Canonico aquileiese nonché cappellano e cancelliere patriarcale, E. da R. rogava certamente a Udine nel 1313 al tempo di Ottobono. Era giunto nel patriarcato probabilmente al seguito del fratello Taddeo Dalla Palude, mansionario aquileiese, noto compilatore del Necrologium Aquileiense relativamente al periodo 1308-1339. I loro genitori Iacopo e Chiara, ricordati “in mortem” proprio nel Necrologium, si erano stabiliti ad Aquileia «in contrata maioris ecclesie Aquilegensis». Pare che E. cominciasse a rogare in questa città ancora nel 1290, ma se ciò fosse vero, sono perduti tutti gli atti del periodo fino al 1318. Infatti si possiedono atti di lui a partire dal giugno di quell’anno come cancelliere del patriarca Gastone della Torre. In precedenza costui era stato canonico di Aquileia e di Cividale e dal 1302 decano del capitolo di Aquileia al posto dello zio Pagano, creato vescovo di Padova. Dal 1308 era stato nominato arcivescovo di Milano, da dove con alterne vicende era stato poi destinato alla sede aquileiese, nella quale per altro non mise mai piede. A questo punto, mentre Taddeo Dalla Palude risultava cappellano e tesoriere del neoeletto, E. ormai appariva legato alla cerchia dei Torriani: alla ricerca di appoggi e di finanziamenti nel difficile momento politico, Gastone, rientrando da una visita al re di Napoli, si fermò a Siena dove il 29 luglio investì Taddeo della pieve di S. Maria di Cerkno con un atto stilato da Eusebio. Il patriarca tuttavia morì un mese dopo a Firenze. Il cancelliere, ormai evidentemente integrato nella parte torriana, rientrato in Friuli, lavorava per il nuovo patriarca Pagano, eletto il 4 settembre. ... leggi A metà dicembre dello stesso anno il neoeletto stava ad Aquileia e il 2 gennaio 1319 qui E. già rogava per la conferma dell’assegnazione della pieve di S. Maria in Sluntz a Vistano di Legenburch. Nel mese successivo redigeva il documento di nomina del cursore patriarcale e registrava l’ordine di Pagano di presentargli copia del privilegio di concessione del castello di Flambro e pertinenze da parte del conte di Gorizia a Febo e Raimondo della Torre. Da allora in poi gl’impegni di E. s’infittirono. Quando non era direttamente chiamato a scrivere, assisteva ad atti importanti redatti anche da notai non cancellieri, come Guglielmo da Cividale. Di lui sono rimaste raccolte di atti processuali, la prima delle quali relativa a una questione fra il monastero di S. Maria di Aquileia e Lotto da Firenze e la seconda fra Taddeo Dalla Palude come pievano di S. Maria di Cerkno e il mansionario cividalese Giacomo da Orsaria. Il 1° dicembre 1319 E. veniva nominato cappellano patriarcale e canonico di Aquileia. Pagano stava evidentemente consolidando una cerchia di fedelissimi scelti sia tra i familiari sia tra professionisti di origine lombarda: Guglielmo da Cremona decano di Aquileia dal 1319, Berofino Giroldi da Cremona vicedecano, Corrado Balbi da Milano podestà di Aquileia, Giovanni da Cremona fisico e maestro nello Studio di Cividale, Gabriele da Cremona cancelliere, Francino da Villanova da Lodi notaio, Giovanni da Osnago abate di Rosazzo ecc. Tra i documenti importanti redatti da E. da R. va sottolineata in primis la corrispondenza di Pagano della Torre con il legato papale relativamente al pagamento di somme dovute dal patriarca alla camera apostolica non solo per la sua nomina, ma anche per il nodo delle notevoli somme pregresse non versate dal predecessore Gastone. A tale proposito il cancelliere stilò pure il documento con il quale Pagano nominava due procuratori per ottenere a qualsiasi condizione il prestito di 5.000 fiorini da versarsi alla Santa Sede. Nel 1332 E. registrò il proscioglimento di una scomunica al patriarca per il mancato versamento di 2.000 fiorini. Nello stesso anno si occupò della questione del pagamento di decime da parte dei parroci. A questo proposito nel 1329 il vicario patriarcale gli aveva dettato una missiva diretta all’arcidiacono della Carniola con minaccia di scomunica agli ecclesiastici insolventi. Di particolare interesse in campo economico risulta il contratto del maggio 1330 