Nato a Tricesimo (Udine) il 6 giugno 1866, entrò nel Seminario di Udine nel 1877 completandovi il curricolo scolastico fino alla consacrazione sacerdotale (1889). Destinato da subito all’insegnamento, il Seminario divenne la sua casa fino alla morte, avvenuta il 30 gennaio 1925, con la sola parentesi della profuganza a Milano durante l’occupazione austro-tedesca. Insegnò dapprima lettere nel ginnasio, indi storia ecclesiastica nel corso di teologia, e per quindici anni svolse il compito di direttore spirituale dell’Istituto udinese Uccellis. Fu membro dell’Accademia di Udine e fece parte del consiglio provinciale scolastico. Di spiccata intelligenza, che in lui si componeva con una fervida sensibilità, e spinto da cordiale anelito di conoscenza, E. coltivò in modo autonomo, ma con profonda partecipazione, molteplici interessi che spaziavano dalla letteratura italiana ed europea (Tolstoj in particolare), agli studi di ecclesiologia, afferendo, oltre a Duchesne Louis Marie Olivier (accusato di Modernismo, ma poi riabilitato), anche ad autori allora spiccatamente innovativi, e solo in seguito ritenuti eterodossi (come Ernest Renan, Alfred Loisy) sia al razionalismo di matrice riformata (come Adolf Harnack). Di vitale importanza furono per E. il teatro, vissuto e praticato come strumento formativo per i giovani, e la produzione letteraria, sentita come espressione di quell’umanità che raccoglie le vibrazioni dello spirito, dell’anima e del cuore. Palpabile era in lui l’amore per la sua terra, e tangibile la fedeltà alla dottrina della Chiesa che non doveva, però, mortificare il “metodo critico”. Grande amico del più giovane Pio Paschini, E. fu tra i più animosi difensori delle sue tesi sulla storia della Chiesa aquileiese delle origini, che avevano destato scalpore nell’ambiente tradizionalista, turbato dalla demolizione delle radici marciane che lo storico carnico aveva compiuto. ... leggi Fu vicino agli elementi più avanzati sul piano socio-politico e ne sostenne l’opera con interventi sul quotidiano «Il cittadino italiano» come nel successivo «Il Crociato». Pubblicò numerosi articoli anche su «L’Avvenire d’Italia». Divenuto uno degli elementi di spicco della cultura friulana, vide compromessa la sua azione al tempo delle censure antimoderniste. La cultura friulana ravvisa in E. una delle sue più brillanti personalità in ambito sia cristiano sia poetico e drammaturgico per la prima metà del Novecento. Di E. è stato detto che fu «il meno friulano e veridico interprete della sua gente». E tale riconoscimento ebbe la sua massima espressione il 17 dicembre 1950, con l’inaugurazione ufficiale del monumento, opera di Aurelio Mistruzzi, a lui dedicato nei giardini di piazza Patriarcato. L’evento era stato preceduto da due manifestazioni, tenute nel cinemateatro Puccini il 12 ed il 14 dicembre, su E. uomo, sacerdote ed educatore (don Antonio Coiazzi, salesiano) e su E. poeta (Diego Valeri). Le due giornate, inoltre, erano state arricchite dalla rappresentazione, con la regia di Carlo Mutinelli, di due atti unici dello stesso E.: Blandina di Lione ed Il Segretario di Vittorio Alfieri. Fu proprio la scena a dare impulso ai primi passi di un E., dapprima attore e poi creatore di testi ad uso della comunità del Seminario. Tale teatro “casalingo”, però, venne prontamente trasformato da alcuni docenti in un’occasione di crescita intellettuale ed umana a favore dei chierici, il cui processo di maturazione era rigidamente riservato ai moderatori. In un clima di profonda amicizia e di collaborazione, E. per i testi, Pio Paschini per i costumi e Silvio Beorchia per le scenografie, si avvalsero della partecipazione dei chierici teologi che, in