Nacque a Udine il 9 marzo del 1792 da Francesco e da Giulia Piccoli. Venne battezzato nella parrocchia di S. Nicolò, situata vicino al palazzo di famiglia in borgo di S. Maria (attuale via Zanon a Udine). Il padre Francesco era nato nel 1755 da Antonio e Laura di Brazzà del ramo di Pagnacco. Grande viaggiatore, amante dell’avventura, nel 1784, al ritorno dai suoi viaggi, sposò Giulia, nata nel 1765, appartenente alla piccola nobiltà, cosignora di Manzano e ricca possidente. La famiglia apparteneva alla feudalità friulana, che nel Settecento viveva agiatamente tra i suoi possedimenti agricoli e il palazzo di Udine. Godeva anche di un’intensa frequentazione con letterati noti all’epoca. Giulia Piccoli fu in contatto con Walter Scott e con altri intellettuali. Fu protettrice di Antonio Canova, che fu maestro del figlio Ascanio. Le relazioni epistolari di Antonio coinvolsero poeti e letterati come Ippolito Pindemonte e Iacopo Vittorelli, dei quali ci sono rimaste due lettere autografe conservate all’Archivio di Stato di Udine. Fu grazie alla madre, donna di mentalità aperta, che la casa Brazzà divenne un salotto illustre frequentato dal Canova, dall’astronomo Roggero Boscovich, dall’editore Roberto Roberti di Bassano, dalla poetessa arcadica Aglaia Anassillide (pseudonimo di Angela Veronese Mantovani), da Luigi Carrer, da Fausto Benassù Montanari, da Ippolito Pindemonte, dall’abate Angelo Dalmistro, dal pittore Odorico Politi e da molti altri. Lo stesso incontro con Napoleone I, nel 1807, al quale Giulia Piccoli si era rivolta affinché questi si occupasse di «alleviare le condizioni del Distretto di Passariano», e dal quale ricevette in dono un anello, testimoniano non solo del prestigio e dell’intraprendenza politica della Piccoli, ma di un attivismo femminile degno delle migliori tradizioni e delle più promettenti aperture. ... leggi Antonio fu il primo dei suoi sette figli, seguito da Ascanio, il più longevo, marito della romana Giacinta Simonetti, la cui nonna era una Priuli. Ascanio studiò a Bologna e a Roma con il Voogd: di lui ci rimangono molte realizzazioni architettoniche, come la fontana del Pincio a Roma, la salita di Monte Cavallo, che univa la reggia del Quirinale al Palazzotto dove egli stesso abitava, presso piazza di Trevi. Lo stesso Antonio trascorse un periodo a Roma con il fratello, ma i suoi studi lo portarono anche a Padova, Bassano, Venezia, Pavia. Se per il fratello l’architettura fu una passione e un’esigenza di vita, allo stesso modo per Antonio la composizione in versi fu una sollecitazione molto sentita, coltivata durante gli studi presso il Liceo dei barnabiti di Udine dove ebbe come maestro Quirico Viviani, trevigiano di nascita (Soligo, Treviso), poeta e filologo non irrilevante, anche se personalità discussa nel panorama letterario del secolo. Dopo la prima formazione, i suoi interessi e i suoi studi lo portarono a Padova, presso la sorella del padre, la zia Arpalice, dove apprese privatamente le lingue classiche e coltivò la sua passione per la musica, esercitandosi al pianoforte. Nel clima letterario che si respirava in Friuli, aperto alle tendenze del neoclassicismo arcadico ben evidente nelle attività delle accademie del Friuli, d. B. fu una voce significativa, capace di conciliare, con rara sensibilità, le esperienze poetiche settecentesche con un’ispirazione già preromantica. La sua formazione musicale sicuramente è ravvisabile nella stretta interdipendenza fra testo e musica, che si nota nella presenza di arie e recitativi o cori ripetuti all’interno degli stessi componimenti. Frequente è l’uso delle anacreontiche e delle canzonette, a volte strutturate nella forma dell’ode-canzonetta (in ciò si ravvisa l’influsso di Metastasio). Nelle sue liriche si ritrovano tutti i temi cari all’Arcadia (nell’impiego dei nomi come Fileno, Licori, Galatea, Dori, ecc.), in uno sfondo popolato da “pastori e pastorelle”, dai toni sfumati e galanti, dai sentimenti tenui, ma non per questo meno profondi e incisivi. La frequentazione con la cultura classica di stampo bucolico e petrarchesco lo portò a mutuare da quel mondo anche nomi che utilizzò per rivolgersi ad amici, come quello di Menalca, di Ergasto, di Auriso, di Titiro. Fu lettore di Virgilio, di Boezio, amante del Petrarca, di Metastasio, del Gessner. Il suo temperamento inquieto e sensibile, il suo attaccamento profondo alla madre (mancata il 7 settembre del 1815) e soprattutto alla sorella Lauretta (mancata a soli diciannove anni nel 1809, solo qualche anno prima della madre), lo avrebbero portato a vivere in maniera sempre più tesa il rapporto col padre, già conflittuale di per sé. Motivo principale del contrasto sarebbe stato il suo matrimonio con Margherita Taffoni (figlia di Francesco Taffoni, commerciante di seta di Udine, e della nobile Lucrezia Garzolini), avversato da tutta la