CAIMO GIACOMO

CAIMO GIACOMO (1609 - 1679)

giurista

Immagine del soggetto

Frontespizio delle 'Lucubrationes variae' di Giacomo Caimo, Padova 1654.

G. C. nacque a Udine il 24 agosto 1609. Penultimo degli otto figli di Marcantonio e Adriana Rinoldi, apparteneva ad un’illustre famiglia friulana che aveva già espresso personalità di rilievo nell’ambito della cultura filosofico-scientifica quale quella dello zio di G., Pompeo, illustre medico alla curia di Roma o nella sfera ecclesiastica, quale quella di un altro zio, e fratello di quest’ultimo, Eusebio, vescovo di Cittanova e vicario patriarcale. Sotto la sollecita cura e interessamento dei due zii si sarebbe compiuta la sua formazione. Cresciuto nei primi anni di studio presso il seminario udinese, nel 1619 fu condotto dallo zio Eusebio a Roma in occasione della sua investitura vescovile e là venne introdotto presso la corte romana da Pompeo, medico personale del cardinal Montalto e accolto come paggio da un fratello di quest’ultimo, il principe Peretti. Il C. si dedicava nel frattempo agli studi delle lingue classiche, della filosofia e della retorica. Quando, nel 1624, alla morte del Montalto, Pompeo Caimo accolse l’invito della Repubblica Veneta a ricoprire la cattedra di medicina teorica presso l’Ateneo patavino, il nipote lo seguì a Padova, dove venne avviato allo studio inizialmente del diritto civile e successivamente di quello canonico laureandosi in utroque l’otto giugno 1629 ad appena vent’anni, a conferma delle molte aspettative che i familiari avevano circa le sue brillanti capacità. Un accenno contenuto in una lettera che G. C. scrisse allo zio Eusebio da Padova il primo dicembre 1628 rende noto che lui, probabilmente negli anni romani, doveva aver preso i voti minori. ... leggi Egli comunicò al vescovo di Cittanova infatti che «il papa ha fatto la grazia della coadiutoria nella mia persona». Una ducale indirizzata al luogotenente di Udine nel febbraio dell’anno successivo confermava che il «reverendo Giacomo Caimo chierico da Udine» aveva ottenuto da Urbano VIII la coadiutoria del canonicato e prebenda di cui lo zio Quintilio, altro fratello del padre, godeva nella chiesa di S. Maria di Udine. Alla morte di questi, avvenuta nel luglio del 1629, G. gli subentrò nel canonicato. Una carriera ecclesiastica dunque avrebbe potuto prefigurarsi, ma il ritorno nella città natale e il contestuale esordio nella vita pubblica cittadina – testimoniato da una fugace apparizione nelle magistrature municipali quando nel 1631 risultava “astante” e “contraddicente” – si sarebbero rivelati molto brevi. Già l’anno successivo, 1632, la vacanza della lettura delle Regulis iuris aprì a G. l’opportunità di un ritorno a Padova e rappresentò l’avvio di una carriera docente presso quell’Ateneo, la quale nei decenni a venire, e per oltre quarant’anni, lo avrebbe accompagnato progressivamente fino alla titolarità dell’insegnamento “in primo luogo” di diritto civile (ottenuto nel 1651 e riconfermato nel 1661, 1666 e 1676), le cui tappe principali sarebbero state il conferimento della cattedra di Instituta in “secondo luogo” nel 1634 cui si sarebbe aggiunta quella delle “pandette” nel 1637 per passare alla lettura “in secondo luogo della sera” di diritto civile nel 1643 (rinnovata per ben otto volte). Dal punto di vista della retribuzione economica, i 150 fiorini annui del primo incarico si sarebbero periodicamente incrementati fino a raggiungere la somma di 1900 fiorini alla fine del suo curriculum di insegnamento nel 1678. Nel corso degli anni padovani, oltre al regolare insegnamento, G. fu richiesto dal governo marciano di alcuni pareri e consulti in questioni di diverso peso e natura e in collaborazione con il collega Alessandro Sinclitico: controversie circa i diritti giurisdizionali, come quella che nel 1643 oppose le ragioni del luogotenente veneto a Udine a quelle dei conti Cossi per il feudo di Codroipo, o di più ampia risonanza politica quando, nello stesso anno, gli vennero sottoposti i capitoli della pace d’Italia perché ne escludesse eventuali svantaggi per la Repubblica. Nel 1644 gli venne formalizzata la proposta di ricoprire il carico di consultore in iure, che non accettò. Altri incarichi consulenti arrivarono dal reggimento di Padova e di Udine tra i quali appare interessante quello del 1671 con il quale i deputati della città friulana gli chiedevano di redigere una memoria informativa «circa il sistema del peso dei fieni» adottato a Padova. Il suo parere competente venne richiesto anche da principi stranieri: nel 1642 fu «eletto relatore nella causa dei Prencipi Gonzaga col Vicerè di Napoli per la fortezza di Sabbioneta»; nel 1644 ricercato dalla duchessa di Mantova; nel 1662 dal cardinale Rinaldo d’Este che lo ospitò a Roma per qualche mese, con l’assenso dei Riformatori dello Studio di Padova. Rifiutò invece le offerte di insegnamento in altre sedi anche se a volte si accompagnavano ad un migliore trattamento economico. «Tralasciati partiti honorevoli in tre studii principali» annota in un’ordinata «informatione» dei suoi incarichi, facendo riferimento alle richieste pervenute da Pavia nel 1640, da Bologna nel 1641, da Messina nel 1642, rinnovata nel 1643. La nomina ad auditore di rota proposta nel 1641-42 da Udine e da Padova non poteva, probabilmente per la sua giovane età, trovare invece buon accoglimento. Due le opere principali del C., in due diversi campi del diritto, entrambi tuttavia di viva attualità. La prima, pubblicata a Padova nel 1654, è intitolata Lucubrationes variae. Nelle cinquecento pagine del volume in folio (si tratta del primo tomo di un’opera che sembra non aver avuto prosecuzione) il C. affronta con competente conoscenza e uso della dottrina questioni giuridiche inerenti aspetti della trasmissione patrimoniale, successori ed ereditari che in quei decenni diventano oggetto di rinnovata riflessione giuridica e sistemazione teorica: in particolare il diritto che regola le doti («de dotibus et dotium iure») e gli istituti della sostituzione («de substitutionum natura et effectu») e del fedecommesso («legatorum et fideicommissorum origine»). La seconda opera, De iure belli dissertatio, accessit eiusdem epistula gratulatoria ad summum ponteficem Clementem IX, pubblicata a Padova nel 1678, è dedicata a quella branca del diritto delle genti che riguarda il diritto di guerra. L’argomento costituiva, nella cultura giuridica del tempo, occasione per discutere dei rapporti tra entità sovrane e dunque per entrare nel merito di questioni politiche di alto spessore e delicatezza. Tra queste, non va dimenticato, anche la “vexata questio” della guerra giusta per motivi confessionali. Il C. vi affronta la materia da una prospettiva tradizionale e conservatrice e, in quest’ultimo caso, riproponendo posizioni anche superate e trascurando in ogni caso accenni espliciti e, sembrerebbe, anche impliciti alla massima autorità in tale campo di studi, Ugo Grozio, autore della sistemazione più compiuta e innovativa sull’argomento, quel De iure belli ac pacis comparso nel 1625, fondante la riflessione sul diritto delle genti in termini moderni, ma messo all’indice come opera di dottrina eterodossa. Quella che sembra essere una deliberata omissione scientifica da parte del C., data la vasta notorietà dell’opera di Grozio, può essere spiegata con la sua posizione religiosa aderente ad un cattolicesimo ortodosso; la chiara dimostrazione di ossequio nei confronti della Chiesa romana è rintracciabile anche nella scelta di dedicare l’opera al pontefice, Clemente IX. Scritti minori vanno considerate le poesie e i versi d’occasione o il Panegirico di Giacomo Caimo udinese per l’illustrissimo et eccellentissimo S. Girolamo Lando, apparso nel 1627 a suo nome, ma effettivamente opera dello zio Pompeo che attribuendoglielo cercava di favorirlo. In accordo con Eusebio, G. promosse la pubblicazione di alcune opere di Pompeo rimaste inedite alla sua morte nel 1631 e di un paio di esse stese le pagine di presentazione e dedicatorie (il De nobilitate, pubblicato a Udine nel 1634 e indirizzato a Domenico Molin, e il Dialogo delle tre vite riputate migliori, delitiosa, ambitiosa, studiosa del cavaglier udinese, primario lettore in Padova. Diviso in tre parti, dedicato a Girolamo Venerio (1640). Morì a Padova il 24 febbraio 1679 lasciando, come da testamento steso pochi giorni prima, ai suoi eredi, i figli del fratello Paolo, il feudo di Tissano di cui era stato investito nel 1648 per meriti. Esso gli era valso il titolo comitale.

