Nacque a Gorizia il 30 agosto 1819 da Giuseppe, impiegato comunale, e Caterina Cipriani, in una famiglia di modeste condizioni. Compì gli studi presso le scuole locali, mentre frequentava con assiduità la ricca biblioteca privata della famiglia materna, e nel 1837 si iscrisse alla Facoltà di giurisprudenza dell’Università di Vienna, città in cui trascorse sette anni di studio e di intensa vita sociale. Privo di un adeguato sostegno economico, si mantenne grazie all’attività di traduttore e di insegnante di italiano, ma condusse una vita piuttosto scapigliata. Rientrato in famiglia nel 1846, verosimilmente senza aver conseguito la laurea, ne venne allontanato a causa delle idee liberali, e trovò impiego presso l’avvocato Giovanni Rismondo, di cui condivideva la sensibilità politica di indirizzo risorgimentale. Durante l’insurrezione del 1848 era al suo fianco nelle manifestazioni contro il governo seguite alla promulgazione della carta costituzionale. Dopo il fallimento delle prime fugaci e improvvisate esperienze giornalistiche dei liberali goriziani («L’Aurora» di G. Deperis e F. Della Bona), dal primo gennaio 1850 al 4 febbraio 1851 F. fu alla direzione del trisettimanale liberalmoderato «Giornale di Gorizia», che introdusse e calò il dibattito intorno alle nazionalità dell’Impero sul terreno della contea discutendo le diverse ipotesi avanzate. A causa degli attacchi al governo, sempre più frequenti negli ultimi mesi del 1850, il periodico venne prima sequestrato e poi condotto alla chiusura da parte dell’I. R. Procura di Stato. Il 4 giugno 1851, dopo le prime elezioni municipali nella storia di Gorizia, vinse il concorso di segretario del comune, carica che gli permise di raggiungere nell’ambiente goriziano una popolarità considerevole, motivata dagli intensi sforzi di modernizzazione della città. Proprio in quegli anni avviò la pubblicazione del Lunari di Gurizza [Lunario di Gorizia] (1853, 1854, 1858 e infine 1870, ma con il titolo Un bon prinzipi! [Un buon inizio!]), ricco di notizie utili e suggerimenti pratici. ... leggi Frattanto la polizia continuava a sorvegliarlo per le sue idee politiche, e un rapporto del settembre 1860 riconosce in lui uno dei membri di un supposto “comitato rivoluzionario” di Gorizia capeggiato dal Rismondo. Le votazioni del marzo 1861 e la nuova vittoria dei liberali italiani gli procurarono il seggio di consigliere e la quasi unanime elezione a podestà, ma il ricorso avverso di una cinquantina di cittadini indusse le autorità della capitale a non ratificare la nomina. Nonostante le manifestazioni degli amici a suo favore, costate l’arresto e l’incarcerazione di alcuni sostenitori e del fratello Giovanni Nepomuceno, il veto imperiale non venne respinto dal consiglio, che preferì ripiegare su un altro podestà, il conte Giacomo Colloredo-Mels; effettivamente lo statuto comunale prevedeva che gli impiegati municipali non potessero presentarsi alle elezioni, cosicché F. ritornò al suo ufficio. Con una circospezione dettata dalla necessità di mantenere la numerosa prole nata dal matrimonio con Giuseppina Simers, l’impegno di F. continuò nei circoli degli irredentisti goriziani, nonostante le perplessità dei moderati, e si configurò sempre più come un ruolo di intermediazione tra la classe dirigente e i ceti popolari cittadini. Tuttavia la sua prudenza sembrò venir meno nel 1866, quando si trovò a polemizzare con la dieta provinciale e a promuovere la celebrazione del centenario della nascita di Dante Alighieri, come occasione per sottolineare l’italianità di Gorizia. Il 25 maggio 1866 fu una lettera al gradiscano Federico de Comelli, da tempo emigrato a Firenze, a tradire definitivamente F., il fratello e altri nazionalisti italiani: arrestato il 29 maggio nella sede del Casino dei commercianti ed industrianti, del quale era vicepresidente, con sentenza del 26 luglio venne condannato per alto tradimento a sei anni di carcere duro. Neppure l’amnistia concessa ai prigionieri politici con la fine della guerra ne consentì la scarcerazione, e soltanto un provvedimento sovrano di grazia gli permise di abbandonare, nel febbraio del 1867, il penitenziario di Karlau, presso Graz. In seguito i suoi spostamenti continuarono a essere controllati assiduamente dalla polizia, cosicché F., dopo aver partecipato a Palmanova, il 19 ottobre del 1868, all’anniversario del plebiscito con alcuni radicali, sulla base di un avvertimento anonimo si vide costretto a oltrepassare nuovamente il confine e a rifugiarsi prima a Udine e successivamente a Venezia, dove si stabilì e si fece raggiungere dalla famiglia. Pur avendo perseverato anche in Italia nell’attivismo antiaustriaco, un’amnistia gli consentì nel febbraio 1871 di ritornare nuovamente a Gorizia, dove intendeva recuperare anche la carica di segretario comunale perduta con l’arresto del 1866; a causa della contrarietà di vecchi alleati divenuti antagonisti (in particolare L. Pajer e F. Marzini), poté essere reintegrato soltanto nel maggio 1877, dopo aver assunto per alcuni anni nell’amministrazione altri incarichi secondari, come quello di segretario della Commissione sanitaria. Tuttavia F. dovette affrontare