. denuncia ancora profonde lacune. Rimane incerto il luogo della nascita, ma si può supporre con buona approssimazione che essa sia avvenuta tra il 1600 e il 1605; egli inoltre compare con il nome di «M. Antonius Russinus de Marano» in alcuni documenti dell’Archivio arcivescovile di Udine, dai quali si ricava che il 23 marzo 1624, nella cappella del palazzo patriarcale, era promosso alla prima tonsura, all’ostiariato e al lettorato, e che il 20 settembre 1625 riceveva i ministeri di esorcistato e accolitato. Il suo nome riemerge a Vienna soltanto dodici anni più tardi. Il B., che nel frattempo era stato ordinato sacerdote (e infatti si sarebbe definito «presbyter foroiuliensis ex dioecesi aquilegiensi»), è autore di una “furlanata” in onore di Ferdinando III; nel dedicare l’opera al piccolo Ferdinando Francesco, si firma «Marc’Antonio Barutti detto Rossini, capellano indegno della sacra cesarea maestà dell’imperatrice Leonora», dal 1622 seconda moglie dell’imperatore Ferdinando II. Cölestin Wolfsgruber registra altresì che Rossini fu “Hofkaplan” soltanto dal primo luglio 1648 fino al 9 settembre 1649, allorché “Pfarrer zu Hof” era Gaspare de Gorizutti, ma la corrispondenza concede tasselli divergenti. In una lettera del 22 agosto 1640 Eleonora Gonzaga chiedeva al figliastro, l’arciduca Leopoldo Guglielmo, vescovo di Passau dal 1626, di prendere a suo nome tutte le necessarie disposizioni presso l’ufficiale passaviense a Vienna in modo che al fedele cappellano personale venissero concesse la preferenza e la meritata promozione qualora si fossero resi vacanti un decanato, un canonicato, una parrocchia o un beneficio semplice. ... leggi L’istanza dell’imperatrice ottenne l’esito sperato, cosicché il 29 marzo 1643 il B. fu presentato per il beneficio di S. Leonardo presso Maria am Gestade, la chiesa viennese dell’ufficiale di Passau. Dal 1645 mancano tracce del sacerdote, il quale in seguito, per ragioni private e con l’autorizzazione dell’ufficiale, rientrò in patria. La lunga assenza è all’origine di una intricata e amara vicenda: il B. fu dichiarato morto e il cappellano di corte Carlo Ferdinando Penechin riuscì ad ottenere il beneficio di S. Leonardo con la relativa prebenda. Al rientro a Vienna, alcuni anni dopo, a nulla valsero le suppliche e le dichiarazioni del procuratore del B., di altri sacerdoti e dei giudici deputati della fortezza di Marano; questi ultimi, in una lettera del 1671, rendono noto che il sacerdote, «ob passas gravissimas persecutiones et inimica machinamenta», non è più in grado di aiutare le due giovani nipoti cadute in miseria. In una delle missive nelle quali chiede di essere reintegrato nei propri incarichi, il B. stesso chiarisce di essere stato «cappellano di corte il spacio di anni 12», e in un’altra, indirizzata a Leopoldo Guglielmo, afferma di avere «servito dieci anni continui alla suddetta maestà, sua clementissima madre, et anco doi anni fedelmente alla sacra maestà di Ferdinando terzo suo clementissimo fratello», dal quale era stato beneficiato di un canonicato a Brno (anch’esso perduto per la falsa notizia della morte). Da una lettera del cappellano di corte Bernardo Rossi si apprende ancora che il B., «de fortilicio Marani eius patria […], multis annis fuisse organistam et capellanum in predicto loco, ubi erat bene accomodatus et quidem stipendiatus ab illa magnifica communitate», e che era rimasto privo anche di questi due uffici a causa delle more della vertenza che lo stava trattenendo a Vienna da almeno sei anni. In seguito, tra la fine del 1674 e l’inizio del 1675, mentre si continuava a trattare per un risarcimento dei torti subiti, supplicò