All’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso un’accurata disamina di fonti archivistiche perlopiù inedite consentì a Paolo Sambin di ricostruire con poche lacune la biografia di D. (poi ripresa da Maria De Marco per il Dizionario biografico degli italiani). Ne è stata così restituita l’immagine di un personaggio che, lasciata sul finire del secolo XIV la nativa Istria senza farvi più ritorno, trascorse la propria vita svolgendo in varie città del Veneto e a Udine il mestiere di maestro di grammatica e precettore; stimato dai contemporanei, annoverò tra i propri allievi, di diversa estrazione sociale, futuri esponenti di spicco del mondo politico, ecclesiastico e culturale e si divise tra la professione, la propria personale passione, a quest’ultima strettamente legata, per gli “studia humanitatis”, e le preoccupazioni quotidiane, per lo più di carattere economico. La prima notizia biografica certa su D. risale al 23 dicembre 1401: in tale data egli ultimò la copia di un manoscritto di Terenzio (ora Vienna, Österreichische Nationalbibliothek, Lat. 3123) mentre si trovava a Bologna in casa di Ludovico Barbo, allora studente di diritto canonico. Le annotazioni ed emendazioni sia di D. sia del giovane Barbo al manoscritto in questione rivelano il rispettivo ruolo di maestro e di allievo. È probabile dunque che all’epoca D. avesse almeno venticinque anni. Figlio di un Damiano de Valle detto Gallinetta – soprannome che ricomparirà poi come cognome dei suoi figli – aveva lasciato la città natale forse al seguito di Guido Memmo, vescovo di Pola sullo scorcio del secolo XIV e successivamente di Verona, per essere accolto come precettore a Venezia, probabilmente fin dall’inizio in casa di Ludovico Barbo che avrebbe poi seguito, oltre che a Bologna, a Padova. Proprio in questa città visse in modo continuativo almeno dal 1413 al 1426, risiedendo in contrada Duomo e svolgendo privatamente presso il proprio domicilio la professione di insegnante. ... leggi Con le stesse modalità insegnò negli anni successivi, sicuramente nel 1429-30, a Venezia. Dal 5 aprile 1431 al 1433 fu invece maestro stipendiato presso le scuole pubbliche di Udine. Tra i suoi allievi ebbe sicuramente Sebastiano Borsa, cancelliere del luogotenente veneziano Leonardo Giustinian, e probabilmente Francesco Diana, che in lunghi anni successivi avrebbe ricoperto la stessa cattedra e a cui D. nel 1455 avrebbe venduto il proprio codice delle Metamorfosi di Ovidio (Vat. lat. 5222), con un’articolata annotazione autografa che ne attesta il ripetuto utilizzo per l’insegnamento. La condotta udinese non fu l’unico incarico pubblico ricoperto da D.: di nuovo a Padova durante il ventennio 1436-55, sembra aver alternato l’insegnamento ripreso in città con incarichi svolti altrove. Certa è la sua permanenza all’inizio degli anni Cinquanta a Feltre, dove ebbe come allievo il futuro beato Bernardino; più incerti rimangono un precedente soggiorno feltrino e uno a Treviso. D. ebbe almeno sei figli, due maschi e quattro femmine. Tra i maschi è incerto se ve ne furono due a portare il nome di Giovanni; un Lazzaro, invece, divenne frate domenicano. Le figlie Maria Maddalena, Agnola e Lucia andarono in spose rispettivamente a due banchieri (Giacomo Perigolo e Mario Badoer; Maria Maddalena poi in seconde nozze a un pellettiere) e a un uomo di legge (Bartolomeo Franco da Verona), mentre Caterina sposò nel 1454 il futuro tipografo feltrino Panfilo Castaldi: malgrado il contenzioso di natura incerta che dovette l’anno successivo incrinare i rapporti tra suocero e genero – ma non quelli tra gli altri membri della famiglia – questo matrimonio sembra sottolineare nella famiglia di D. un legame col mondo dei libri ininterrotto da una generazione all’altra. D. possedette una biblioteca, di cui si ignorano l’esatta consistenza e le sorti: il suo valore di 100 ducati d’oro, stimato nel momento in cui fu impegnata presso il genero Mario Badoer a garanzia della dote dell’altra figlia Lucia, suggerisce tuttavia che doveva trattarsi di una raccolta di un certo rilievo. Ne restano ora sporadiche tracce, in parte, significativamente, imputabili al lavoro di amanuense dello stesso D.: oltre ai due citati manoscritti di Terenzio e di Ovidio, il Commento all’Inferno dantesco di Benvenuto da Imola (ora Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Laur. 90 sup. 116, 3), comprato nel 1424 da un membro della famiglia Barzizza, e infine un codice con sei Vite di Plutarco nella traduzione latina di Leonardo Bruni (Napoli, Biblioteca Nazionale, V. G. 14), anch’esso copiato dallo stesso D. Di sua mano è pure la raccolta di epistole familiari di Gasperino Barzizza, ora Oxford, Balliol College, 132, che tuttavia forse non fece mai parte della biblioteca del suo copista. Probabilmente ancora vivo nel 1456, D. era invece morto al 20 agosto 1461; fu sepolto a Padova nella chiesa della Santissima Trinità.
ChiudiBibliografia
P. STANCOVICH, Biografia degli uomini distinti dell’Istria, II, Trieste, Marenghi, 1929, 220-221, no 192; ONGARO, Scuole, 16-17; B. ZILIOTTO, La cultura letteraria di Trieste e dell’Istria. Parte prima: dall’antichità all’Umanesimo, Trieste, Vram, 1913, 106-107; A. SEGARIZZI, Antonio Baratella e i suoi corrispondenti, «Miscellanea di storia veneta», s. III, 10 (1916), 106; A. SEGARIZZI, Per Damiano da Pola, in Scritti storici in memoria di Giovanni Monticolo, a cura di C. CIPOLLA - R. SABBADINI ET ALII, Venezia, Ferrari, 1922, 275-299; B. ZILIOTTO, Le epistole latine di Antonio Baratella agli amici istriani, «Atti e memorie della Società istriana di acheologia e storia patria», 50 (1938), 55-59; P. SAMBIN, Il grammatico Damiano da Pola e Panfilo Castaldi, «Italia medioevale e umanistica», 5 (1962), 371-400; C. SCALON, La Biblioteca arcivescovile di Udine, Padova, Antenore, 1979 (Medioevo e umanesimo, 37), 17 n. 11; M. DE MARCO, Damiano da Pola, in DBI, 32 (1986), 344-347; CASARSA, Come in uno specchio, 93.
Nessun commento