CECONI DI MONTECECON GIACOMO

CECONI DI MONTECECON GIACOMO (1833 - 1910)

impresario, filantropo, amministratore pubblico

Immagine del soggetto

L'impresario Giacomo Ceconi, ritratto nell'€album fotografico realizzato alla fine del 1883 in occasione dell'€inaugurazione del traforo dell'Arlberg (Lestans, Centro ricerche ed archiviazione della fotografia).

Nacque il 29 settembre 1833 nel villaggio di Pielungo, frazione del comune di Vito d’Asio (all’epoca sotto il dominio austro-ungarico), da Angelo e Maddalena Guerra, ultimo di tre fratelli. Trascorse l’infanzia nella val Nespolaria, portando al pascolo i pochi animali che davano sostentamento alla famiglia. A diciotto anni ebbe dalla madre il permesso di partire alla volta di Trieste per imparare il mestiere di assistente edile, lavorando di giorno come manovale e la sera frequentando le scuole di disegno e i corsi d’arti e mestieri. In quella città ebbe modo di mettersi in evidenza proponendo ai titolari dell’impresa, fratelli Martina di Chiusaforte, la soluzione di un problema tecnico che stava bloccando i lavori nel cantiere: per questo venne ricompensato con la attribuzione “sul campo” della qualifica di muratore. A partire dal 1857, conquistata una certa indipendenza, C. iniziò ad assumere in proprio dei piccoli lavori edili; questo fu sicuramente il motivo principale per cui chiese ai genitori, con l’appoggio determinante della madre, di pagare – come allora era legalmente diffuso – l’esonero dal servizio militare (l’obbligo di leva durava sette anni). Ben presto l’impresario C. iniziò ad affermarsi come costruttore delle più importanti tratte ferroviarie dell’Impero austroungarico: dalla prima opera (la costruzione del viadotto ferroviario in pietra di Borovinca, Slovenia, sulla linea ferroviaria Trieste-Lubiana-Vienna) alle successive realizzazioni (i fabbricati lungo la linea ferroviaria Sopron-Szombathely in Ungheria nel 1865, le stazioni ferroviarie di Vipiteno, di Colle Isarco, del Brennero e di Gries – oltre il Brennero – nel 1866, quelle sul tratto Kreuzstätten-Mislitz, Bassa Austria, e Hrošovany-Znojmo, in Boemia, nel 1869-1871, quelle di Fiume e di San Pietro del Carso nel 1872-1875, quelle di Tarvisio e di Pontebba nel 1877-1879, il tronco ferroviario di collegamento della Baviera, Reden, al confine con la Boemia e la linea Tàbor-Hornì Cerekev con il viadotto di Cervena – alto 67 metri e realizzato senza ausilio di armature – nel 1885-1887). Nel 1880 C. affrontò il traforo dell’Arlberg, un’opera grandiosa al limite del proibitivo, associandosi con i fratelli Lapp per realizzare la metà occidentale della galleria, e lavorando in proprio sul versante orientale, verso il Tirolo. ... leggi Per valutare l’entità del lavoro si consideri che la galleria misura circa dodici chilometri e che a monte e a valle del traforo vennero realizzati imponenti viadotti e opere complementari di difesa. La direzione delle Ferrovie statali austriache stabilì una penale di 800 fiorini per ogni giorno di ritardo rispetto al termine previsto di ultimazione dei lavori, fissato al 15 agosto 1885. I lavori vennero conclusi con largo anticipo (il 3 settembre 1884 il primo treno attraversò il traforo, mentre il 20 dello stesso mese il traforo fu inaugurato) e questo risultato incrementò il compenso dovuto a C. con un premio di 800 fiorini per ogni giorno di anticipo. Ma non solo, l’imperatore volle ringraziare C. nominandolo nobile di Montececon. Nei lavori dell’Arlberg lavorarono fino a 5.000 operai nel traforo e oltre 11.000 sulle linee di accesso; merita ricordare che nessun incidente mortale colpì gli operai di C. Dopo alcuni anni in cui C. fu impegnato in lavori portuali a Trieste e in Sardegna, intraprese un altro grandioso lavoro: il Wocheiner Tunnel, tra Podbrdo (Piedicolle) con Bohinjska Bistrica, lungo sei chilometri e mezzo, che avrebbe collegato il Litorale con la Carinzia. L’opera si rivelò più impegnativa del previsto (gli scavi nella roccia carsica celarono molte insidie), ma C. portò a termine i lavori con tre mesi di anticipo sul termine fissato, e il primo treno transitò l’11 novembre 1905. Questa fu l’ultima sua opera all’estero. Con il premio dell’Arlberg C. finanziò la via (lunga undici chilometri) di comunicazione tra Pielungo e i centri della pedemontana pordenonese, che realizzò