Nacque a Motta di Livenza (Treviso) il 7 luglio 1881. Senza seguire un corso di studi regolari frequentò l’Accademia di Venezia, dove conobbe l’architetto Domenico Rupolo con il quale collaborò a lungo. Dopo aver lavorato con Domenico Prosdocimo nel santuario della Madonna di Motta di Livenza, effettuò nel 1906 il suo primo restauro per l’abbazia di Sesto al Reghena. Almeno fino agli anni Trenta non ci fu una chiara distinzione tra attività pittorica e lavoro di restauro, che spesso consisteva in ritocchi e arbitrarie interpretazioni o rifacimenti. Dopo il matrimonio con Giuseppina Milanese, D. si trasferì a Pordenone, dove aprì un laboratorio di restauro e di decorazione in cui operarono fino a venti allievi, tra cui si possono annoverare Armando Pizzinato, Giuseppe Buzzi, Giuseppe Ragogna, Gino Marchetot, Giancarlo Magri. D. si riservava le parti figurate ed eseguiva i cartoni a spolvero utilizzati più volte dai garzoni, che completavano, spesso a stampo, le parti decorative. Collaborò con gli scultori più validi del momento, da Luigi De Paoli a Paolo e Giovanni Possamai, servendosi, specie nella chiesa di San Giovanni di Casarsa, degli abili artigiani locali tra cui il cognato Antonio Milanese. A Casarsa restaurò gli affreschi dell’Amalteo nella chiesa della S. Croce, riprendendone la caratteristica decorazione a finto mosaico. ... leggi Nel 1907 operò nella vicina San Giovanni di Casarsa nella monumentale chiesa neogotica eretta da Domenico Rupolo: eseguì la decorazione pittorica absidale dai grandi angeli preraffaelliti, l’altare di san Giovanni Battista, lavori in ferro battuto ed arredi in collaborazione con il cognato Antonio Milanese. Seguì la decorazione della chiesa di Fagnigola e quella Liberty della chiesa di Claut (1911-1912), dove le schiere angeliche si disponevano nei centri concentrici della cupola. Nel 1914 iniziò a lavorare nel duomo di S. Marco a Pordenone, nel primo dei numerosi restauri che lo videro attivo fino al 1938. L’artista partiva sempre dal disegno con cui fissava la prima ispirazione, che poi sviluppava sia nelle tele sia nelle decorazioni ad affresco. Spesso trasse ispirazione per i suoi soggetti dalla attività di restauro, specie per le Madonne con Bambino. Più che pittore da cavalletto, fu un abile decoratore abituato a collaborare strettamente con gli architetti: da Domenico Rupolo e Girolamo D’Aronco a Pietro Zanini e Cesare Miani. Negli anni Venti numerose furono le decorazioni negli edifici sacri con una evoluzione graduale dal Liberty floreale allo stile déco, ricco di riprese bizantine ed egizie, come nel santuario pordenonese di S. Maria delle Grazie. In questo periodo di transizione si possono ascrivere gli interventi nelle chiese di Maniago Libero (1925-1927), Roraigrande (1926 e 1942) e Noventa di Piave (1929). Parallelamente D. intraprese restauri nel duomo di Spilimbergo, a Udine nella chiesa di S. Maria di Castello e nel salone del parlamento, in palazzo Antonini, a Pordenone in palazzo Sbrojavacca. Negli anni Trenta aprì un laboratorio di restauro nel castello di Udine e sul finire degli stessi anni Trenta fu anche attivo a Trieste nella basilica di S. Giusto, nel castello e nel castelletto di Miramare. Sempre in stretto rapporto con gli architetti Zanini, Rupolo e Miani, decorò le chiese di Camino al Tagliamento (1933-1937), di S. Giacomo a Ragogna (1937 e 1941-1943) e il santuario di Barbana (1934-1935 e 1942). Non mancarono prestigiose committenze private legate spesso alla attività di restauro, come nel castello di Porcia e in quello di Zoppola (1920-1930) o nel municipio di Sesto al Reghena (1924-1932). Si distingue per complessità e ricercatezza la decorazione di villa Varda (1929-1932) e della annessa cappella (1923-1926). Alla ripresa bizantina di quest’ultima si contrapposero nella villa decorazioni illusionistiche, in cui applicò raffinate tecniche artigianali come la “filettatura”. “Galanterie” settecentesche caratterizzarono nel 1929 i lavori di palazzo Sbrojavacca, ora sede della provincia di Pordenone, e villa Tinti Fantin (1930). L’adesione allo stile Novecento si evidenziò negli anni Quaranta nella decorazione della chiesa del Cristo di Udine (1940-1941) e nella chiesa di S. Giorgio a Pordenone (1940), dove aveva già operato nel 1932 nella cappella del Crocifisso. Durante la guerra, come ispettore onorario della Soprintendenza operò insieme a Someda de Marco per portare nella villa Manin di Passariano tutte le opere d’arte della destra Tagliamento. L’ultimo restauro importante fu eseguito nella chiesa della Ss. Trinità di Pordenone tra il 1955 e il 1957. Secondo Rossella Fabiani, D. può essere considerato un pioniere del restauro, cimentandosi nel recupero di cicli di affreschi particolarmente importanti, anche se la sua prassi di lavoro rimase tradizionale, più attenta a ricostruire pittoricamente le forme, che allo studio dei materiali originali. Fu operoso fino all’ultimo, spegnendosi a Pordenone il 31 marzo 1961, e lasciò la sua eredità artistica a Giancarlo Magri, il suo ultimo garzone.
ChiudiBibliografia
P. DELLA VALENTINA, Incontro con Tiburzio Donadon, «Il Popolo», 10 agosto 1980; ALOISI, Vita e opere, 129-130; R. BINOTTO, Personaggi illustri della Marca Trevigiana. Dizionario bio-bibliografico dalle origini al 1996, Treviso, Fondazione Cassamarca e Cassamarca Spa, 1996; Novecento a Gorizia; G. BERGAMINI, Tiburzio Donadon, in SAUR, 28 (2001), 479-480; L’Officina degli Angeli. Tiburzio Donadon pittore e restauratore (1881-1961). Catalogo della mostra (Pordenone, 14 maggio-12 giugno 2005), a cura di P. GOI, Pordenone, Provincia di Pordenone, 2005 (con bibliografia precedente); A. CROSATI - P. GOI, La Madonna delle Grazie e l’oratorio di San Gregorio di Pordenone, Udine, Deputazione di storia patria per il Friuli, 2009; G. BERGAMINI - L. MENEGOZ, Giuseppe Ragogna 1902-1993 la poesia del colore. Catalogo della mostra (Aviano, 29 ottobre 2010-9 gennaio 2011), Aviano, Comune di Aviano, 2010, 38-43.
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