Nacque a Udine nel 1635, da Valentino († 1684) e Corona, e fu battezzato il 15 ottobre nella parrocchia di S. Chiara, avendo per padrino il pittore Girolamo Lugaro, che forse fu anche il suo primo maestro, insieme con il padre che, come dicono i documenti, era pittore o indoratore, della cui opera pittorica tuttavia niente rimane. Ancora giovanissimo, si trasferì a Venezia dove non si lasciò sedurre dalla nuova moda dei «tenebrosi» esercitandosi invece, come ricorda Marco Boschini nel 1660, nello studio delle opere di Paolo Veronese, già dimostrando notevoli capacità tecniche: «Infinità de zoveni concorre / A tior le tete in sta nostra Cità […]. / Tra tutti questi gh’è Bastian Bombelo / Che adesso a San Bastian studia ’l bel far / De Paulo; che chi vede quel copiar, / Resta confusi al toco del penelo». S. esordì in modo neoveronesiano come pittore di storia, e senza dubbio, scrive il Sandrart, «in questo campo universale sarebbe salito più in alto, se la sua mano felicissima, quasi controvoglia, non si fosse dedicato alla ritrattistica, perché da tutti era richiesto di ritratti per la singolar grazia di rendere la somiglianza e l’abilità di attirarsi le simpatie». Fece delle copie bellissime di alcuni dipinti del Veronese, poi passò a Bologna, dove fu alla scuola del Guercino e dove rimane il ricordo di un ritratto di Giovanni Bonatti da Ferrara da lui eseguito (il quadro è andato perduto). Intorno al 1665 rientrò a Venezia, dove si fermò per tutta la vita. Al 1665 risale anche il primo suo dipinto, il Ritratto di Benedetto Mangilli (Udine, Civici musei) nel quale evidenzia, oltre che adesione ai modi dello Strozzi, richiami all’alunnato presso il Guercino e recuperi del mondo emiliano, nello specifico di Guido Reni: qualità che lo avrebbero fatto diventare il più richiesto ritrattista della Repubblica Veneta della seconda metà del Seicento. ... leggi Al ritratto di maniera che andava allora di moda, contrapponeva quello fatto di aderenza al vero, di somiglianza, ma anche di introspezione psicologica, di rara capacità di cogliere l’animo del personaggio. Benedetto Man gilli, seduto in poltrona con lieve rotazione, come altri personaggi ritratti in quel torno di tempo dal Carneo, si presenta in tutta la sua fisicità, con il volto largo e sanguigno, i lunghi radi capelli fluenti, baffi e pizzo ben curati, sguardo penetrante. Alla stessa esigenza concettuale si attengono i ritratti degli anni seguenti, tra cui quelli del 1670, a tutta figura, del procuratore Girolamo Querini e di Polo Querini (oggi nella Fondazione Querini Stampalia di Venezia), primi esempi della ritrattistica aulica, di parata, nella quale il B. sarebbe eccelso e che gli procurò larga considerazione presso le corti d’Europa, dove venne chiamato a fare il ritratto di imperatori, principi, dame. Fu a Vienna per ritrarre la famiglia imperiale (succedendo quindi nell’incarico al coetaneo Giuseppe Cosattini, pittore e canonico aquileiese), a Firenze, Mantova e Parma, presso i duchi di Brunswick e Lunenburg. I suoi dipinti vennero spesso cantati da poeti e letterati contemporanei, friulani come Nicolò Madrisio, Ermes di Colloredo e Vittorio Secante, o veneti come Francesco Businello che in una poesia In lode del ritratto della principessa Pia fatto dal Bombelli, si fa quasi critico d’arte: «Ho visto che l’è un pezzo / Quel che ’l Bombelli, insigne nel ritrar / Ma sia detto in sua gloria in sto ritratto / il più bel del possibile l’à fatto. / Quello non è color, no xe pittura / l’è un impasto de carne / che ha savuo trasformar l’Arte Natura / Ghe vedo in ello quella gratia stessa / Che ha la Principessa / e squasi mi diria / che dell’original quest’è la Pia». Anche se alla fine le sue pitture, pur qua e là eccellenti, sono dominate da un senso di monotonia, non si può negare che il suo stile personale abbia fatto presa sui pittori dell’epoca ed abbia contribuito a modificare sia la ritrattistica vera e propria – per la capacità di rendere la psicologia del personaggio ritratto, a mezzo tra la bonaria cordialità e l’elegante distacco aulico – che il genere di parata, impaginato con fare magniloquente. Oltre a patrizi veneti, o senatori, avogatori, censori (eccelle, tra gli altri, il ritratto di Tre avogatori del Museo di Rovigo, 1674), il B. ritrasse certamente anche molti nobili friulani, ma la maggior parte di questa sua produzione è ancora sconosciuta. Si possono ricordare, tra gli altri, il ritratto dei conti Eurizia Verità e Nicolò di Valvasone (1704), oggi in collezione privata padovana, e quelli recentemente a lui riconosciuti di Pietro Enrico di Prampero (circa 1705) e di Girolamo Colloredo (circa 1710). Presso i Civici musei di Udine si conservano quattro ritratti maschili del B., due dei quali vanno considerati autoritratti, datati rispettivamente 1675 e 1686. In quest’ultimo il pittore si ritrae a mezzo busto, in ricco abbigliamento, quasi ostentazione di ricchezza, con giaccone ornato di pelliccia e berretto, in veste di pittore, mentre regge pennello e tavolozza. Il dipinto è un eccellente esempio di quella ritrattistica bonaria e cordiale, più intima e sottilmente psicologica, cui il B. seppe dar vita ogni qual volta abbandonò il fare aulico e celebrativo impostogli dalla committenza e dalla destinazione ufficiale. Il B., che è ricordato più volte nella fraglia pittorica di Venezia, fu maestro di Vittore Ghislandi, detto fra Galgario, che nel 1693 entrò nella sua bottega e vi rimase per dodici anni, ed ebbe larga influenza sulla ritrattistica dell’epoca. Morì a Venezia il 7 maggio 1719. Due suoi fratelli, Raffaele Giovanni Battista e Giuseppe Giovanni Battista, furono pittori, anche se di poca fama. Erano nati dal secondo matrimonio di Valentino Bombelli, il quale ebbe dalle due mogli ben quindici figli.
ChiudiBibliografia
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