Nacque a Udine verso il 1690 e morì nel 1770 nella «sua villa di Lumignacco»: il registro dei morti indica una età approssimativa di settantotto anni. La vita è confinata nell’ombra. Un’esistenza in ogni caso non tranquilla, se si dà credito al sonetto Per il mio ritrato (del 1760, quando l’autore avrebbe compiuto dieci lustri, con evidente aporia): «Cleric io foi un piez e po soldat / di princips mi volè lu mio distin. // Varcai pais e strac mi ritirai / e native capane sfortunade, / pal pont sietà che nisun schive mai» [Sono stato a lungo chierico e poi soldato di principi mi ha voluto il mio destino. Ho attraversato paesi e stanco mi sono ritirato nella sfortunata capanna nativa, per aspettare il punto che nessuno elude mai]. I suoi versi italiani e friulani, ora bonari ora aspri, investono dame e cavalieri serventi (l’interminabile bighellonare sul “liston”, le indecorose soste al caffè, la famiglia trascurata), villeggianti visti attraverso la caustica lente del contadino, bottegai presuntuosi e senza creanza, sussieghi nobiliari retti dal solo censo, religiosi più sensibili alle vanità della moda e agli stimoli della carne che vigili custodi dei propri doveri, a scorrere nell’area che da Udine conduce a Palmanova. Per sondare i modi della scrittura, con la sua osservazione (e riprovazione) del costume, basti un estratto da Iu frestg’ sive liston di gnot dai nobii d’Udin [I freschi ossia la passeggiata notturna dei nobili di Udine], datato 2 luglio 1757. Una manciata dei 120 versi complessivi, un prelievo che mortifica l’indugio analitico, pagina di diario che nel protrarsi trova la propria cifra, assecondando il ritmo ondivago dei passi con rapide e velenose inquadrature: «Oh potentie di mi! Ze biel vedè / la gnot a spasizà sot il palaz […]. // Ognune senze fal ha il so servent, / c’al val a dì lu so biel parigin, / ma sares miei al prin / clamalu cul biel non di favorit / de dame e l’aiutant di so marit. ... leggi // Une ven sostentade dal galant, / che pur la serf cun gran pontualitat, / un’altre ha bontat / di dà al so il biel braz snudat: / lui pavonegie e al fas l’appasionat […]» [Oh potenza di me! Che bello vedere di notte passeggiare sotto il palazzo (…). Ognuna, senza eccezione, ha il suo servente, vale a dire il suo bel parigino, ma sarebbe meglio chiamarlo subito con il bel nome di favorito della dama e aiutante di suo marito. Una viene sorretta dal galante, che pure la serve con grande puntualità; un’altra ha la bontà di porgere al suo il suo bel braccio nudo: lui si pavoneggia e fa l’innamorato (…)]. Nei testi si affacciano episodi di cronaca cittadina, con i suoi orgogli variamente declinati, con l’affannosa rincorsa all’ordine di Malta che occupa gli interi anni Quaranta (dal 1740, quando il priorato di Venezia respinge la domanda del conte Filippo Florio, al positivo epilogo del 1749). Risentimenti forse genuini, ma non senza il sospetto di una intransigenza topica, che gode dell’ovvia rendita di risvolti burleschi. E non senza il rituale corredo di tributi complimentosi, a oscillare, nel presumibile rispetto di diversi regimi stilistici, tra attacco virulento e riverenza encomiastica. Altri componimenti sfiorano il risveglio della primavera, il luogo comune dell’amore in età non più canonica, e azzardano ancora la piega della compunzione (con ripetuti ricordi collorediani). C. non è privo di interesse documentario: per il particolare “uso” dei versi, come anello, come uno degli anelli tra il Colloredo e Pietro Zorutti (un Colloredo assunto a paradigma prima della stampa del 1785), come gradino nella definizione di un friulano scritto unitario (dove si segnala una stranezza del plurale maschile con uscita in velare, –c: «zilivox» crochi, ma anche «antiz» antichi, «intriz» intrichi, «mamaluz» mamalucchi, «penaz» pennacchi: graficamente una affricata).
ChiudiBibliografia
Ms BCU, Principale, 350 (antico proprietario Francesco Rota, manoscritto donato alla Biblioteca da Iacopo Pirona e perciò forse noto a Pietro Zorutti).
P. PARPINEL, I versi friulani di Bernardino Cancianini (1690?-1770), t.l., Università degli studi di Trieste, Facoltà di lettere e filosofia, a.a. 1985-1986 (con regesto dei versi italiani); PELLEGRINI, Ancora tra lingua e letteratura, 367-368.
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