Nacque nel 1343 a Buda, dal padre Conversino del Frignano, medico di corte di Luigi I il Grande, il re d’Ungheria che tanta parte ebbe, a partire dalla metà del Trecento, nelle vicende dell’Italia nordorientale, in particolare di Veneto e Friuli. Il C. crebbe però in Italia, tra Ravenna, Bologna, Ferrara e Padova, affidato allo zio, il francescano Tommaso da Frignano, in seguito patriarca di Grado (1373) e cardinale (1378). Maestro di grande prestigio e umanista di cui ci sono pervenute unicamente opere latine (ma compose in gioventù anche poesie d’occasione in volgare), il C. è uno dei principali esponenti della cultura protoumanistica fiorita nell’area padanoveneta sulla scia del magistero petrarchesco. Noto nelle fonti coeve come “Iohannes Ravennas” o “Iohannes de Ravenna”, la sua figura fu sin dall’inizio, a partire da Biondo Flavio nell’Italia illustrata, confusa e sovrapposta a quella dell’altro celebre “Giovanni da Ravenna”, ossia Malpaghini, il copista di Petrarca. La fonte più importante per la ricostruzione degli eventi della sua vita è, insieme all’ampio epistolario, l’autobiografia Rationarium vite, completata nel 1400, scritta sul modello delle Confessioni agostiniane e del Secretum petrarchesco ma connotata, rispetto alle fonti d’ispirazione, dall’originale e innovativa tendenza a un notevole realismo narrativo, configurandosi come la prima epifania di una autobiografia moderna. Il C. si formò grazie all’insegnamento di importanti maestri della generazione petrarchesca, in particolare Donato Albanzani, che lo presentò a Petrarca nel 1364, e Pietro da Moglio. Dopo gli iniziali studi giuridici a Bologna (1360-1362), nel 1364 decise di dedicarsi completamente alle lettere. ... leggi Probabile frutto di questo periodo bolognese è il commento ai Memorabilia di Valerio Massimo conservato, sotto forma di recollecte di uno studente del corso, nel ms 855 della Biblioteca del Museo Correr di Venezia. Comincia dunque nel 1364 la lunga e diversificata carriera del C. come insegnante pubblico e privato: nel 1365 fu precettore a Ferrara, presso la famiglia di un cortigiano del marchese Niccolò II d’Este; nel 1368-1369 insegnò nello Studio fiorentino, dove lesse le Georgiche di Virgilio e Cicerone, ricoprendo contemporaneamente anche la carica di notaio forestiero nella curia del podestà di Firenze; insegnò a Treviso nel 1366-1367 e nel periodo 1369-1371; a Conegliano negli anni 1371-1373; a Belluno per cinque anni, dall’inizio del 1374 fino a tutto il 1378. Altre esperienze di docenza che costellarono la sua esistenza furono il breve insegnamento alla scuola di grammatica dell’amico Carletto Galmarelli da Villatora a Padova, nel 1380, e a Venezia, per un solo semestre, tra il 1382 e il 1383, dove forse esercitò privatamente per qualche tempo, esperienza ripetuta qualche anno più tardi, dopo un periodo passato a Dubrovnik come cancelliere (1384-1387), quando, negli anni 1387-1389, tenne lezione in una sua scuola privata nella contrada veneziana di S. Patrignano. Negli anni 1389-1392 insegnò invece per il comune di Udine, rientrando di seguito a Padova, presso il cui Studio tenne lezione solo per un breve periodo, venendo quasi subito chiamato a corte da Francesco Novello da Carrara a sostituire Nicoletto d’Alessio in qualità di primo cancelliere. Di nuovo, nel periodo 1404-1406, dopo la fine del suo secondo servizio padovano, istituì a Venezia una scuola privata, frequentata dai rampolli dell’aristocrazia cittadina, tra cui il più importante fu Francesco Barbaro, che rimase sempre profondamente devoto al ricordo del maestro, arrivando anche ad acquistare, alla sua morte, alcuni libri della biblioteca passata in eredità al figlio maggiore del C., Conversino, natogli nel 1358 dalla prima moglie, Margherita Furlan. Se il continuo girovagare e il cambiamento di città e di ambiente erano l’inevitabile conseguenza del mestiere di insegnante, è pur vero che la personalità del C. fu contraddistinta dall’inquietudine e da un’insoddisfazione perenne che, insieme alle vicissitudini, ai lutti e agli eventi drammatici ricorrenti nella sua esistenza, lo spinsero a cambiare continuamente sede di vita e di lavoro. Un punto fermo rimase però il rapporto con la corte padovana dei signori da Carrara, che si consolidò attraverso due soggiorni successivi. Una prima volta egli fu a servizio diretto di Francesco il Vecchio, come segretario e consigliere personale, nel biennio 1380-1382, e in un secondo