per la coniazione di moneta patriarcale con l’appaltatore parmense Tommaso Anelli e compagni: anche i Parmensi infatti in quegli anni s’infiltravano nella Patria del Friuli in vari modi, non ultimo quello di ricoprire cariche di gastaldia, come a Udine Sagino e Alberto, quest’ultimo presente con Ottobono e Bertrando. In quei tempi così turbolenti per conflitti esterni e lotte intestine il cancelliere E. redasse pure rilevanti documenti di pace: quello con i Caminesi del 1330, con gli ulteriori accordi dell’anno successivo, poi quello con gli Scaligeri dell’aprile 1331. Nel contempo stilava gli accordi del maggio 1330 fra i Savorgnan e i di Castello e quelli del settembre dello stesso anno fra questi ultimi e l’abate di Moggio. Abbastanza numerosi risultano gli atti relativi a concessioni e traslazioni di benefici e all’erezione di nuove chiese. Il ricorso al servizio di lui risulta particolarmente frequente nella concessione o nella permuta di gastaldie. Spesso l’opera di E. collimava con quella normale notarile ch’egli svolgeva per la nomina di procuratori, talvolta autorevoli personaggi incaricati di missioni importanti e delicate, come per esempio quella del vicario Berofino Giroldi a Venezia per la riscossione di diritti e giurisdizioni sull’Istria o per acquisti d’immobili e per l’ammissione al tabellionato di Guglielmo figlio del notaio e grammatico Alberto da Thiene (28 ottobre 1326). Dall’esame delle date topiche si deduce che l’attività induceva E. a continui spostamenti dentro e fuori della Patria del Friuli innanzi tutto per il fatto che la cancelleria redigeva atti di processi celebrati in diverse sedi e che ad amministrare la giustizia potevano essere i vicari dislocati nel territorio, dal decano aquileiese Berofino Giroldi all’abate mosacense Giovanni; inoltre il patriarca faceva registrare ordini e lettere in arrivo e in partenza nelle varie località nelle quali si spostava. Il ricordato vicario generale Giovanni abate di Moggio, oltre a trasmettere le accennate minacce del legato papale, si serviva del cancelliere per normali atti notarili di compravendita. Talvolta il patriarca si fermava per parecchi giorni in centri come San Vito per concedere feudi, rinnovare investiture. Probabilmente E. seguì Pagano nella campagna di Lombardia a fianco del legato papale e dei Torriani contro i Visconti, mentre i vicari Giovanni e Berofino reggevano le sorti del patriarcato. Nel dicembre del 1323 infatti da Monza, dove Pagano era giunto il 7 aprile, il cancelliere E. scriveva per il suo signore chiedendo il permesso di contrarre prestiti per pagare la camera apostolica. Fino alla primavera del 1326 non si trovano sue tracce in Friuli. Di particolare interesse risulta la lettera a lui dettata dal patriarca ad Aquileia il 5 gennaio 1330, con la quale in quel momento di vacanza dell’Impero, per rispondere a un appello rivoltogli dal vescovo di Trieste, Pagano chiedeva a Giovanni XXII lumi sul modo di procedere in cause feudali una volta esauriti gli appelli previsti al patriarca e al parlamento. Ciò implicava un’illustrazione del sistema giudiziario del patriarcato, testo che costituisce appunto la parte più importante del documento. L’autorevolezza raggiunta nella funzione ricoperta spiega la ragione per la quale il parlamento della Patria del Friuli nel luglio dello stesso anno incaricava il cancelliere di firmare, quale procuratore, la lega con il capitano della contea di Gorizia Griffone di Reutemberg allo scopo di proteggere i rispettivi sudditi. I protocolli del cancelliere, che avevano accompagnato l’opera di Pagano, morto il 19 dicembre 1332, si chiudono all’inizio dell’attività di Bertrando. L’11 gennaio 1335 ad Avignone E. redigeva il documento per la riserva dei benefici vacanti fatta da Benedetto XII. L’anno successivo il 3 marzo egli assistette alla consacrazione del vescovo Pietro Paolo. L’atto fu redatto dal collega Gubertino che il 18 luglio 1337 (giorno del suo obito) E. incaricò di registrare la propria richiesta di concessione di dettare testamento.
ChiudiBibliografia
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