Nacque a Cividale del Friuli probabilmente nella ultima decade del Quattrocento da una famiglia nobile, che era onorata da illustri rappresentanti al parlamento friulano. I genitori erano Francesco e Rosa Claricini. La vita di V. appare ricca di frequentazioni interessanti e culturalmente degne di nota: si trovava con certezza a Padova nel 1507 dove seguiva i corsi di giurisprudenza e manifestava interesse per la poesia. In questo periodo strinse amicizia con Giovan Matteo Giberti (1495-1543), personalità complessa di studioso di diritto (autore delle Costituzioni Gibertine), diplomatico e vescovo, che avrebbe giocato un ruolo molto importante nella sua vita futura. V., ancora studente, indirizzò a Giberti quattro epigrammi latini incitandolo a coltivare la poesia. Lo stesso religioso sarebbe stato il suo futuro mecenate, colui che lo avrebbe incaricato della ricostruzione della chiesa di Rosazzo in qualità di vescovo di Verona e abate accomandatario della abbazia (la data di inizio delle opere è posteriore al 1528, quella di conclusione è il 1533). Data l’influenza che il Giberti avrebbe esercitato verso il B. durante il suo mandato vescovile (dal 1524, fino alla morte, nel 1543), è utile approfondire almeno un aspetto della sua azione riformatrice che riguarda in modo diretto l’attività dell’architetto. Giberti perseguiva obiettivi religiosi di ispirazione controriformista volti allo scopo di rafforzare la devozione dei fedeli. Egli intendeva ribadire nelle chiese la centralità dell’altar maggiore accrescendone l’importanza rappresentativa. Negli stessi anni (attorno al 1534) fece risistemare tutta l’area presbiteriale della cattedrale di Verona, ponendovi un grande altare doppio, marmoreo a colonne ioniche di Michele Sanmicheli con una monumentale decorazione a fresco ideata da Giulio Romano e realizzata dal pittore Francesco Torbido (1482-1562). Il presbiterio, così rinnovato, polarizzava fortemente l’attenzione di chi fosse entrato in chiesa, e le figure colossali dell’Assunta e degli Apostoli, dominavano il programma pittorico nel catino absidale. ... leggi Questo principio, volto a riorganizzare molti luoghi di culto in ambito veronese, entrò a far parte anche del programma di ricostruzione di Rosazzo, portato a termine dal B. Se è vero che il tema del rifacimento della chiesa abbaziale non è paragonabile al caso veronese, desta curiosità il fatto che anche qui l’altare maggiore venne decorato con un ciclo di affreschi significativo, di mano dello stesso Torbido. Vi si rappresenta al centro la trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor, ai lati la vocazione di Pietro ed Andrea e la pesca sul lago di Genezareth, mentre sul soffitto vengono dipinte le figure simboliche degli evangelisti. Sembra perciò molto probabile che alcuni principi adottati nella riedificazione cinquecentesca della chiesa fossero ispirati direttamente dal Giberti. Questi aveva inviato a Rosazzo nel 1528 come collaboratore il celebre poeta toscano Francesco Berni (1496-1535) per indagare sulle condizioni dell’abbazia: il Berni le rappresentò in un sonetto rimasto famoso: «[…] ho trovato una badia, / che par la dea della distruzione: / […] Per mezzo della chiesa v’è una via / dove ne van le bestie e le persone / […] Ogni stanza è cantina, / camera, sala, tinello e spedale; / ma sopra tutto stalla naturale […]». La chiesa era stata ridotta così sia dall’incuria del precedente accomandatario Domenico Grimani, sia dagli scontri tra le truppe imperiali del duca di Brunswick ed i Veneziani, che ebbero luogo proprio a Rosazzo con alterne fortune. Il Brunswick in quegli anni aveva incendiato Medeuzza, Giassico, Vicinale, Camino, Caminetto, Manzano, Oleis e cinto d’assedio Cividale (1509). Generalmente al B. viene assegnato il ruolo di architetto della riforma cinquecentesca della chiesa abbaziale: la sua attività documentata fu senz’altro quella di artefice e coordinatore delle opere di ricostruzione che si svolsero in quegli anni nel complesso. L’incarico viene sottolineato da sei lettere di Francesco Berni dirette al B. che contengono espressioni di incoraggiamento e di lode che il Giberti, attraverso il poeta, voleva far giungere all’architetto per il suo impegno nella ricostruzione. Il successo dell’impresa inoltre gli procurò l’incarico di governatore commissario e luogotenente generale di Rosazzo. Il B. ebbe facoltà di giudicare qualsiasi causa e di agire liberamente in difesa della giurisdizione della abbazia, ad eccezione delle materie che riguardavano l’autorità ecclesiastica. È un fatto curioso che vi sia notizia di un incarico politico di rilievo riferito a V. e non di altre opere di architettura da lui compiute, a parte la realizzazione di questa pregevole chiesa in stile rinascimentale. La circostanza rende abbastanza verosimile l’ipotesi sostenuta da alcuni che egli sia stato coordinatore di un lavoro svolto a più mani, da artisti della cerchia veronese del Giberti e che il suo intervento sia stato di fatto più organizzativo, che tecnico. Il Torbido è infatti pittore celebre il cui linguaggio evolve dai modi quattrocenteschi di Liberale da Verona (di cui fu erede materiale) a realizzazioni di gusto manierista. Anche suo cognato, Battista dell’Angelo, detto del Moro (1514-1575), partecipò all’opera di ricostruzione dipingendo la Crocifissione ubicata nell’aula del capitolo, attualmente adibita a cappella interna dell’abbazia. Il Palladio lo menzionò tra i frescanti attivi nel cantiere di Villa Godi a Lonedo di Lugo Vicentino. Queste presenze, se da un lato spostano il campo dell’indagine storico-artistica dal Friuli all’ambiente veneto e contribuiscono a sminuire il ruolo giocato dal B. come architetto, dall’altro ci predispongono ad accogliere con maggiore attenzione i suoi rapporti culturali unitamente ai suoi interessi letterari. Singolare anche la tesi sostenuta da alcuni secondo la quale i contatti con il Berni sarebbero stati favoriti da una possibile relazione di amicizia omosessuale. I sonetti e le lettere a V. ne sarebbero testimonianza indiretta per alcuni doppi sensi licenziosi in essi nascosti. Naturalmente si tratta di un’ipotesi difficile da dimostrare, perché proprio il Berni diede vita ad uno stile letterario, la poesia bernesca, che fa delle ambiguità un suo punto di forza. Scarse notizie si possono trarre dalle liriche latine e italiane contenute in un codicetto cividalese in possesso dei suoi discendenti: epigrammi giovanili da cui si evince qualche informazione sul suo periodo padovano, sulla sua amicizia con il giovane Giberti, sull’assedio di Cividale del 1509; il resto dei versi pare di circostanza. Più interessanti le liriche latine di cui si apprezza l’imitazione dei classici (Orazio, Catullo, Tibullo ed Ovidio) e la padronanza delle più svariate forme metriche. In esse il B. descrive un autoritratto credibile di pacifico letterato che scrive versi senza impegno perché siano letti tra amici dopo le mense e, pago della calma bellezza del suo giardino, canta l’amore rifuggendo dalle attività di guerra. Un documento del 1547 testimonia che la città di Cividale invita al parlamento i nobili Wincislao Boiani e Lionardo di Maniago. Una lettera di un congiunto a suo fratello Federico datata 25 febbraio 1560 parla della morte di V. come di un fatto recente e attesta che la sua scomparsa avvenne in quell’anno.
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