Nacque a Bassano del Grappa il 12 ottobre 1802 da Giovanni Battista e Teresa Biancolini. Di famiglia non agiata, entrò all’età di dodici anni nel Seminario vescovile di Vicenza, dove ricevette una solida formazione letteraria alla scuola del latinista e grecista Carlo Bologna e dell’abate Francesco Villardi, che lo guidò alla conoscenza e all’amore per i classici della letteratura italiana. A soli ventun anni iniziò a insegnare grammatica e successivamente filologia greca ai chierici del Seminario. Divenuto sacerdote nel 1825, si dedicò alla eloquenza sacra, venendo invitato come predicatore quaresimalista, per lo stile nobile ed elegante, in numerose città del Veneto e dell’Italia settentrionale. Nella predicazione – come peraltro nelle giovanili produzioni poetiche e nella comunicazione epistolare – era soprattutto incline a far vibrare le corde del sentimento e tale predilezione era connaturata al suo animo compassionevole. Sacrificò il suo amore per le lettere e la sua vocazione all’eloquenza sacra per il ministero pastorale: nel 1832 fu parroco a Rosà, un popoloso villaggio vicino a Bassano, e due anni dopo venne indotto ad accettare la sede parrocchiale di Bassano, di cui fu arciprete per dodici anni. Nonostante fosse gravato da una salute malferma, si spese con zelo e inesauribile carità, soprattutto a favore dei deboli e dei sofferenti, guadagnandosi il rispetto e l’amore dei bassanesi per i tratti del suo carattere ispirati a modestia e affettuosa semplicità. Il 15 aprile 1846 l’imperatore Ferdinando I d’Austria lo prescelse a reggere la vasta diocesi di Udine e nel concistoro del 21 dicembre 1846 fu preconizzato vescovo di essa dal pontefice Pio IX. Il 6 aprile 1847 il cardinale friulano Fabio Maria Asquini lo consacrò in Roma e il successivo 10 luglio fece il suo ingresso a Udine, accolto con indescrivibile entusiasmo anche per la restituzione ad essa del titolo metropolitico – senza suffraganei e con diretta dipendenza dalla Santa Sede – con la bolla Ex catholicae unitatis centro del 14 marzo 1847. A ricordo di quell’ingresso trionfale fu fusa la campana maggiore della cattedrale, che portò il nome di “Zaccaria”. Come segno di riconoscenza per aver dato alla sede episcopale di Udine l’antica dignità, venne eretto nella cattedrale un monumento al pontefice Pio IX. Fin dalla prima lettera pastorale indirizzata da B. al clero e al popolo della chiesa metropolitana di Udine, in occasione della sua consacrazione episcopale, il presule veneto manifestò – accanto ad una marcata propensione autobiografica, romanticamente intessuta di ricordi, turbamenti e consolazioni dell’animo – il suo orientamento verso una concezione ecclesiologica che privilegiava non tanto la funzione del vescovo come garante dell’ortodossia dottrinale, quanto quella più propriamente pastorale. ... leggi Veniva inoltre valorizzata la funzione dei parroci chiamati a un rapporto di piena condivisione del pastore con tutte le espressioni della vita dei propri fedeli. Il modello a cui i parroci dovevano ispirarsi nella loro azione quotidiana era quello proposto dalla Prima lettera di Pietro (5, 1-4): «Senza sforzo però e di buon grado pascete quella, che a voi è commessa greggia di Dio: non quasi signoreggiando nella eredità del Signore, ma rendendovi esempii», evitando ogni ricerca di vantaggi materiali e prediligendo i più poveri. Non era passato neppure un anno dall’invio della prima lettera pastorale che la rivoluzione del 1848 si propagò, a partire dal 17 marzo, in Friuli e a Udine. L’atteggiamento del presule bassanese fu di appoggio alle direttive del Comitato provvisorio della provincia del Friuli, come si può desumere dalla lettera pastorale del 3 aprile 1848, in cui non solo si riproduceva il dispaccio emanato il primo aprile dal Governo provvisorio, ma si univano esplicite espressioni di esultanza per i «grandi, inaspettati, mirabili avvenimenti». Benedisse anche le barricate erette dal popolo, le bandiere nazionali e le milizie dei “crociati”, guidate da Gustavo Modena, prima che si recassero alla difesa di Palmanova. Le affermazioni di B. vanno collocate nel particolarissimo contesto determinatosi nella penisola in seguito, da un lato, alle vittorie italiane sugli austriaci e alla ritirata di Radetzky e, dall’altro, alle parole del proclama di Pio IX del 30 marzo – pubblicato sul numero del 7 aprile 1848 del «Giornale politico del Friuli» – in cui il pontefice invocava la benedizione di Dio sui «Popoli d’Italia» e dichiarava che Dio stesso volle che la terra d’Italia «fosse a Noi la più vicina». La causa della libertà italiana, e una pronunciata avversione verso il sistema di governo austriaco, furono sostenute da un elevato numero di sacerdoti friulani, alcuni dei quali erano ostili agli «ordinamenti preteschi austriaci» non in quanto si riconoscessero nei principi del liberalismo politico, ma per la profonda ostilità che nutrivano nei confronti del giuseppinismo sperimentato nell’ultimo trentennio, che implicava forme di controllo dello Stato sulla Chiesa ritenute intollerabili. Un nucleo più ristretto di preti friulani considerava invece «l’immortale Sommo Pontefice Pio IX» capo del movimento destinato a liberare l’Italia dallo straniero e riteneva che potessero convergere verso uno stesso fine la causa dell’indipendenza nazionale e la causa della religione. Quando Udine venne assalita dall’esercito austriaco e il Comitato di guerra del Friuli, il 22 aprile 