Nacque a Udine, nella parrocchia di S. Chiara, il 20 gennaio 1663 da Giovanni Leonardo e sua moglie Anna. Il padre, anch’egli nato a Udine nel 1614, discendente da un’antica famiglia di origine carnica, proprietaria del monte sopra Luincis, con il titolo di feudo di Gismania, e di alcuni beni a Santa Maria la Longa, era un artista piuttosto affermato sulla scena locale, autore di ritratti (Ritratto del medico Chiave con il figlio, 1656, e Ritratto del canonico Antonio Gabrielli, 1665, conservati nei Civici musei di Udine), di un trittico con vedute prospettiche della città di Udine (disegno a inchiostro a tempera del 1668, conservato nello stesso museo) e di un perduto monumento in stucco dedicato al luogotenente Zaccaria Valleresso (1668). Nel 1679, dopo che nel 1666 era morta la madre e nel 1669 era scomparso anche il padre, il C. insieme con la sorella maggiore Cassandra lasciò la città natale per trasferirsi a Venezia, prendendo alloggio in un’abitazione di proprietà del monastero dei Carmini, in cui avrebbe risieduto per il resto della sua esistenza. La nuova dimora del giovane friulano era situata nei pressi del palazzo dei Zenobio, famiglia che era sua protettrice e ne diventò mecenate, tanto che dai contemporanei era conosciuto con il soprannome di “Luca di Ca’ Zenobio”. Da allora la vita e l’attività del C. sarebbero state esclusivamente legate all’ambiente lagunare. Nel 1699 sposò Giovanna (deceduta nel 1710), figlia dell’orefice Bastian Suchietti, da cui avrebbe avuto i figli Pietro, tenuto a battesimo dal pittore udinese Sebastiano Bombelli, Marianna (in seguito allieva di Rosalba Carriera) e Laura. Morì in Venezia il 12 febbraio del 1730. Dopo la partenza da Udine ben pochi sarebbero stati i contatti tra l’artista e la terra friulana. ... leggi In particolare, nel 1714 fu interpellato dal magistrato di Udine per esprimere un parere sul progetto di Domenico Rossi per la riforma del duomo cittadino (un’analoga richiesta gli era pervenuta da Conegliano nel 1712 e poi nel 1723 sarebbe stato interpellato dai procuratori di S. Marco) e intorno al 1718 realizzò una Veduta di piazza Contarena (ora di proprietà privata), preceduta da un disegno (conservato nel Museo delle belle arti di Budapest). Secondo le fonti, il C. non ebbe uno stabile apprendistato presso qualche maestro veneziano, preferendo piuttosto cogliere influssi provenienti da diverse direzioni; tuttavia la sua produzione, specie quella giovanile, evidenzia derivazioni dalle esperienze di Johan Anton Eismann, la cui bottega è presumibile abbia frequentato all’inizio degli anni Ottanta, insieme a suggestioni provenienti dal cavalier Tempesta, dal Reder e dal de Heursch, seguendo idee antibarocche e vicine ai temi dei “bamboccianti”. Le diverse componenti di matrice nordica che si riscontrano nella poetica del C., hanno fatto supporre un suo viaggio, da collocare tra il 1685 e il 1690, a Roma dove avrebbe potuto trarre simili spunti; appare però molto più probabile che siffatte influenze siano state assorbite direttamente a Venezia, città nella quale sono comunque attestati soggiorni degli artisti che lo hanno attratto. Le prime notizie sul C. tratte dalla letteratura artistica, in modo particolare dalla voce che nel 1704 l’Orlandi gli dedicò nel suo Abecedario, lo descrivono come un giovane ma già affermato pittore di «capricci» e di «porti di mare e paesini con vaghe figure»: definizioni che evidenziano l’ambito tematico entro cui si svolge l’esperienza artistica del friulano, sebbene non sia ricordato tra i generi che praticava il vedutismo, che proprio dal 1703 egli stava introducendo in ambito veneziano, per mezzo di opere grafiche e pittoriche. A lui si deve quindi l’avvio della grande e fortunata stagione del vedutismo veneto, che in seguito vedrà i suoi apici in Canaletto e Bellotto. Essa