Il Liruti dedica ad A. D. (Udine, 1632–1702), figlio di Niccolò e nipote di Ottaviano, le tre colonne che chiudono il libro terzo delle Notizie delle vite ed opere scritte da’ letterati del Friuli. Ne ricorda gli studi in patria, la laurea in giurisprudenza a Padova e la particolare cura per l’eloquenza. L’immediata ammissione a Udine nel consiglio e nel pubblico governo, la progressiva conquista di prestigiose magistrature, si accompagnarono all’esercizio dell’avvocatura, nel quale le doti retoriche e la vasta erudizione avevano modo di riversarsi, facendogli guadagnare stimati consensi. Tali capacità oratorie furono messe a frutto oltre i confini della professione (tra i manoscritti si conservano difese, allegati civili e orazioni criminali). Opportunità invitanti erano infatti le occasioni di unanime deferenza ai rappresentanti veneti. Come deputato della città, il D. redasse e lesse l’“offizio” per la partenza del luogotenente Francesco Diedo (Udine, Schiratti, 1682), aprì la raccolta in lode di Giovanni Cornaro (1683), compose e recitò l’“offizio” per il congedo del luogotenente Vincenzo Pisani (1691). Opere encomiastiche, miscellanee, d’autore o anonime (ma chi le redige interpreta la comunità dei notabili) che si susseguirono a intervalli stretti e il cui monitoraggio, se non riserva evidenze dal punto di vista letterario, con i rituali dovuti richiama la collettività che li esprime e le lingue chiamate in causa (italiano, preferibilmente, ma in seguito anche friulano e veneto). Il D. non fu avulso, come richiedevano posizione e ruolo professionale, dallo scambio mondano, né probabilmente da quella società letteraria, entro la quale maturava l’intrattenimento in friulano, società che si riconosceva nei paradigmi poetici esplorati, con modi brillanti e abilità diffusa, da Ermes di Colloredo. Manoscritti e carte varie relativi alla famiglia Dragoni risultano attualmente conservati presso l’Archivio di stato di Udine, ma fino alla fine degli anni Cinquanta giacevano nei fondi della Biblioteca civica, dove per intrecci familiari erano venuti a confluire con gli archivi Caimo. ... leggi È tra le carte di Antonio Bartolini (una Teresa Dragoni sposò Giovan Battista Bartolini) che G.B. Corgnali rinvenne nella prima metà del Novecento un codice contenente alcune poesie friulane, attribuibile ad A. D. Vincenzo Joppi aveva già dato alle stampe a fine Ottocento sulle colonne di «Pagine Friulane» i componimenti del manoscritto («sei sonetti e una canzone in friulano, di ignoto ma sufficiente poeta – Epoca 1600», pubblicati sotto il titolo di Poesiis di amor), ma anonimi e con scarsa precisione filologica. Corgnali ripubblicò i testi (segnalati da Joppi presso la Biblioteca di Udine, tra le buste Caimo-Dragoni) con emendamenti e migliorie notevoli, conferendo ai versi il respiro di un opuscolo a sé (nozze Pilosio-Milani) e assegnandoli nel contempo, pur in assenza di indizi distinti, a una fase giovanile del D. (ma il manoscritto presenta una cassatura a matita che rinvia i testi alla seconda metà del XVII secolo). I versi ripetono i temi d’amore secenteschi, giocati su stilemi riconosciuti, scevri da effusioni sincere, contando la teatralità barocca, l’accumulo di abilità tecnica e ingegno metaforico. L’insieme non ha la patina scintillante e irriverente delle invenzioni collorediane. I versi sono sotto tono, indice forse del declinare del gusto a fine secolo verso misure più contenute, anche se la tendenza all’elazione attraverso l’uso scoperto di italianismi («prif», «intach», «livor», «querelle», «sdegn», «ressoluzion», «rebel»; anche privi di adattamento: «cute», «spontaneo»), o l’apertura alle «commistioni del vocabolario («polente», polenta in rima con «stente», stento)», sono ancora evidenti. I sonetti rinviano a situazioni canoniche, al topos della crudeltà della donna e al suo distinguersi per finezza e intelletto, mentre la canzone insiste sul tema mariniano del bacio. Al di là dei non eclatanti pregi stilistici, i testi costituiscono un documento linguistico che attesta forme lessicali e morfologiche riferibili all’udinese. Risulta particolare «viedi», per vedere, «vigni» per venga, tipica la preposizione e al femminile: «es altris» [alle altre], «e so murose» [alla sua innamorata], e prevedibili le tessere desuete («chu» per che, «bussart», bacio, «dret», diritto, «us grevi», vi rincresca, «bisdois», sciocche). La grafia non ha tratti singolari se non l’incertezza nella resa delle vocali lunghe (tralasciata, resa con raddoppiamento, «staa», stare, «busaa», baciare, «capij», capire, o con trattino breve), e l’uso arcaico di g in «angimò», ancora, e «ang», anche (accanto a «anchie»), per la prepalatale sorda.
ChiudiBibliografia
ASU, Caimo, 97, f. 6. A. DRAGONI, Officio degl’illustriss.mi signori deputati della Patria del Friuli nella partenza dell’illustriss. et eccellentiss. sig. Francesco Diedo luogotenente generale della medesima, Udine, Schiratti, 1682; Oratione di Antonio Dragoni, e componimenti d’altri soggetti in lode dell’illustriss. et eccellentiss. sig. Giouanni Cornaro luogotenente generale della Patria del Friuli, Udine, Schiratti, 1683; A. DRAGONI, Offizio nel fine del reggimento dell’ill. ed ecc. sig. Vincenzo Pisani, luogotenete […], Udine, Schiratti, 1691.
LIRUTI, Notizie delle vite, III, 451-452; A. LIRUTI, Degli illustri giureconsulti ed oratori friulani, Udine, Biasutti, 1836; [V. JOPPI], Poesiis di amor, «Pagine Friulane», 12/1 (21 maggio 1899), 8-10; Poesie friulane di Antonio Dragoni (secolo XVII), a cura di G.B. CORGNALI, Udine, Del Bianco, 1937 (nozze Pilosio-Milani); D’ARONCO, Nuova antologia, I, 167, 169, 171; PELLEGRINI, Tra lingua e letteratura, 199.
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