CONCINA GIOVANNI MARIA

CONCINA GIOVANNI MARIA (1868 - 1936)

ecclesiastico, sindacalista

Immagine del soggetto

Copertina del mensile «Lo sbadiglio», pubblicato dai seminaristi di Portogruaro negli anni scolastici 1899-1901 e redatto da Giovanni Maria Concina e Giuseppe Lozer (Pordenone, Archivio storico diocesano).

Nacque a Clauzetto (Pordenone) nel 1868. Dopo la consacrazione sacerdotale, assunse l’ufficio di cappellano di Azzano Decimo e, nel gennaio del 1896, quello di parroco di Prata, che avrebbe mantenuto fino alla morte. Oltre all’impegno spirituale nei confronti della comunità cristiana che gli era stata affidata, C. si impegnò per migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei contadini di Prata. Amico di don Giuseppe Lozer, formò e confrontò le proprie idee sulla rivista «La cultura sociale», diretta da don Romolo Murri (1870-1944), favorendo nella sua parrocchia la nascita delle prime organizzazioni sindacali cattoliche in difesa dei lavoratori. Nel 1901 scrisse al vescovo Francesco Isola, denunciando lo stato di arretratezza materiale, culturale e spirituale di molti suoi parrocchiani e il comportamento dei proprietari terrieri, che non facevano nulla per migliorare le condizioni dei loro dipendenti. Nello stesso anno fu nominato vicario foraneo. Nel 1903 con Lozer e don Giordani fondò a Pordenone un circolo del movimento cattolico friulano, nonostante le critiche dei liberal-massoni locali, che accusavano i tre sacerdoti di sobillare la lotta di classe. Nel 1906 papa Pio X (1903-1914) pubblicò l’enciclica Pascendi, con la quale condannava il modernismo. Il vescovo Isola convocò, quindi, C. e altri sacerdoti diocesani per chiedere loro di prendere le distanze dal movimento della Democrazia cristiana e di convincere della necessità di questo passo anche Lozer. Il parroco di Prata si disse disposto a rinunciare a tutto quanto fosse contrario alla dottrina cristiana, ma non alla difesa dei mezzadri e dei salariati. ... leggi Il vescovo, d’altro canto, riconobbe l’importanza dell’opera di C. e la sostenne: il suo intervento volle solo proteggere il collaboratore da possibili accuse di modernismo, che avrebbero fortemente condizionato i risultati della sua azione sociale e sindacale. Lo dimostra anche il fatto che nel 1914 monsignor Isola lo nominò incaricato diocesano per l’organizzazione agraria. Allo scoppio della prima guerra mondiale il parroco di Prata fu accusato di antipatriottismo e austriacantismo per le sue posizioni pacifiste e non interventiste. Tali accuse gli costarono undici mesi di internamento a Firenze. Al termine del conflitto, C. ritornò in diocesi. Nel novembre del 1918 era a San Giovanni di Casarsa per incontrare il vescovo Isola fuggito da Portogruaro, dopo l’aggressione subita il giorno dell’armistizio ad opera di alcuni facinorosi, che lo accusavano di connivenze con il nemico. In tale circostanza concordò con il presule sulla necessità di rispondere all’aggressione con il trasferimento della sede vescovile in altra città (San Vito, Pordenone). Il 18 gennaio del 1919 nacque il Partito popolare di don Sturzo: C. fu incaricato di organizzare il nuovo soggetto politico nella destra Tagliamento; in giugno partecipò al congresso nazionale del partito, che si tenne a Bologna, come unico rappresentante pordenonese. In luglio si recò a Roma con una commissione di parroci diocesani al fine di presentare un memoriale, relativo al trasferimento della sede concordiese da Portogruaro a Pordenone. Tornato in Friuli, fondò la sezione del Partito popolare a Prata e, in settembre, rappresentò con Lozer la diocesi a Udine, in un convegno volto ad elaborare un programma economico e sociale, condiviso da tutto il mondo cattolico friulano. Gli anni successivi furono dedicati da C. alla riorganizzazione sindacale dei mezzadri e dei salariati delle campagne, le cui condizioni di lavoro e di vita erano notevolmente peggiorate dopo la fine del conflitto. Si raggiunsero alcuni risultati importanti sebbene provvisori, anche grazie al sostegno del nuovo vescovo Luigi Paulini. Nel 1921 C. e Lozer furono accusati dalle pagine de «La Patria del Friuli» di bolscevismo bianco e di istigazione all’odio di classe: autore dell’articolo era il parroco di Portobuffolé, don Egisto Ciampi. Monsignor Paulini prese le difese dei suoi collaboratori, chiedendo l’intervento del vescovo di Ceneda. Con l’avvento del fascismo le leghe bianche entrarono in crisi e con l’instaurarsi della dittatura scomparirono definitivamente, togliendo ai lavoratori cattolici qualsiasi forma di rappresentanza sindacale. Nel 1927 C., accusato di antifascismo, fu condannato, insieme a Giovanni Colin, arciprete di Spilimbergo, al confino. L’intervento del vescovo di Concordia, dell’arcivescovo di Udine e di don Lozer a Roma resero la pena più lieve, con il domicilio forzoso presso il Seminario del capoluogo friulano. Tornato in libertà, don C. assunse l’incarico di vicario foraneo di Pasiano e, negli ultimi anni di vita, di canonico onorario della cattedrale. Morì a Prata il 20 ottobre del 1936.

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Bibliografia

A. MORETTI, Don Giovanni Maria Concina e il fascismo: l’arresto del 1927, «Storia contemporanea in Friuli», 18 (1987), 149-156; V. CHIANDOTTO, Giovanni Maria Concina: una vita per le classi contadine, in L’opera sociale, politica e pastorale di Giovanni Maria Concina. Atti del convegno, San Vito al Tagliamento, Ellerani, 1989, 51-106; SCOTTÀ, Vescovi, II, 80n; PIGHIN, Seminario I, 397, 501, 517; A. SCOTTÀ, Dalla crisi del 1898 alla Prima Guerra Mondiale, in Concordia, 589-617: 597-598, 608-609.

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