periodo, più lungo, dal 1393 al 1404, rivestì per Francesco Novello la carica di primo cancelliere. Il rapporto con la corte dei Carraresi sollecitò la produzione cortigiana conversiniana: l’unica opera del primo soggiorno è la Familie Carrariensis natio, novella genealogica sulla mitica origine imperiale della stirpe signorile padovana. Nel secondo periodo egli scrisse quasi esclusivamente opere a carattere cortigiano: la Dolosi astus narratio (1396-1397), novella storica sulla giovinezza di Nicolò III d’Este, genero di Francesco Novello, e i trattati De fortuna aulica, Apologia, De dilectione regnantium, quest’ultimo dedicato al signore padovano, tutti incentrati sul tema della signoria e della vita di corte. Unico testo non cortigiano di questo periodo è il De lustro Alborum in urbe Padua (1399-1400), la descrizione del passaggio della confraternita dei Bianchi nella città (1399). D’altro lato, a Padova il C. ebbe modo di assorbire ancor più profondamente la nuova cultura umanistica petrarchesca, rinnovando quotidianamente il contatto con un ambiente, quello della corte padovana, per taluni aspetti ancora legato al gusto tardogotico trecentesco e allo scolasticismo di stampo medievale, ma sotto altri profili profondamente intriso anche del magistero del grande umanista. Originale e brillante frutto di tale “institutio” fu la Violate pudicitie narratio (“Storia di una castità violata”), ascrivibile al nuovo genere letterario della novella umanistica dotta fondato dal Petrarca con la sua “Griselda” latina (De insigni obedientia et fide uxoria), che rappresenta un approfondimento sul versante più squisitamente letterario dell’esperienza narrativa già intrapresa con la scrittura di una novella genealogica, la Familie Carrariensis natio, e di una novella storica, la Dolosi astus narratio. Se la figura del C. come intellettuale petrarchesco comincia a delinearsi in tratti sempre più distinti e definiti a partire dalla prima esperienza padovana, tutta la prima fase della sua attività ruota intorno alla professione di maestro, ed è come insegnante che la cultura umanistica quattrocentesca lo ricorderà, attribuendogli un ruolo fondamentale nel rilancio dell’eloquentia ciceroniana, in quanto maestro di tutta la nuova generazione di umanisti, tra i quali Pier Paolo Vergerio e Sicco Polenton nello Studio patavino, ma anche Guarino Veronese e Vittorino da Feltre (Sicco Polenton negli Scriptores latine lingue lo definisce «et sanctimonia morum et his litteris, quae ad studia humanitatis ac eloquentie pertinent, omnium qui ea memoria in terra Italia viverent peritorum sententia princeps»). Profonda è l’impronta lasciata dall’esperienza di insegnamento del C. in Friuli, a Belluno e a Udine. A Belluno si sposò per la seconda volta con Benasuda di Lusardino, ricca nipote del vicario pretorio Vittore Doglioni, ed ebbe il secondo figlio, Israele, morto di peste nel 1401, per cui compose il De consolatione in obitu filii. Al periodo bellunese risalgono varie opere ancora legate al gusto scolastico trecentesco e improntate al modello senecano: la Consolatio ad Donatum, lettera consolatoria sulla morte di Petrarca dedicata a Donato Albanzani, e tre brevi trattati filosofico-morali, De miseria humane vite, De fato, De Christi conceptu. Nell’autunno del 1378 compose per lo zio Tommaso, appena creato cardinale, il Dialogus inter Iohannem et Literam, sulla vocazione cristiana e la vita religiosa. A Udine rimase per tre anni (1389-1392), ma di questo periodo non rimangono opere letterarie. Qui strinse amicizia con il medico Iacopo del Torso, futuro protonotario papale e in quel momento personaggio di grande spicco in città. Gli udinesi apprezzarono molto il C., se ancora nel 1402 Tristano di Savorgnano propose nel consiglio del comune che Giovanni da Ravenna venisse richiamato a insegnare in città. Ad ogni modo, un documento sintomatico dell’impronta profonda lasciata dal magistero del C. nell’area friulana è rappresentato dalla presenza di varie sue opere nella biblioteca dell’illustre maestro friulano Giovanni di Mainardo d’Amaro, attivo a Venezia, come insegnante privato per le più ricche famiglie, fino al 1423, e dal 1427 rettore delle rinomate scuole pubbliche a Cividale del Friuli fino alla morte (25 settembre 1429). Nell’inventario della biblioteca, un insieme sorprendentemente ricco e completo di volumi (dai classici latini ai Padri, dagli autori medievali usati nella scuola a commenti, glosse