E. «indignus abbas» fu, con i suoi due fratelli Marco e Anto, il fondatore dei monasteri friulani «in loco qui vocatur Sexto» (Sesto al Reghena) e «in ripa Salto» (presumibilmente Salt di Povoletto), entrambi dedicati alla beata vergine Maria, a san Giovanni Battista e san Pietro apostolo. Le principali notizie su questi personaggi derivano appunto dal documento del 762 con cui i tre Longobardi dotarono i cenobi friulani da loro creati quando erano ancora laici, durante il regno di Astolfo. Si tratta evidentemente di esponenti di una nobile e ricca stirpe del ducato friulano che negli anni a cavallo della metà dell’VIII secolo furono probabilmente partecipi delle lotte di potere che videro i maggiorenti dell’Austrasia impegnati nella contesa per il governo del regno. Come molti dignitari di quel periodo – il re Ratchis e il duca Anselmo – anche i tre fratelli conclusero la loro vita in abiti monacali, lontani dalla loro terra d’origine, forse a ciò costretti dal loro probabile parteggiamento per la fazione perdente nella contesa per riportare sul trono il friulano Ratchis, in opposizione a Desiderio, duca di Brescia, che riuscì però a prevalere. Pare questa la lettura più probabile per le vicende che interessarono i tre nobili longobardi, nonostante le parole con cui nell’atto del 762 viene tentato di spiegare il loro allontanamento dal ducato. Si legge infatti che nonostante avessero precedentemente fondato il monastero di Sesto pensando di «vivere in comunità fraterna in quel luogo sotto il giogo della regola e al servizio di Dio», la vocazione cui avevano aderito li spinse però, per mettere in pratica la parola del Salmo 44 «Scordati del tuo popolo e della casa di tuo padre», ad allontanarsi dalla loro terra per «habitare in Tuscie partibus». Poco si conosce invece delle vicende di E. e dei suoi consanguinei prima della loro scelta di abbandonare la vita “in saeculo”. Erano sicuramente figli di Piltrude, «domina et genitrix nostra» come si legge nell’atto di dotazione del 762 che riguardava appunto anche il monastero femminile di Salt, retto dalla loro madre. ... leggi Non è certo invece che il loro padre fosse proprio quel Pietro, figlio di Munichi e, dopo Anselmo, duca del Friuli durante il regno di Astolfo, come vuole una tradizione locale. Tra i tre fratelli, E. emerge come il personaggio sicuramente più eminente: probabilmente era anche quello di maggiore età. Insieme a Marco è ricordato come abate e partecipa attivamente, in qualità di primo attore, alla dotazione dei beni ai cenobi di Sesto e Salt. Al contrario, Anto risulta essere semplicemente un monaco e mostra un atteggiamento passivo nell’ambito delle donazioni. E. era sicuramente sposato, prima di abbracciare la vita monastica, come egli stesso ricorda nel 762. Probabilmente era rimasto precocemente vedovo e senza alcun figlio come si può ipotizzare vista l’assenza di espliciti riferimenti alla prole – che doveva esser parte in causa in un atto di cessione di beni – e di un invito all’abate di Sesto ad utilizzare i frutti del patrimonio della moglie per elemosine ed ufficiature “pro anima”: per lo meno a quell’epoca la moglie doveva quindi essere già deceduta. E. risulta inoltre il fondatore di un altro prestigioso monastero in Tuscia: quello del S. Salvatore sul monte Amiata. Una pergamena di quel cenobio, datata al settembre del 770, ricorda infatti che alcuni tributi annuali dovuti al convento dovevano essere versati «in ecclesia Sancti Salbaturi in Amiata, quem bone memorie Erfo abbas a fundamenta edificavit». Se si concorda nel riconoscere in questa citazione un riferimento al nobile friulano, si può sostenere non solo che esso fu il primo abate di quel monastero ma che nel 770 doveva essere già morto. Il monastero del monte Amiata pare edificato durante il regno di Astolfo, momento cui risalirebbe anche il cenobio sestense. Visto che nelle parole del documento del 762 emerge però chiaramente l’intenzione di E. e dei suoi fratelli di aver originariamente realizzato il cenobio di Sesto per lì ritirarsi a vita monastica, risulterebbe dunque possibile pensare che la fondazione toscana sia avvenuta solo in seguito. A quel compito E. potrebbe essere stato chiamato o dallo stesso Astolfo oppure da Desiderio