differisce rispetto ad altre esperienze, come quella romana del neerlandese van Wittel, per la capacità dell’artista di coniugare la precisione della raffigurazione (ottenuta anche con l’ausilio della “camera ottica”) con un’interpretazione del tutto personale del soggetto, non tanto per le scelte prospettiche adottate, quanto per la ricerca di un insieme di elementi, luci, atmosfere, situazioni e personaggi che cercano quasi di instaurare un dialogo “sentimentale” con l’osservatore. In sintonia con le indicazioni fornite dall’Orlandi, la prima opera ritenuta del C. è in effetti una Battaglia navale (di collezione privata), datata all’inizio del nono decennio, in considerazione della presenza di alcuni brani che fanno pensare all’esecuzione in una fase particolarmente giovanile (Delneri). Seguono, verso la fine degli anni Ottanta, tre grandi tele per il portego della dimora dei Zenobio (ora collegio dei padri armeni mechitaristi), un Paesaggio con cascata e carovana, un Paesaggio con scena di mercato e un Porto di mare: in tale occasione l’artista friulano ha modo di mettersi alla prova con scene che si palesano come altrettante declinazioni del tradizionale genere paesaggistico, evidenziando dipendenze stilistiche tratte dal repertorio del Tempesta e dell’Eismann. Per la chiesa veneziana di S. Pantalone ha invece prodotto nel nono decennio del Seicento gli unici brani di soggetto religioso del suo catalogo e i soli in cui sono assenti riferimenti architettonici: Giuseppe venduto dai fratelli e Mosè fa scaturire l’acqua dalla roccia, composizioni in cui comunque predomina l’aspetto paesaggistico, con ascendenze che vanno dai Bassano al Tempesta. Alla fine del secolo si collocano opere che rinviano al fortunato genere delle battaglie navali, di derivazione neerlandese, e una coppia di dipinti dedicati alla Primavera e all’Estate (in collezione privata), splendidi capricci di fantasia, paesaggi ideali arricchiti da gustosi episodi narrativi (Delneri). Alle origini della teoria delle vedute del C. vi è una coppia di dipinti che la critica (Succi) ha datato a cavallo tra Sei e Settecento, Piazza San Marco con i commedianti sotto al campanile e la Veduta di San Nicolò di Castello (entrambi in collezione privata). Tuttavia l’anno che segna l’avvio del vedutismo veneziano è il 1703: quando il C. pubblica la serie di incisioni dal titolo Fabriche e vedute di Venetia e realizza il dipinto che illustra l’Ingresso dell’ambasciatore francese de Charmont in palazzo Ducale. Nella prima delle imprese ricordate, un album composto da centouno acqueforti che riproducono altrettanti scorci veneziani, l’artista udinese ha dato vita, sicuramente dopo anni di studi preparatori, a una vera e propria galleria di immagini, in cui ha fissato il volto cittadino, tramandando così un importantissimo corpus grafico e un fondamentale elemento di paragone per tutte le successive operazioni vedutistiche legate alla Dominante. Al contempo, con la tela che commemora l’arrivo del rappresentante di Luigi XIV (avvenuto nel 1703), l’autore introduce in laguna una nuova maniera di illustrare la realtà urbana, ancorata a ben precisi contesti architettonici, la quale dà avvio ad un itinerario espressivo che lo condurrà nel giro di poco tempo a esiti pienamente vedutistici. Contemporaneamente a tali opere C. prosegue nella produzione di dipinti legati al genere dei capricci con porti di mare, che gli avevano già conferito una notevole fama, mettendo in luce la complementarietà fra i generi di fantasia e le vedute, come testimoniano gli esemplari della Narodna Galerija di Lubiana (con la data 1705), dell’Accademia Carrara di Bergamo e di diverse collezioni private. Alla veduta torna verso il 1705 con il pendant de Il molo con la Zecca e la punta della Dogana e Il molo verso il Palazzo Ducale della Galleria Nazionale