Nacque a Udine il 22 giugno 1943 da Luigi e Teresa Zoratti. Prima delle quattro figlie del noto industriale friulano, respirò sin da bambina la febbrile aria di progresso che circolava nella casa di Caminetto di Buttrio, dove il padre e il nonno Mario si alternavano nella conduzione dell’annessa officina meccanica. E fu così pure in Argentina, dove visse e frequentò le prime classi delle scuole elementari tra il 1949 e il 1950, anni durante i quali il padre era lì impegnato nel dare attuazione a un progetto siderurgico, poi non andato in porto. Dopo aver conseguito il diploma di ragioneria all’Istituto tecnico A. Zanon di Udine, trascorse lunghi periodi all’estero, compiendo anche viaggi avventurosi. Fu più volte in Inghilterra e negli Stati Uniti, dove, oltre a perfezionare la lingua, maturò un’esperienza in una “farm”. Inizialmente, infatti, D. si sarebbe dovuta occupare dell’azienda agricola di famiglia. Poi, cambiando rotta, decise di seguire le orme del padre, in quegli anni immerso nella crescita e nello sviluppo dell’impresa specializzata nella produzione di impianti per l’industria siderurgica. Come sua assistente, aveva già iniziato a frequentare l’azienda da qualche tempo, quando, nel 1965, si iscrisse alla Facoltà di economia e commercio dell’Università di Trieste. Si laureò nel luglio 1969, discutendo una tesi sulla Tutela dell’invenzione industriale, tema strettamente legato all’attività dell’azienda di famiglia, il cui successo dipendeva anche dal riconoscimento delle innovazioni apportate nel comparto siderurgico. Il suo primo impiego fu nel settore amministrativo, cui seguirono tre anni nell’ufficio commerciale, breve parentesi prima di rientrare in amministrazione. ... leggi Un momento decisivo per la sua carriera fu senz’altro il 1976, anno in cui le Officine meccaniche Danieli non solo registrarono il primo risultato negativo dalla fondazione, ma dovettero far fronte alle dimissioni del direttore finanziario. Non avendo la competenza tecnica del padre, decise di occuparsi della parte ammininistrativo-finanziaria e della gestione e organizzazione del personale. Per lei fu una vera prova del fuoco. Al fine di affrontare la delicata situazione che stava attraversando l’azienda, anche a causa della crisi mondiale del comparto siderurgico, D. avviò con coraggio una radicale ristrutturazione, seguendo una strategia che si sarebbe dimostrata vincente. Creò uno staff manageriale, cui venne affidata la risoluzione dei problemi tecnici, produttivi e commerciali, riuscendo sia a valorizzare dirigenti presenti da tempo in Danieli sia a circondarsi di giovani e capaci collaboratori. Per sperimentare il nuovo assetto, nel 1976 arrivò pure il primo lavoro importante, una commessa per la costruzione di un’acciaieria da 500.000 tonnellate annue nella Germania Est, la prima fornitura di un impianto completo “chiavi in mano”, che segnò il definitivo rilancio dell’azienda. Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio del decennio successivo le responsabilità di D. andarono via via aumentando, portandola a ricoprire, in luogo del padre, il ruolo di direttore generale a partire dal 1980. Dopo l’acciaieria di Brandeburgo, arrivarono i primi contatti con l’Unione Sovietica e nel 1982 la Danieli ottenne, insieme alla Voest Alpine, un’importante commessa per la fornitura chiavi in mano di uno stabilimento siderurgico in Bielorussia. Fino a quel momento l’azienda aveva già costruito impianti in numerosi Paesi e nel 1981 aveva realizzato per conto della Società europea tubi acciaio (SETA) il più grande impianto di colata continua esistente al mondo. La determinazione con cui riuscì a perseguire gli obiettivi di crescita dell’azienda, non interrottasi con l’importante passaggio della quotazione in borsa (1984), le valse l’appellativo, attribuitole dal «Time», di “First Lady of Steel”, soprannome cui facevano da contraltare uno stile pacato e un animo dolce e gentile. Nel 1991 l’assemblea degli azionisti la elesse all’unanimità presidente del gruppo Danieli, carica che ricoprì mantenendo inoltre quella di amministratore delegato. I traguardi raggiunti nell’azienda di famiglia le valsero anche la nomina a membro del consiglio di amministrazione di importanti società italiane, quali la Falck (1988), di cui era azionista di minoranza con il 3 per cento del capitale, e l’INA (1994). Le venne pure proposto di ricoprire posizioni di vertice in Confindustria, ma declinò l’invito, preferendo il suo ufficio di Buttrio alle luci della ribalta. Tra i vari riconoscimenti ottenuti, merita infine segnalare i premi Leonardo qualità Italia ed Epifania, ricevuti entrambi nel 1997. Ricordata come una delle grandi figure femminili dell’imprenditoria a livello non solo nazionale, ma anche internazionale, la “lady di ferro” si spense ad Aviano, a soli cinquantasei anni, il 17 giugno 1999.
ChiudiBibliografia
Donna friulana protagonista, «Il Sole 24 ore», 20 marzo 1981; G. PORTIERI, Acciaio: quasi pronto a Brescia il più grosso impianto del mondo, ibid., 29 settembre 1981; B. PESCETTO, Danieli: dirigenti a colata continua, «Espansione», 13/3 (1981), 74-85; A. MAZZUCCA, Danieli. Chiavi in mano. La matricola sfonda in borsa, «Mondo economico», 40/12 (1985), 46-53; W. GALLING - H. GORDON, Cecilia Danieli: Italy’s First Lady of Steel, «Time», 19 maggio 1986; Le donne italiane. Il chi è del ’900, a cura di M. MAFAI, Milano, Rizzoli, 1993, 69-70, 201; Muore Cecilia Danieli la signora di ferro, «la Repubblica», 19 giugno 1999.
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