Nacque a San Daniele del Friuli il 10 settembre 1929 e partì con la famiglia emigrante per l’Argentina quando era ancora bambino. La città di Córdoba divenne da allora la sua nuova città, il luogo in cui avrebbe frequentato le scuole primarie presso i salesiani e in cui, dopo esser passato per la bottega di un artista locale, il pittore Anselmo Blanzari, frequentò la Escuela Superior de Bellas Artes dell’Universidad Nacional di Córdoba. Determinanti furono i corsi di Ernesto Farina, intelligente artista cordobese di famiglia piemontese, per il quale era stata negli anni Trenta fondamentale la formazione italiana; e speciali furono anche alcuni cordobesi compagni di corso: Pedro Pont Vergés, Raúl Pecker, Tito Miravet, Alfio Grifasi, Marcelo Bonevardi, Antonio Seguí, quasi tutti destinati a diventare famosi a livello internazionale. Pur nella incerta definizione della sua pittura, nei primi anni segnata apparentemente dall’influsso di Picasso, D. M. (conosciuto in città come José, o, più familiarmente, Bepi) vinse nel 1954, a soli venticinque anni, il primo premio di disegno nel Salón Universitario de Artes Plásticas Latinoamericanas, organizzato dall’Università cattolica di Santiago de Chile. Quello stesso anno espose anche nella sua città, su invito della Sociedad de Arquitectos. Nel 1958 ottenne un primo premio di pittura nella Bienal de pintura actual Pepino y Márquez, dove notevole fu il consenso della critica. La sua vita fu accompagnata da molti riconoscimenti e seguirono poi negli anni molte esposizioni, tra cui alcune in Europa, in città come Amsterdam, Lille e Parigi. D. M. fu uno sperimentatore e intorno al 1960 si accostò all’arte astratta, che in quegli stessi anni, attraverso il “movimiento informalista”, era approdata a Buenos Aires ed aveva ospitalità nella Galería Van Riel, che sempre aveva dato accoglienza agli artisti aperti al nuovo. ... leggi Anche D. M. espose, proprio nel 1960, presso questa galleria, i suoi quadri recentemente prodotti di tendenza informale. Tuttavia, sensibile ai cambiamenti e alla ricerca di una sua personale collocazione, l’artista avrebbe momentaneamente abbandonato l’informale per un tipo di sperimentazione figurativa che ebbe proprio in Argentina, grazie al gruppo che si riconosceva come Nueva figuración, o Otra figuración, una straordinaria fioritura. Realizzò, a partire dal 1962, una serie di pitture, che chiamò Las locas, che con grande deformazione espressiva delle figure si spingeva a trattare il tema della prostituzione e dell’emarginazione femminile. Era già stato un tema trattato da Lino Eneas Spilimbergo, sul quale si sarebbe quindi soffermato anche Antonio Berni; era dunque il segno di una sensibilità sociale spiccata, verso la quale si aprivano gli artisti più attenti. Ed attenzione il pittore avrebbe riservato anche ad un altro tema, che gli doveva essere caro per le congiunture personali e familiari dell’emigrazione: con il suo maestro Ernesto Farina avrebbe, infatti, prodotto una grande pittura murale a tempera su carta nella Asociación Friulana Cordobesa, dal titolo significativo di Homenaje al Inmigrante (1965). Il tema veniva svolto con enfasi su alcuni aspetti caratterizzanti la comunità friulana: la unità della famiglia, il culto del lavoro, la operosità e l’inventiva, sullo sfondo di una città viva e laboriosa come un unico grande cantiere. Verso la fine del decennio, mentre si fanno strada nelle sue tele, in cui prevalgono i toni freddi, le figure solitarie dentro uno strano spazio geometrico che sembra la prima meditazione “metafisica”, si assiste come a un ritorno dell’astrazione geometrica, in cui è frequente il motivo dei cerchi concentrici, dai colori piani, luminosi e vibranti, in forte contrasto. I riconoscimenti continuarono ad arrivargli, come il primo premio di pittura del Salón de Córdoba