1948, dopo il bombardamento della città, vista inutile la resistenza data la sproporzione delle forze in campo, decise la resa, l’arcivescovo B. – sollecitato anche dalle suppliche dei cittadini – si recò al quartier generale del conte Nugent e fu mediatore della capitolazione della città, ratificata solo da alcuni membri del Comitato provvisorio di Udine. La scelta della capitolazione sarebbe stata duramente condannata da Carlo Cattaneo nell’opera Dell’insurrezione di Milano nel 1848 e della successiva guerra. Memorie, da Giulia Modena nel diario scritto durante l’assedio di Palmanova e in molti altri opuscoli coevi, che accusarono di pusillanimità e di tradimento i magistrati e l’arcivescovo B. Tali accuse apparvero tuttavia infondate allo stesso Prospero Antonini – membro del Comitato provvisorio, da cui si dimise proprio per non essere coinvolto nelle trattative con gli austriaci –, in quanto la causa della sconfitta andava attribuita alle fragili mura della città, piana ed aperta da ogni lato, e alla “inerzia” di Venezia. La sconfitta della rivoluzione e delle aspirazioni nazionali e il ristabilimento del dominio austriaco costrinsero le voci più libere e aperte del clero e del laicato cattolico a un contegno di moderazione, senza giungere ad una aperta ritrattazione dei convincimenti precedentemente espressi. Il vescovo B. dovette – negli indirizzi della propria guida episcopale – tentare di contemperare la duplice esigenza della tutela del clero che si era esposto durante la rivoluzione con il rispetto delle ingiunzioni dei nuovi/vecchi dominatori. Era tuttavia difficile normalizzare gli animi dei sacerdoti patrioti anche a due anni di distanza dalla primavera dei popoli se, in una circolare del 28 ottobre 1850, indirizzata ai vicarî foranei della diocesi, si trasmetteva un dispaccio del feldmaresciallo Radetzky, governatore generale del Lombardo-Veneto, in cui si faceva notare che molta parte del clero persisteva in un atteggiamento di insubordinazione e non cessava di «prestar mano all’esagitazione degli spiriti e alla propagazione di libelli incendiarj sovvertitori dei principj fondamentali della Religione, dell’ordine e del Trono», falsava «il senso degli stessi precetti della Chiesa», prostituiva «alle mene dei partiti ed al personale interesse il sacerdotale ministero» e si faceva «vile strumento di morale e politica corruzione». La permanenza tra gli ecclesiastici friulani di forme di resistenza all’accettazione del restaurato governo austriaco – considerato «quasi un oppressore del Sacerdozio e della Religione» – comportò la destituzione dalla cura d’anime di un certo numero di sacerdoti e la richiesta altrettanto ferma di sollevare dall’insegnamento, sia nel Seminario arcivescovile sia nel Liceo di Udine – relativamente alla materia della religione –, quei professori che non dessero sufficienti garanzie di lealtà nei confronti dell’«Augusto Dominio». Le energie residue di B. – sopraffatto dalle fatiche e dai disagi della visita pastorale dell’estate del 1849, dal brusco capovolgimento di una situazione politica in cui lui stesso, insieme a molti dei suoi sacerdoti dediti alla cura d’anime o all’insegnamento, aveva giocato un ruolo non secondario – furono dedicate alla difesa del proprio gregge e dei pastori incriminati dall’autorità civile e militare austriaca. Scrisse lettere toccanti e generose perché i sacerdoti invisi all’Austria non fossero rimossi dalle parrocchie e dalle cattedre e perché l’autorità politica non si arrogasse il diritto di decidere intorno all’idoneità a ricoprire gli incarichi ecclesiastici, invadendo la sfera di competenza del vescovo, «un diritto essenzialissimo e tutto spirituale della Chiesa». Tutti i tentativi del vescovo per salvare i suoi sacerdoti non sortirono effetto e il governo austriaco mantenne i provvedimenti assunti nei confronti degli ecclesiastici compromessi, facendo intravedere la colpevolezza dello stesso B. nel non aver saputo prevenire e contenere il fenomeno dei preti patrioti. Accettò di recarsi a Vienna dal 4 maggio ai primi di luglio del 1850, su invito del Ministero imperiale, e ivi presiedette la commissione incaricata di proporre le soluzioni più idonee per avviare la pubblica beneficenza nel Regno Lombardo-Veneto. Al ritorno s’ammalò gravemente e morì prematuramente consunto dalla tubercolosi, a soli quarantanove anni, alle ore nove antimeridiane del 6 febbraio 1851 «dopo una settimana di attacchi convulsivi». Il Capitolo metropolitano della chiesa arcivescovile di Udine incaricò l’abate Giuseppe Bortoluzzi di tenere l’orazione di laude in lingua latina, mentre gli elogi funebri in italiano furono tenuti dal canonico monsignor Gianfrancesco Banchieri e dal professor abate Iacopo Pirona. Il corpo del vescovo venne sepolto – secondo le disposizioni testamentarie del 3 gennaio 1851 – nella cappella del Ss. Sacramento della metropolitana di Udine. In un periodo caratterizzato da gravi turbamenti sotto il profilo politico e sociale, B. non volle essere un «vescovo politico» in quanto «sentiva profondamente nell’animo suo di quanto male sono causa coloro che fanno la Religione schiava della politica» e «colla carità nel cuore e negli atti seppe andare incontro anche alle difficoltà dei tempi» (P. Valussi). La città di Udine, in segno di riconoscenza, gli eresse nel 1858 un monumento marmoreo, opera di Luigi Minisini.
ChiudiBibliografia
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