Nato a Vangadizza, borgo rurale presso Legnago (Verona), nel 1480 o nel 1482, in una famiglia benestante, frequentò dal 1491 a Legnago la scuola di Enrico Merlo, perfezionando poi a Verona la sua preparazione in latino, greco e nelle scienze matematiche. In questa città strinse amicizia con Marin Sanudo. Dopo un impiego nella segreteria del comune di Verona, soggiornò intorno al 1503-04 a Napoli presso l’Accademia Pontaniana, frequentando letterati come il Pontano e il Sannazaro. Nel 1507 il C. entrò al servizio di Bartolomeo d’Alviano di cui diventò segretario e amico, seguendolo nelle campagne militari e partecipando agli otia letterari dei dotti, tra cui Andrea Navagero e Girolamo Fracastoro, che il condottiero riuniva nella cosiddetta Accademia Liviana, nel suo feudo di Pordenone. Insieme con il d’Alviano si trovò nell’aprile del 1508 alla presa della rocca di Gorizia strappata agli imperiali, per poi riferire la notizia al Senato veneto (23 aprile); a Pordenone si fermò, invece, quasi ininterrottamente dal luglio del 1508 al marzo del 1509, con la breve parentesi di un viaggio a Roma nel gennaio di quest’anno, ancora su incarico del d’Alviano, in cerca di aiuti in vista della guerra della Repubblica Veneta contro la Lega di Cambrai. ... leggi Ritornato a Pordenone il 25 febbraio, il C. fu ad Agnadello (Ghiaradadda) il 14 maggio 1509, dove l’esercito veneziano guidato dal d’Alviano subì una dura sconfitta, che, determinando la temporanea perdita per la Repubblica di gran parte dei domini di Terraferma, inaugurò in Friuli una stagione di instabilità e devastazioni. Il C. si prodigò personalmente, e su incarico del Senato della Repubblica, di trattare la liberazione del d’Alviano fatto prigioniero, e nello stesso tempo per giustificare il suo operato davanti al Senato medesimo, difendendolo dall’accusa della responsabilità della sconfitta. Morì di febbre a Viterbo nel settembre 1510, dove si trovava a perorare presso la corte papale la causa del d’Alviano. Accanto all’attività filologica del C. – di cui rimane il contributo all’edizione della Geografia di Tolomeo (Roma, 1507) –, la sua produzione poetica superstite comprende quindici carmina, che nel passato hanno goduto larga fortuna di edizioni e di ristampe, tre dei quali risalenti al periodo in cui egli fu al servizio del d’Alviano. Significativi i versi in onore delle vittorie sull’esercito dell’imperatore Massimiliano I d’Asburgo che nel 1508 impedirono la conquista del Friuli (De victoria Liviani), e quelli, in partenza dal contubernio pordenonese, indirizzati al Navagero e a Giovan Battista Della Torre, amati compagni di studi letterari (Ad Naugerium et Iohannem Baptistam Turrianum).
ChiudiBibliografia
G. COTTA, Carmina, in G. COTTA - A. NAVAGERO, Carmina, San Mauro Torinese, Edizioni Res, 1991, 5-25; R. RICCIARDI, Cotta, Giovanni, in DBI, 30 (1984), 453-456; A. BENEDETTI, La cultura umanistica in Pordenone, «Il Noncello», 1 (1950), 33-35; G. BARBIERI, Giovanni Cotta: poeta, diplomatico e geografo del Rinascimento, «Atti dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti», 146 (1987-1988), 125-136.
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