costume, calcarono la scena per un decennio anche per la cittadinanza (quantunque esclusivamente maschile). Il contenuto dei testi assunse progressivamente i connotati di un teatro di ampie dimensioni e di più sicura ispirazione (Il miracolo dell’amore). La produzione di E., nota dapprima nel solo ambito provinciale – interessante fu l’approccio con Nico Pepe –, s’estese poi all’intero territorio nazionale. Abituale, infatti, era la sua collaborazione con i periodici cattolici specializzati: «Su la Scena» (edito a Torino), «Il Teatro Nostro» (Torino e poi Roma), «Il Carro di Tespi» (Trento) e «Teatro Musica e Sport» (Roma). Nel 1910 il nuovo arcivescovo, Antonio Anastasio Rossi, troncò l’esperienza dei chierici/attori ritenendo disdicevole la dismissione, anche se temporanea, della veste talare per indossare i costumi di scena. Di pari passo, con la creazione dei testi teatrali, camminò anche la produzione poetica e storica. I primi lavori di E. erano costituiti da composizioni sparse ed occasionali, raccolte solo nel 1904 in un volumetto, Intermezzi de la vita, che il suo allievo Giuseppe Marchetti ha letto come una fase di transizione (influenze della poetica di Zanella, Carducci e Pascoli), sfociata poi in un’interiore personalizzazione e trasposizione di cui un’altra raccolta, Poesia di guerra, rappresenta l’espressione più autentica. Del suo Friuli egli pennellò le bellezze naturali e le ricchezze storiche: la montagna, Canzone al Passo di Montecroce; la città di Udine, L’Angelo del castello; Gorizia, Inno all’Isonzo; Gemona, Dinanzi a Gemona; Aquileia, Davanti al musaico dissepolto nella basilica di Aquileia; Grado, Elegia di Grado). E. meno conosciuto, però, è quello dell’applicazione del “metodo critico” come fatto spirituale ed evolutivo delle civiltà sia alla ricerca scientifica nelle materie biblicoreligiose, sia all’integrazione delle culture. Da contrapporsi – chiara la sua posizione ortodossa in tal senso – a tutti gli integralismi, razionalisti o cattolici che fossero. Avvalendosi di quell’invito alla libertà di ricerca che per molti connotava il papato di Leone XIII, egli affermava (Tricesimo, 1900): «non è il passato che noi vogliamo far risorgere se non in ciò che ha di immutabile e che risponde alle condizioni di tutti i tempi […]. Nostro scopo supremo è di far rifluire l’idea cristiana per tutte le manifestazioni della vita moderna». Nel 1906, pur incalzato dall’accusa di Modernismo, scriveva ancora: «Non pretendiamo la libertà sfrenata di dire degli spropositi ma la sana libertà sub lege, sub doctrina Ecclesiae». Un tema riproposto a più riprese, quest’ultimo, sul quotidiano dell’arcidiocesi e su «L’Avvenire d’Italia». Sui già gravi sospetti di modernismo s’innestò inoltre il suo sostegno iniziale alla Democrazia cristiana di Romolo Murri. Gli venne tolto, di conseguenza, l’insegnamento e fu relegato in quella che per lui fu la sofferta carica di prefetto degli studi. I giudizi negativi dei visitatori apostolici del Seminario (1906 e 1908) e quelli smodati di alcuni zelanti monsignori della Commissione antimodernistica diocesana provocarono l’ostracismo (in una col Paschini) al suo “metodo critico”, al punto che la Santa Sede negò il placet alla sua nomina a canonico onorario (1907), titolo che gli venne conferito soltanto nel 1914 in concomitanza con la morte di Pio X. Buono («dannosa bontà» la definì il Marchetti) e sensibilissimo, a causa del protrarsi della condizione di “vigilato speciale”, che ne segnò profondamente l’animo, interruppe ogni tipo di interlocuzione a carattere critico per dedicarsi esclusivamente alla poesia ed al teatro.
ChiudiBibliografia
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