in Buenos Aires (1968 e 1969) e il primo premio Artistas visuales del interior del País, di Buenos Aires, nel 1973. Nel frattempo vi furono come intermezzi due soggiorni parigini, uno tra 1972 e 1974, l’altro tra 1976 e 1979. Fino a quelle date egli non era stato in Europa e la cultura europea era stata filtrata attraverso il suo maestro, le letture, i contatti in patria con altri artisti argentini. Iniziava così l’ultima grande tappa dell’artista, quella che l’ha reso giustamente celebre. È del 1975 una tela con colori acrilici (che verranno preferiti anche nelle seguenti) intitolata Barrancas de Córdoba, o anche Tierra sobre el horizonte, che sembra molto vicina per sensibilità e tematica a quelle, in certo modo “metafisiche”, di Farina, degli stessi anni, in cui si profila il suo soggetto preferito negli anni a venire: su un cielo livido si stagliano delle architetture geometriche affiancate da pochi alberi sopra un pianoro. Sotto, a costituire gran parte del quadro, stanno le rocce ocra; il taglio radente dell’osservazione coglie la spoglia essenza di una veduta desolata e quasi inquietante. Un retaggio dechirichiano, filtrato e fatto proprio per una realtà personale e diversa, è senza dubbio rinvenibile; ma si delineava anche la cifra speciale di D. M. maturo, finalmente padrone di un linguaggio che si fa denso di un lirismo dalle emozioni controllate. Quello stesso anno gli veniva un altro riconoscimento con il premio nazionale di pittura Museo Genaro Pérez, conferitogli nella sua città. La figura umana definitivamente scompare dalle sue tele; le architetture urbane o dei suburbi sembrano abbandonate a sopravvivere in un’atmosfera in cui il tempo sembra fermarsi, i cieli tersi, senza nubi che vi corrano a marcare il tempo e una congiuntura; dominano le linee nette, i piani, le prospettive, il taglio basso; le ombre si fanno rade e scompaiono. I volumi a volte si percepiscono, altre volte sembrano sfuggire alla percezione, mentre i colori si riducono ad una gamma ristretta: i rossi, i verdi, gli ocra. Vennero realizzate così quelle tele che lo hanno definitivamente consacrato in Argentina e reso noto anche in tutta l’America: Donde habitó el poeta (1979), Calera Este (1983), Las brujas (1984), Vertiente (1984). D. M. aveva iniziato ad utilizzare la fotografia, scegliendo angolazioni speciali per rappresentare i soggetti, con prospettive a volte azzardate o quantomeno inusuali. La suggestione dello spazio e la costruzione dei volumi richiamano sicuramente uno sguardo dell’artista verso quella pittura che, prima il ritorno all’ordine e poi il “Novecento italiano”, avevano fatto tornare di moda, ed in maniera speciale il Quattrocento italiano. In Argentina indubbiamente vi erano stati mediatori importanti già nella generazione precedente la sua, ed altri sarebbero venuti dopo, come Oscar Gubiani (altro artista di origine friulana); ma D. M. sembra portare ad un livello elevato e personale, ancorché fuori stagione, un’eredità che fa propria nella sua sensibilità di uomo e nel misurato lavoro di artista. Morì a Córdoba il 25 novembre 1984.
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N. PERAZZO, Herencia italiana en el arte de Córdoba, in Herencia italiana en el arte de Córdoba. 60 artistas plásticos de origen italiano. Catalogo dell’esposizione, Córdoba, Consulado General de Italia, 1991, 11-17; S. METZADOUR, Pintores de Córdoba. Las vanguardias de la década del 50, Córdoba, El copista, 1996; G. GUTNISKY, Impecable-implacable. Marcas de la contemporaneidad en el arte, Córdoba, Brujas, 2006; A. E. BELTRAMINI, José De Monte. Las nostálgicas construcciones geométricas, in Emigrazione/Immigrazione, a cura di M. SARTOR - S. SERAFIN, «Studi Latinoamericani/Estudios Latinoamericanos», 3 (2007), 399-405.
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