e compendi di scrittori vari e talora sconosciuti, per arrivare a varie opere di contemporanei), accanto a testi di Sicco Polenton e Antonio Baratella, ma anche di Boccaccio e Petrarca, compaiono vari titoli di opere del C. (il Rationarium vite, la Familie Carrariensis natio, un insieme di epistole all’amico Paolo Rugolo, la Dragmalogia de eligibili vite genere), a dimostrazione del ruolo di primo piano che il Ravennate dovette assumere nel panorama culturale friulano e nell’immaginario autorappresentativo della generazione di maestri a lui immediatamente successiva. Del resto, anche l’epistolario del C. rivela i ripetuti contatti dell’umanista con vari personaggi, più e meno noti, di quell’area: suoi corrispondenti furono il vescovo di Feltre e Belluno Antonio Maseri, il vescovo di Trieste Simone Saltarelli, il patriarca di Aquileia Antonio Caetani e, ancora, il medico Giacomino da Udine, Battista da Belluno, Giovanni Otarini da Udine, Girolamo da Udine. Ma anche il Friuli, a sua volta, lasciò nel C. molti ricordi, connessi con accadimenti o personaggi storici oppure di carattere più letterario e personale, che talora emergono con vivezza nelle sue opere: nella Familie Carrariensis natio, ad esempio, si menziona l’episodio dell’invasione di Belluno, Feltre e la Valsugana da parte del duca Leopoldo III d’Austria, nel febbraio del 1373, nell’ambito della guerra per i confini tra Padova e Venezia del 1372-1373; nel Liber memorandarum rerum, raccolta edificante di exempla di vizi e virtù esemplificati attraverso personaggi contemporanei, ispirato al modello dei Rerum memorandarum libri del Petrarca, due aneddoti sono dedicati rispettivamente al conte di Gorizia Enrico II, signore anche di Treviso nel 1318, duca di Carinzia e vicario imperiale del duca d’Austria Federico il Bello di Habsburg, e a Tiso da Sant’Angelo, contemporaneo e alleato di Albertino Mussato, insieme a lui esponente di primo piano della politica padovana negli anni del conflitto con Cangrande, podestà a Belluno nel 1318; in un terzo aneddoto, infine, il C. racconta una memoria familiare del suo periodo bellunese, rendendone protagonista “Iacomina”, sorella della seconda moglie Benasuda, ed ergendola a emblematico simbolo di fedeltà e sopportazione coniugale. Le altre opere del C. che ci sono pervenute sono la Historia Raguse, descrizione storico-geografica della città di Dubrovnik, scritta durante il cancellierato raguseo (1387) così come il De primo eius introitu ad aulam (1385), racconto delle sue vicissitudini nella prima esperienza di soggiorno presso la corte dei signori Carraresi. Al 1401 risale la composizione di un inno saffico, l’Hymnus s. Io. Evangeliste, unico testo poetico a noi giunto, mentre nell’autunno 1404, dopo il passaggio da Padova a Venezia, è completata la Dragmalogia de eligibili vite genere, trattato filosofico-politico in forma dialogata sul genere di governo preferibile tra repubblica e signoria, che rimane l’opera più importante accanto al Rationarium vite. Infine a Muggia, in Istria, fu composta nel 1407 la Conventio inter podagram et araneam, un dialogo sul contrasto tra vita di campagna e vita di città che si ispira alla favola del ragno e della gotta già presente nella Familiare III 13 del Petrarca, caratterizzato da larghe interferenze del genere del trattato medico-filosofico medievale. Poco dopo, agli inizi del 1408, il C. rientrò a Venezia, dove si pose a riordinare i materiali del Liber memorandarum rerum, senza però riuscire a terminare l’opera, interrotta dalla morte, che lo colse nella tarda estate del 1408, sicuramente prima del 27 settembre. Con il C. si affaccia alla soglia dello scenario culturale del Quattrocento una nuova tipologia di insegnante e intellettuale esuberante e originale, al contempo indipendente e cortigiano, collocato sulla linea di confine, alla fine del Trecento, tra medioevo e umanesimo. Egli rivestì un ruolo cruciale nella diffusione del primo umanesimo petrarchesco in tutta l’area veneto-friulana, contribuendo a quell’irradiazione concentrica e capillare tramite cui la nuova cultura protoumanistica di fine Trecento – inizi Quattrocento, peculiarmente ancora indecisa tra il vecchio gusto scolastico gotico trecentesco e il nuovo fermento umanistico, affondò le radici dal centro alle periferie del Nordest italiano, ponendo le basi per la nuova vitale stagione quattrocentesca.
ChiudiBibliografia
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