superando grandi difficoltà tecniche di tracciato (per non intaccare gli scarsi terreni produttivi fece passare la strada nel luogo più impervio della valle: l’orrido del Clapéit) e vincendo le forti ostilità dei proprietari dei terreni attraversati. In soli due anni la strada, dedicata alla regina Margherita, venne conclusa e nel 1891 fu inaugurata. Con questa dedica C. si procurò il favore della consorte del re Umberto I per convertire il titolo nobiliare asburgico in quello italiano di conte. Il contributo assegnato dal governo italiano per la strada regina Margherita C. lo destinò alla realizzazione di scuole (con relativi alloggi per gli insegnanti, ai quali garantì lo stipendio pagato per dieci anni). A Pielungo istituì la scuola professionale per muratori, falegnami e carpentieri e la scuola elementare, nel capoluogo Vito d’Asio costruì la scuola, ad Anduins ristrutturò e ampliò la scuola esistente (l’unica allora del comune). Finanziò anche altre opere sociali: la chiesa di Pielungo, gli arredi sacri e le campane di Pielungo e di Anduins, i primi acquedotti comunali. In quegli anni fu eletto varie volte sindaco di Vito d’Asio. C. non riuscì invece a portare a termine altri progetti: la realizzazione di una centrale idroelettrica per sfruttare l’acqua dell’Arzino (a causa dell’ostilità degli aventi i diritti di fluitazione del legname), dopo aver posato la galleria per la conduzione forzata dell’acqua, la costruzione delle fabbriche di cemento e di guano (a causa dell’invidia dei comuni limitrofi, gelosi del progresso che stava investendo Vito d’Asio). C. fu promotore anche di rimboschimenti su grande scala: nei vent’anni prima della morte mise a dimora circa 1.900.000 piantine su terreni di sua proprietà. Nel 1912 la sezione friulana della società “Pro montibus et sylvis” gli conferì, alla memoria, il diploma di benemerenza. Avventurosa, come l’attività imprenditoriale, fu anche la sua vita familiare. Nel 1865 in Ungheria, mentre stava seguendo un cantiere, sposò Caterina Racz – dalla quale ebbe due figli, Angelo e Rosa –, che morì dopo solo quattro anni di matrimonio. Si unì poi in matrimonio con l’austriaca Giovanna Wuch (dalla quale ebbe quattro figli: Vittorio, Jenny, Umberto e Elvira) che morì nel 1874. Con Giovanna e la nuova famiglia C. si trasferì a Gorizia (anche per poter assumere la cittadinanza austriaca e concorrere all’appalto per la costruzione del tunnel del monte Arlberg – all’epoca molto forti furono le rimostranze dell’imprenditoria asburgica contro “il costruttore straniero”) e il suo salotto divenne uno dei più frequentati della città. La terza moglie fu Geltrude Maria Dittmar, conosciuta alla corte di Vienna: C. divenne padre di Alice, frutto però di una relazione extraconiugale della moglie. Per questo motivo chiese il divorzio e il disconoscimento di Alice, ma la richiesta venne respinta dai tribunali austriaci. A quel punto C. decise di rinunciare alla cittadinanza austriaca e di trasferirsi in Italia, dove la Sacra Rota gli concesse l’annullamento del matrimonio. Negli ultimi anni, quando C. si rifugiò nel borgo natio nell’imponente castello di Pielungo, sposò l’istitutrice di origine slovena Giuseppina Novak, dalla quale ebbe due figli, Mario, che sarebbe divenuto un noto scultore, e Magda. Morì a Udine il 18 luglio 1910 e volle essere sepolto nella natia val Nespolaria nella cappella adiacente al castello; il feretro fu trasportato da una carrozza scoperta del tram da Udine a San Daniele del Friuli e da qui proseguì per Pielungo su una carrozza trainata da cavalli.

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Bibliografia

MARCHETTI, Friuli, 753-762; T. PASQUALIS, Il traforo ferroviario dell’Arlberg in Austria costruito un secolo fa da Giacomo Ceconi, «R.tec.», 3 (1984), 31-37; A. FILIPPUZZI, Note biografiche sul conte Giacomo Ceconi, in Âs, 689-702; O. MAZZOLINI - M. SANTORO, L’attività del conte Giacomo Ceconi, ibid., 703-740; L. D’ANDREA - A. VIGEVANI, Giacomo Ceconi un impresario friulano, Udine, Filacorda, 1994; A. GIUSA, Giacomo Ceconi & Co. Catalogo della mostra, Udine, Forum, 2007 (Quaderni del CRAF, 01); G. e P. GEROMETTA, Giacomo Ceconi e Carlo Lualdi: due vite, una storia nella valle dell’Arzino, «La voce della Val d’Arzino», 2 (2010), 4-9.

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