Nacque a Cingoli (Macerata) verso il 1496 e si trasferì in Friuli nel secondo decennio del Cinquecento al seguito del fratello Pietro Ludovico che si era stabilito a Concordia fin dal 1511. Di questo primo soggiorno di E. in terra friulana rimane traccia nell’attività di notaio documentata tra il 1515 e il 1517, quando coadiuvò il fratello nel ruolo di cancelliere del Capitolo di Concordia. Dalla lettera indirizzata al card. Farnese l’11 aprile 1546, principale fonte della sua biografia, sappiamo che successivamente si spostò a Roma. Qui verso il 1521 si laureò in utroque iure per poi dedicarsi all’avvocatura presso la Sacra Rota ed in altri uffici. In seguito si sposò ed ebbe dei figli, tra cui Faustina che andrà poi in moglie al cingolano Gaspare Cavallini. Rimasto vedovo decise di abbracciare la carriera ecclesiastica ed entrò al servizio dapprima del card. Antonio Del Monte in qualità di uditore, quindi, dopo la morte di questi avvenuta nel 1533, del card. Marino Grimani, patriarca di Aquileia, che proprio in quello stesso anno divenne pure amministratore perpetuo della diocesi di Concordia. Il ritorno in Friuli fu conseguenza della nomina di E. a uditore patriarcale, mentre il fratello Pietro Ludovico fu designato dal Grimani come governatore del vescovado di Concordia e gastaldo di quella terra. Un documento del 1541 definisce E. «vicario di Concordia e luogotenente generale di mons. Reverendissimo [Grimani]». Da rilevare che in seguito il ruolo di vicario generale di Concordia fu occupato dal fratello (nel frattempo pure lui divenuto sacerdote) e dai figli di questi, Fabio e Papirio. In segno di riconoscenza per i suoi servizi, il patriarca Grimani ottenne dal Pontefice l’elezione del F. a vescovo di Caorle, avvenuta il 15 marzo 1542. Non si trattava certo di un vescovado dotato di rendite cospicue, tanto che E. «per expedir le bolle» fu costretto a vendere una casa da lui posseduta in Roma. ... leggi Ad ogni modo la nomina era funzionale al nuovo incarico di ‘vicario in pontificalibus’ nel patriarcato di Aquileia e nella diocesi di Concordia. È difficile esprimere un giudizio su quanto compiuto dal F. negli anni friulani; le fonti parlano di una sua operosa attività presso il tribunale patriarcale, inoltre sappiamo che nel 1545 compì una visita pastorale al patriarcato di Aquileia e in quell’occasione consacrò la chiesa di Meduna (l’anno prima aveva consacrato la chiesa della Madonna del Monte Santo presso Gorizia). Secondo il Liruti fu pure autore di un Trattato dei feudi del Friuli e di una Raccolta di cose antiche di questa terra, opere andate perdute. Alcune vertenze legate al vescovado di Ceneda, che dal 1545 il Grimani aveva ottenuto in commenda, e l’apertura del Concilio di Trento (1545-1564), portarono il F. lontano dal Friuli dove avrebbe fatto ritorno solo in pochissime occasioni, come nel 1554 quando lo troviamo a Concordia per giudicare una vertenza fondiaria tra i canonici di Concordia da una parte e Battista di Valvasone e Giovanni Biffis da Portogruaro dall’altra. La fama del F. è però legata soprattutto alla sua partecipazione al Concilio di Trento. Durante la prima sessione ebbe modo di conoscere il card. Giovanni Maria Ciocci Del Monte, primo legato e presidente del Concilio, nonché futuro papa Giulio III, che lo volle dapprima come vicario generale a Pavia, di cui era vescovo (1547), quindi dopo l’elezione pontificia, lo creò governatore di Terni e Rieti (1550-52). Ma le peregrinazioni del F., costretto a girare mezza Italia alla ricerca di introiti per sopperire alle precarie condizioni economiche (fu infatti tra i prelati tridentini che beneficiarono di una sovvenzione), continuarono. Tra il 1552 ed il 1559 si trasferì a Genova, dove fu vicario generale del vescovo Girolamo Sauli. Qui ebbe modo di distinguersi nell’attività di repressione nei confronti delle infiltrazioni protestanti, valendosi anche dell’appoggio di Ignazio di Loyola. Nel 1559 si trasferì a Piacenza, città dove aveva già svolto alcuni uffici tre lustri prima, ancora per ricoprire le funzioni di vicario generale su mandato del vescovo Bernardino Scotti teatino. Tutti questi incarichi non gli impedirono di partecipare alle sessioni conciliari, ma fu in particolare nell’ultima, iniziata nel 1561, in cui ebbe modo di distinguersi, tanto da meritarsi la stima del card. Borromeo che lo avrebbe voluto con sé a Milano. Propose di combattere chi si serviva del Santissimo Sacramento a scopi magici, si pronunciò in difesa della legittimità dei matrimoni clandestini, si oppose alla concessione ai laici dell’uso del calice. Quando si discusse il canone sull’elezione dei vescovi, considerati legittimi solo se ricevevano la nomina papale, intervenne duramente contro il vescovo di Guadix in Spagna, che aveva avanzato alcune riserve; si sfiorò perfino l’incidente diplomatico quando il F. gridò in assemblea «Fuori il scismatico!», a cui seguì «grandissimo romore tra li prelati, così di sussurri, come di piedi…», come riporta Paolo Sarpi. Nel 1562 gli fu affidato il prestigioso compito di stendere il decreto De residentia, considerato uno dei capisaldi della riforma cattolica. Come premio per i tanti servizi svolti, il 30 gennaio 1563 Pio IV lo nominò vescovo di Bertinoro (Forlì), sede meno povera di Caorle, dove concluse la sua esistenza il 10 luglio 1564.
ChiudiBibliografia
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