di Arte Antica di Roma, e nel 1706-07 con La punta della Dogana e San Giorgio Maggiore di collezione privata. A due solenni e ravvicinati avvenimenti diplomatici il C. riserva dipinti che mostrano la stessa inquadratura, nei quali riesce a fondere, in uno spettacolare insieme, la veduta architettonica con la vivacità di una scena affollata e variopinta, creando delle raffigurazioni che assumono un valore fondamentale nel suo itinerario stilistico e più in generale nell’affermarsi del vedutismo veneziano: l’Ingresso dell’ambasciatore francese Henri-Charles Arnauld detto l’abate di Pomponne in palazzo Ducale, del 1706 (conservato nel Rijksdienst Beeldende Kunst), e l’Ingresso dell’ambasciatore britannico conte di Manchester in palazzo Ducale, del 1707 conservato nel City Museum and Art Gallery di Birmingham. Attorno al 1710 si colloca un piccolo dipinto, ora dell’Accademia Carrara di Bergamo, che mostra il Ricevimento di un ambasciatore, ambientato in uno spazio chiuso, unico esempio nella produzione del friulano, importante perché rappresenta una assoluta novità nel mondo veneto e nel costituire un presupposto per analoghi interventi di Canaletto, Francesco Guardi e Giambattista Tiepolo (il Consilium in arena dei Civici musei di Udine). Un interessante “pendant”, Il molo verso palazzo Ducale e Piazza San Marco con i ciarlatani, della Staatliche Gemäldegalerie di Potsdam, segna la fine dell’attività del primo decennio del Settecento, cui fa seguito una scena ambientata sulle rive del Tamigi, conosciute attraverso stampe, che rappresenta l’Ingresso a Londra degli ambasciatori veneziani Nicolò Erizzo e Alvise Pisani, del Bayerische Staat sgemäldesammlungen di Monaco Staatsgalerie im Neun Schloß Schleissheim e la Regata sul Canal Grande in onore di Federico IV re di Danimarca (evento del 1709), nelle versioni del Castello di Frederiksborg (in Danimarca), del Paul Getty Museum di Malibu e dell’Ermitage di San Pietroburgo. Nonostante quest’intensa serie di realizzazioni che hanno per protagonista vedute di Venezia, il C. continuava nell’ideazione di capricci, soprattutto porti e fantasie architettoniche, tra cui figura la Veduta di un porto fluviale del Museo Correr di Venezia e il Capriccio con l’Arco di Costantino, ponte medievale e statua equestre del Museo civico di Vicenza (1712). Il secondo decennio del XVIII secolo segna il momento della piena maturità del maestro friulano, che in tale periodo sigla dei veri capolavori nell’arte della veduta, per altro non legati a occasioni commemorative: come lo spettacolare dipinto che raffigura Il molo con il palazzo Ducale e la Libreria eseguito intorno al 1715, in collezione privata (Succi) e la Piazza San Marco verso la basilica, forse “pendant” del precedente, nonché Piazza San Marco con la torre dell’Orologio, La Piazzetta e piazza San Marco dalla porta della Carta e Il molo del bacino di San Marco, questi ultimi in raccolte private. A un preciso avvenimento si riferisce invece la Regata in onore del principe elettore Federico Augusto di Sassonia del 1716, ora all’Ermitage. Per quanto riguarda la fortunata serie dei capricci, non sono noti esemplari eseguiti dopo il 1714, segno di una dedizione pressoché totale al genere della veduta, che evidentemente stava incontrando un grande successo. A riprova del grado di affermazione ormai raggiunto dal C., sono le già ricordate commissioni di prestigio e una serie di opere indirizzate a importanti collezionisti, come la serie di quattro vedute richieste da Crowe, console britannico a Genova, eseguite tra il 1720 e il 1723 (oggi nella collezione Talbot di Kiplin Hall), o i quattro dipinti del 1726 per il federmaresciallo von Schulenburg (due sono in collezioni private e i restanti nel Seattle Art Museum e nel Country Museum of Art di Los Angeles). Tuttavia, nonostante l’intensa