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Bibliografia

Notizie sulla vita di G. in ASU, Caimo, 68/22, Domanda 1671 delli deputati della Città di Udine al Conte Giacomo Caimo lettore pubblico in Padova circa il sistema del peso dei fieni in quella città ed Informazione responsiva; Ibid, 79/5, manoscritti vari di Giacomo q. Marcantonio; Ibid, 90, contenente circa duecento lettere e annotazioni (1627-1678); Ibid, 112/3, Atti per conferimento di stipendio ed onorificenze al co. Giacomo Caimo lettore pubblico in Padova (13 pergamene); mss BCU, Principale, 425, Dissertazioni di varia erudizione; ivi, 1117, Investitura del feudo di Tissano col titolo comitale, 1648.

G. CAIMO, Lucubrationes variae, Padova, Pasquati, 1654; ID., De iure belli dissertatio, accessit eiusdem epistula gratulatoria ad summum ponteficem Clementem IX, Padova, Frambotti, 1678; ID., Panegirico […] udinese per l’illustrissimo et eccellentissimo S. Girolamo Lando cavagliere Podestà di Padova nel fine del Reggimento, Padova, Crivellari, 1627; ID., Prolusio per illustris. et excellentiss. D. Iacobi Caimi nobilis utinensis in liceo patavino publici lectoris; in lauream perillustriss et excellentiss. D. Georgici Patellarii nobilis cretensis, in celebri auditorium frequentia abita anno MDCXXXVI, die octava mensis martii, Padova, Crivellari e Bortolo, 1636.

LIRUTI, Notizie delle vite, IV, 206-211; S. GEMMA, Il “De jure belli” di Giacomo Caimo, «MSF», 19 (1923), 211-214; G. BENZONI, Caimo, Giacomo, in DBI, 16 (1973), 356-357.

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