ed Adelchi che poterono portare a compimento l’opera del loro predecessore appoggiandosi proprio sul nobile friulano: i termini di questa vicenda sono oggetto di discussione da parte degli storici e si basano sulla possibilità di ritenere autentico un diploma di Astolfo a favore dell’abate E. del monte Amiata, oppure di considerarlo un falso costruito sulla base di reali privilegi concessi da parte di Desiderio ed Adelchi. La benevolenza degli ultimi re longobardi nei confronti di E. non sembra affatto strana e potrebbe comunque nascondere la volontà di allontanare dall’ambito friulano gli esponenti delle principali famiglie del luogo. Una sorta di esilio cui era stato costretto anche Anselmo, fondatore di Nonantola e relegato a Montecassino durante l’età di Desiderio, esilio che può forse essere ipotizzato anche per gli altri fratelli di E. Purtroppo per quanto riguarda Marco risulta impossibile stabilire il monastero del quale fu abate: non sembra probabile, sulla base delle attestazioni documentarie, che fosse proprio quello di Sesto al Reghena, visto che anch’egli pare partecipare attivamente alla disposizione dei propri beni ai cenobi friulani poiché in procinto di abbandonare il ducato. Problematico è anche i tentativo di ricostruire il destino dell’altro fratello, Anto, forse il secondogenito, che nel 762 non era ancora divenuto abate. Era un semplice monaco probabilmente di un cenobio intitolato a S. Michele, cui si ritiene appartenesse anche l’abate Vittoriano, il quale compare tra i sottoscrittori della dotazione di Sesto e Salt: secondo questa ipotesi tale abate intervenne probabilmente come garante dell’operato dello stesso Anto visto che la qualifica di quest’ultimo non gli consentiva una titolarità giuridica autonoma nell’atto di donazione. Però, visto che Anto non ebbe parte attiva nel conferire beni si è anche supposto che egli fosse il beneficiario di tal concessioni e quindi risiedesse a Sesto. Alcuni pensano anche che ne fosse l’abate. In realtà la singolare posizione di Anto può essere spiegata da altri fattori: forse perché, a causa di varie ragioni, tra cui anche una possibile confisca per i contrasti contro il potere regio, era ormai estraneo all’asse patrimoniale della famiglia e la sua partecipazione esprime dunque solo la volontà o necessità di aderire alle scelte dei fratelli per evitare successive rivendicazioni. Il suo riferimento ad un monastero di S. Michele e quindi non a quello di Sesto pare comunque un elemento di un certo peso per dirimere la questione. Dove si trovasse questa fondazione monastica è però tutt’altro che certo. Si pensava a Cervignano, dove però un monastero con quella intitolazione è attestato solo più tardi, così come accade per il monastero di S. Michele a Poggibonsi, in Toscana, vale a dire nella regione dove, per loro ammissione, si sarebbero ritirati i tre fratelli. Una recente proposta invita a riconoscerlo nel monastero di S. Michele Arcangelo di Brondolo, nella laguna veneta, presso Sottomarina, che si troverebbe comunque al di fuori dell’ambito friulano anche se non in Tuscia.
ChiudiBibliografia
Codice diplomatico longobardo, II, a cura di L. SCHIAPPARELLI, Roma, Tipografia del Senato, 1933 (Fonti per la Storia d’Italia, 63), 325 (doc. 248); Codice diplomatico longobardo, III, 1, a cura di C. BRÜHL, Roma, Istituto storico italiano per il medioevo, 1973, 179-184 (doc. 29); C.G. MOR, Il documento sestense del 762 e alcune congetture sulla data di fondazione dell’abbazia di Sesto al Reghena, «Ce fastu?», 36 (1960), 149-157; W. KURZE, Monasteri e nobiltà nel Senese e la Toscana medievale. Studi diplmatici, archeologici, genealogici, giuridici e sociali, Siena, 1989; G. SPINELLI, Origini e primi sviluppi della fondazione monastica sestense (762-967), in L’abbazia di Santa Maria di Sesto fra archeologia e storia, a cura di G.C. MENIS - A. TILATTI, Fiume Veneto (Pn), GEAPprint, 1999, 97-121; S. GASPARRI, Istituzioni e poteri nel territorio friulano in età longobarda e carolingia, in Paolo Diacono ed il Friuli altomedievale (secc. VI-X). Atti del XIV congresso internazionale di studi sull’alto medioevo (Cividale, 24-29 settembre 1999), I, Spoleto, CISAM, 2001, 105-128.
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