DOMENICO DETTO DOMINE

DOMENICO DETTO DOMINE (1370 - ?)

pittore

Immagine del soggetto

Testa di Cristo, lacerto di affresco di Domenico detto Domine del 1420 ca., salvato dalla distruzione dell€'abside della chiesa di S. Giusto nel 1843 (Trieste, Civico museo di storia e arte).

Pittore udinese figlio di Giovanni fabbro, nacque a Udine in borgo Poscolle verso il 1380. Per l’ultima volta la sua attività fu segnalata nel 1447. Comunemente citato dalla critica come D. Lu Domine il pittore va correttamente chiamato D. detto Domine come ha chiarito Enrica Cozzi. La sua opera è quasi completamente perduta, ma se ne può intuire la rilevanza in base alle testimonianze documentarie che la collegano a quella di Antonio Baietto. I due artisti dipinsero nelle chiese di S. Giovanni e di S. Francesco a Marano, dove D. era fuggito da Udine nel 1410 e dove il pittore aveva conosciuto la moglie Nicolussia, figlia di un pescatore del luogo. Altre opere (perdute) eseguite da D. sono documentate a Marano nel 1421 e 1422. L’impresa più rilevante compiuta dai due artisti fu la decorazione dell’abside maggiore della basilica di S. Giusto a Trieste dove venne raffigurata nella calotta una grande Incoronazione della Vergine e sulle pareti Fatti della vita di San Giusto. Del ciclo si conosce solo l’iconografia dell’affresco con l’Incoronazione grazie a un disegno acquarellato che Gaetano Merlato eseguì nel 1842, un anno prima della distruzione delle pitture. La grande composizione si rifà ancora allo schema seguito da Vitale da Bologna nel suo affresco nell’abside del duomo di Udine, del 1348-49. Due frammenti con il volto della Vergine e del Cristo salvati dalla distruzione e conservati presso i Musei di arte e storia di Trieste confermano la matrice stilistica vitalesca dell’arte di D., ma anche la sua capacità di cogliere le novità recate a Venezia dalla pittura di Gentile da Fabriano (Marini, 1951). Nell’iscrizione apposta sull’arcone delimitante l’opera, tramandataci da testimonianze scritte (il manoscritto di L. de Jenner, Joppi 1894), il suo nome precedeva quello di Antonio Baietto: […] DOMINICUS DICTUS DOMINE ET ANTONIUS BAYETI DE UTINE […]. Come ha osservato Marini questo dovrebbe esser la prova di una posizione di preminenza di D. sul collaboratore. ... leggi Sulla base di considerazioni stilistiche, è stato riferito a D. (insieme a Baietto), il ciclo di affreschi della cappella del Gonfalone del duomo di Venzone (Bergamini, 1973), purtroppo distrutto dal terremoto del settembre 1976, ma noto da copiosa documentazione fotografica. D. lavorò, insieme a Baietto, anche per la fraterna di S. Lucia di Udine (Corgnali, 1942): le sue opere sono andate perdute, mentre una Madonna di Misericordia recentemente ritrovata sulla facciata dell’edificio sede della fraterna in via Mantica 6, va riferita al solo Baietto (Cargnelutti, 1989). Pur con le cautele che impone la scarsità delle testimonianze pittoriche superstiti, la qualità non eccezionale di questo affresco a confronto di quella dei due frammenti provenienti dalla decorazione dell’abside di S. Giusto, induce ad ipotizzare una maggior statura di D. rispetto al collaboratore. In via ipotetica gli si è riferito un frammentario affresco (purtroppo mal leggibile) recuperato dopo il 1976 nel duomo di Gemona al di sopra dell’ingresso alla sagrestia, nella quale, come è noto da documenti regestati da Joppi (1894) e Baldissera (1883), il pittore aveva lavorato nel 1418-20 (Merluzzi, 1987).

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Bibliografia

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