il nuovo vescovo di Passau, Sebastian von Pötting, di volergli concedere una adeguata sistemazione, presso la quale si impegnava a prestare servizio, secondo le proprie capacità, «in cantu, organo, fidibus, aliisque instrumentis musicis». E infine, il 20 settembre 1678, il sacerdote presentò a Leopoldo I una supplica per ottenere il beneficio di Tüffer (oggi Laško, presso Celje); il B. lamentava ancora la propria indigenza, essendo ospitato «appresso li padri bonfratelli» e trovandosi costretto a vivere soltanto delle offerte dei fondi pubblici. Se la personalità del B. è degna di ampia considerazione anche per lo storico, la sua importanza è connessa in particolare al componimento friulano di cui è autore. A due mesi esatti dalla morte di Ferdinando II, in seguito alla quale il figlio diventò imperatore, la “furlanata” di B. rivisse i festeggiamenti per l’incoronazione di quest’ultimo a re dei Romani, evento celebratosi a Regensburg il 22 dicembre 1636. Protagonista del racconto è dunque «il fedel furlano», il quale, «spiccatosi immantinente dai ratisbonesi corteggi, vassene qual saetta volando a recar la nuova alla sua cara et amata patria del Friuli». Il poema, datato 15 aprile 1637 e composto quasi prevalentemente da settenari, si dispiega tra gli incontri con i compaesani, le acclamazioni, i preparativi dei festeggiamenti, le bevute incontrollate, i giochi consumati nell’attesa di un formidabile banchetto, i brindisi in onore dei membri della famiglia imperiale, e infine il ballo sfrenato e convulso, accompagnato dagli strumenti. Il ritmo è incalzante, quasi frenetico: «Ievat, ievat, copari, | vignit fur dai bleons. | Ievat, donne comari, | ievat a fà i chialzons, | parcè no havin pitik. | No vignìn dal Vernik | e sin duquancch sudaz | currint per monz e praz | sicu tancch belandans» [Alzatevi, alzatevi, compare, uscite dalle lenzuola! Alzatevi, donna comare, alzatevi a fare gli agnolotti, perché abbiamo appetito! Noi veniamo dal Vernicco e siamo tutti sudati correndo per i monti e per i prati come tanti benandanti]; tutto lascia intendere che l’opera fosse stata scritta per essere rappresentata davanti alla famiglia imperiale, i cui membri dovevano peraltro essere in grado di apprezzarla. Rispondono verosimilmente al gusto esotico dei destinatari l’attenzione alle usanze popolari, che danno al testo un sapore rusticale non incompatibile con strategie stilistiche impegnate, e l’insistenza, fin dalla dedica, sull’indole di una parlata «che stravagantissima tra l’altre gode un composito non volgare di diversi linguaggi». Il gioco dell’esibizione linguistica, che coglie materiali notevoli per il lettore moderno, ricorre tuttavia anche al tedesco (con due interi versi, ma non mancano altri prestiti, eterogenei, isolati e quasi sempre non acclimatati) e allo sloveno: «Nun flux, mein lieber Hans» [In un baleno, mio caro Gianni], «Moi Iuri, dàime pit» [Giorgio mio, dammi da bere]. Si tratta forse di indizi che rendono meno vago lo scenario immaginato dal B. per la sua “furlanata” e che fanno pensare, come altri elementi interni, al Friuli absburgico.
ChiudiBibliografia
Il ms autografo del B. è conservato nella Österreichische Nationalbibliothek di Vienna (Handschriftensammlung, 10012, già Hist. Prof. 1074 della Biblioteca imperiale).
R. PELLEGRINI, Versi friulani per la corte di Vienna: una “furlanata” di Marc’Antonio Barutti (1637), in Gorizia barocca, 336-339; G. ZANELLO, “E chest mo par amor del nestri Imperador”. Versi friulani da Vienna per l’incoronazione di Ferdinando III, «Metodi e ricerche», n.s., 22/1 (2003), 67-95.
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