attività, l’inizio del terzo decennio del Settecento segna l’avvio di una parabola discendente per il C. che si evidenzia nei lavori appena citati in una generale caduta della qualità esecutiva e in una certa stanchezza nelle invenzioni prospettiche, forse anche in conseguenza all’emergere e al progressivo affermarsi del nuovo talento vedutistico del Canaletto. Comunque anche in tale periodo continuano ad uscire dall’atélier del friulano tele degne dei momenti migliori, quali l’Ingresso dell’ambasciatore cesareo conte di Colloredo in palazzo Ducale, del 1726 e conservata nella Gemäldegalerie Alte Maister di Dresda, e, nello stesso anno, l’Ingresso dell’ambasciatore francese conte di Gergy in palazzo Ducale, del Musée du Château di Fontainebleau. Nel 1728 l’affievolirsi della forza espressiva si accompagna al declino fisico, poiché l’artista udinese viene colpito da una forma progressiva di paralisi che nel corso di un biennio lo porta alla morte (12 febbraio 1730), lasciando alle sue spalle una serrata sequenza di capolavori e l’indiscutibile primato nell’avvio della scuola dei vedutisti veneziani, ammirata e contesa in tutta Europa per l’intero XVIII secolo.
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Su Giovanni Leonardo Carlevarijs: G. PERUSINI, Un’opera ignota di Giovanni Leonardo Carlevarijs, «Sot la nape», 13/1 (1961), 54-56; A. RIZZI, Udine tra storia e leggenda nell’arte e nell’iconografia, Udine, Istituto per l’enciclopedia del Friuli Venezia Giulia, 1983, 188; P. PASTRES, scheda, in Galleria arte antica I. Dall’amplissima bibliografia che riguarda Luca Carlevarijs, si riportano solo i titoli di maggiore interesse per la conoscenza dell’artista friulano, seguendo la traccia della voce biografica, con particolare riferimento a quanto riguarda la sua terra d’origine: P.A. ORLANDI, Abecedario pittorico, Bologna, Costantino Pisarri, 1704, 226; Disegni, incisioni e bozzetti del Carlevarijs. Catalogo della mostra (Udine, 29 dicembre 1963-2 febbraio 1964), a cura di A. RIZZI, Udine, Doretti, 1964; A. RIZZI, Luca Carlevarijs, Venezia, Alfieri, 1967; R. PALLUCCHINI, La pittura veneziana del Seicento, Milano, Electa, 19932, 326; I. REALE, In margine alle origini del vedutismo veneto: Luca Carlevarijs e la macchietta, «Arte in Friuli. Arte a Trieste», 5-6 (1982), 117-131; ID., Luca Carlevarijs. 1663-1730, in Capricci veneziani del Settecento. Catalogo della mostra (Gorizia, giugno-settembre 1988), a cura di D. SUCCI, Torino, Allemandi, 1988, 105-127; Luca Carlevarijs e la veduta veneziana del Settecento. Catalogo della mostra (Padova, 25 settembre-26 dicembre 1994), a cura di I. REALE - D. SUCCI, Milano, Electa, 1994; A. DELNERI, ivi, 113-124; Luca Carlevaijs. Le Fabriche e Vedute di Venetia. Catalogo della mostra (Udine, 4 dicembre 1995-20 gennaio 1996), a cura di I. REALE, Venezia, Marsilio, 1995; G. BERGAMINI, Il Settecento in Friuli: un secolo d’oro, in Giambattista Tiepolo, 148-149; A. CZÈRE, Nuovi disegni di veduta di Luca Carlevarijs, in L’arte nella storia. ... leggi Contributi di critica e storia dell’arte per Gianni Carlo Sciolla, a cura di V. TERRAROLI - F. VARALLO - L. DE FANTI, Milano, Skira, 2000, 329-333; D. SUCCI, Nuovi Porti di mare di Luca Carlevarijs, in Da Canaletto a Zuccarelli, il paesaggio veneto del Settecento. Catalogo della mostra (Villa Manin di Passariano, 8 agosto-16 novembre 2003), a cura di A. DELNERI - D. SUCCI, Udine, Provincia di Udine, 2003, 62-66; Luca Carlevarijs 1663-1730, navi e altri disegni dalle collezioni del Museo Correr, a cura di F. PEDROCCO - C. TONINI, Venezia, Marsilio, 21007; A. CRAIEVICH, in Canaletto. Venezia e i suoi splendori. Catalogo della mostra (Treviso, 23 ottobre 2008-19 aprile 2009), a cura di G. RAVANELLO - A. CRAIEVICH, Venezia, Marsilio, 2008, 88-111.
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