famiglia. Tale contrasto è documentato dagli atti processuali relativi alla richiesta di interdizione presentata dal padre contro il figlio, affinché fosse prolungata la patria potestà. Il padre presentò l’istanza al tribunale di Udine il 24 luglio 1819, allegando alla domanda alcune lettere del figlio a lui indirizzate e alcune sue di risposta, descrivendo nei dettagli la sua condotta e mettendo in rilievo la necessità di sottoporlo ancora alla podestà paterna, perché «incapace di reggersi e mantenersi da sé». Il processo terminò con l’istanza del tribunale di Udine che respinse la richiesta del padre Francesco. Il 13 agosto del 1819 gli stessi parroci, che erano stati diffidati dal celebrare quel matrimonio, ebbero l’autorizzazione a procedere. Lo stesso giorno d. B. e Margherita Taffoni si congiunsero in matrimonio nella chiesa del Carmine a Udine. Il matrimonio fu breve. Dopo di che d. B. pose fine alla sua breve e drammatica vita il giorno 13 ottobre del 1820, alle «ore quattro antimeridiane», a soli ventotto anni, colto da «febbre gastro-reumatica con attacco al sistema nervoso». La salma fu seppellita nel cimitero di S. Vito a Udine. La casa ove trascorse gli ultimi istanti della sua vita era situata a Udine in via Pelliccerie, al numero 774, vicino alla chiesa di S. Pietro Martire, ove esiste tuttora. In quella casa, l’11 ottobre 1820, pochi giorni prima della morte, Antonio aveva impartito le sue ultime disposizioni testamentarie agli amici che allora erano presenti nella camera, istituendo la moglie Margherita Taffoni erede universale ed affidando la gestione del patrimonio all’amico Giuseppe Girardis, fin tanto che la moglie non avesse raggiunto la maggiore età. Il testamento noncupativo, redatto a voce dal letto della sua camera, vedeva presenti gli amici: il medico Gio. Batta Mazzaroli, che lo assistette nella sua ultima malattia, il chirurgo Michele Follini, il legale Stefano Businelli di San Giorgio di Nogaro, ma domiciliato a Udine, e l’allora presente e intimo amico Giuseppe Girardis. Per la ricostruzione della personalità inquieta di d. B., appaiono significative le testimonianze di coloro che furono chiamati a testimoniare al processo, tra i quali il professor Giuseppe Zandonella, che fu maestro di logica del poeta dal 1801 al 1810; l’abate Berroriyer, che fu suo istruttore privato di lingua francese; l’abate Mattaloni, che ebbe modo di conoscerlo a Soleschiano. Tutti diedero un ritratto di Antonio come di una personalità fantastica, assorto nella poesia, sdegnoso della società, inesperto negli affari domestici: un idealista. Ma ci furono altrettante personalità, allora di spicco nel panorama letterario, che diedero di lui una versione diversa, come il Viviani, che lo definì «di sano criterio, di gusto squisito nelle lettere e nelle arti, capace di amministrare gli affari domestici privati e non». Delle opere del d. B. occorre ricordare: Amori di G. A. in occasione di nozze del suo amico A. (1812), una raccoltina che comprende quattordici idilli; Rime anacreontiche-boschereccie (1816), una piccola silloge di sei componimenti più un Avvertimento all’inizio della raccolta e l’idillio drammatico Il furto innocente; Versi di Antonio di Brazzà patrizio udinese (1818), una raccolta poetica divisa in tre parti e che comprende le Rime amorose, Rime sacre e Rime funeree. La prima parte è di argomento bucolico, mentre la seconda comprende cinque componimenti; la terza parte è divisa in quattro sezioni e la maggior parte delle liriche presenti è dedicata alla scomparsa della sorella Lauretta; del 1818 sono anche sei liriche, riunite sotto l’attribuzione Del sig. conte Antonio di Brazzà patrizio udinese, pubblicate a Venezia nel Parnaso de’ poeti anacreontici. Una edizione moderna in testo critico delle sue Poesie è stata curata attingendo anche alle testimonianze della loro sofferta elaborazione stilistica e formale disseminate nella corrispondenza con alcuni suoi interlocutori di poesia. Dall’insieme delle ricerche archivistiche e testuali esce un profilo di poeta sensibile, triste e fiducioso nel sommo valore della poesia.
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Documenti relativi ad A. di Brazzà sono conservati presso ASU, Savorgnan Cergneu di Brazzà e Perusini; BCU; Archivio storico capitolino di Roma; BNMV e la Biblioteca del Museo Correr di Venezia.
Angela Veronese (Aglaja Anassillide). Notizie della sua vita scritte da lei medesima. Rime scelte, a cura di M. PASTORE STOCCHI, Firenze, Le Monnier, 1973; F. SAVORGNAN DI BRAZZÀ, A. di Brazzà. Le poesie, a cura di EAD., Udine, Campanotto, 1998; EAD., Pindemonte, Vittorelli, Antonio di Brazzà: nuove testimonianze, «Quaderni Veneti», 33 (2001), 127-135; EAD., Per una biografia di Antonio di Brazzà. Nuovi documenti, «Ce fastu?», 2 (2004), 223-248.
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