una situazione politica estremamente complessa e si trovò sotto il fuoco incrociato, non tanto dell’ala repubblicana, quanto dei moderati e dei legittimisti, che lo ricoprirono di calunnie e che ne criticavano aspramente la gestione delle finanze comunali. Alle lettere e ai manifesti che lo accusavano, F. rispose nel 1879 con poesie e scritti polemici, ma anche consolidando la propria popolarità mediante la collaborazione ai giornali liberali «Isonzo» e il «Corriere di Gorizia». Ancora in carica come segretario del comune, morì a Gorizia durante la notte del 30 novembre 1892; i suoi funerali, celebrati il 3 dicembre con grande concorso di popolo e coronati dall’orazione funebre del podestà Giuseppe Maurovich, divennero una grande manifestazione pubblica di sentimenti di italianità. Nel trigesimo della morte, la sua figura venne commemorata in consiglio comunale dall’avvocato Carlo Venuti, mentre nei primi mesi dell’anno successivo l’editore Domenico Del Bianco, che nelle esequie aveva pronunciato un discorso in friulano, pubblicò a Udine le Rime e prose in vernacolo goriziano raccolte da F. stesso nell’ultima fase della propria vita. Introduce l’opera un’ampia nota biografica della giornalista Carolina Luzzatto. Il pensiero politico della giovinezza è stato studiato, seppure con difetto di equanimità, da Attilio Venezia, attraverso l’attento esame delle colonne del «Giornale di Gorizia»; la testata, principale strumento del primissimo impegno educativo e civile di F., costituisce una fonte imprescindibile per la conoscenza del suo sguardo sulla politica internazionale, sulle concessioni costituzionali, sul federalismo, sul centralismo e sul problema delle nazionalità, sul fallimento della rivoluzione, sui rapporti fra Stato e Chiesa, sulla scuola italiana a Gorizia, sulla convocazione della dieta provinciale, sulla convivenza di italiani e sloveni nel Goriziano e nell’Istria. Il saggio di Ranieri Mario Cossar e soprattutto gli studi di Silvano Cavazza tornano utili per la conoscenza del profilo politico e sociale di F. (il quale era stato anche promotore o sostenitore di istituzioni come la Società goriziana di ginnastica, scherma, canto – nata nel 1868 e sciolta dopo neppure un anno di vita –, il Casino dei commercianti, il Gabinetto di lettura, la Società promotrice per la cura climatica, la Lega nazionale), mentre la gran parte della critica si è occupata dello scrittore friulano, che ha effettivamente rivestito una importanza tale da giustificare un’attenzione privilegiata. Le già citate Rime e prose in vernacolo goriziano del 1893 offrono per la produzione letteraria un quadro esauriente, significativo anche per i riferimenti autobiografici, per le note di cronaca e di costume, per i rinvii alla mondanità e alle occasioni della scrittura; alcuni versi inediti comparvero su «Forum Iulii» nel dicembre 1910 e nel 1912. La maggior parte di questa produzione friulana – poche le rime in dialetto veneto – era stata pubblicata nei quattro almanacchi, l’ultimo dei quali uscì non a Gorizia, ma a Venezia, dove F. si era rifugiato. Ciò che balza immediatamente agli occhi nel confronto con le analoghe esperienze è la presenza di uno sfondo più borghese, meno contadino; per i lunari successivi al primo si sottintendono destinatari più colti, provenienti da classi sociali più elevate. Nei versi introduttivi del lunario del 1853, F. difende la propria scelta di non piegarsi ai tratti dialettali della parlata goriziana (ma già con il lunario per il 1854 fanno la loro comparsa le finali in -a, non più in -e) – non fu estranea a questa scelta l’ammirazione per Pietro Zorutti, che sarebbe stata testimoniata anche da un’affettuosa lirica celebrativa (A Pieri Zorut) –; nello stesso tempo già il titolo del primo lunario segna una distanza dallo Strolic dell’udinese (Lunari di Gurizze par l’an comun 1853 cun in aggiunte i principai marchiaz, i lavors di campagne, l’orari par impostà lis letteris, la tariffe del puart di pueste; la schiale del bol par cambials e documenz e mil altris buzzaris necessariis e par prionte quattri poesiis d’un Gurizzan [Lunario di Gorizia per l’anno comune 1853 con l’aggiunta dei principali mercati, lavori di campagna, orario per spedire le lettere, la tariffa del porto di posta, la scala del bollo per cambiali e documenti e mille altre minuzie necessarie e inoltre quattro poesie di un goriziano]). Inoltre, interessano maggiormente le prose, «per la novità dei contenuti e della destinazione, per il loro taglio tra giornalistico e saggistico» (R. Pellegrini). Le trentotto pagine del Lunari di Gurizze par l’an comun 1853 [Lunario di Gorizia per l’anno comune 1853] configurano un prodotto modesto, di destinazione più popolare, caratterizzato da contenuti accessibili a un pubblico vasto e da una spiccata attenzione per la realtà urbana di Gorizia e per le questioni pratiche, in ottica educativa, nonostante una presenza ancora massiccia di versi (Il bevidor [Il bevitore], La uarfine [L’orfana], Il ronc [Il ronco], Sior Celestin). Più corposo (sessantasei pagine) il Lunari di Gurizza par l’an comun 1854 [Lunario di Gorizia per l’anno comune 1854], che raccoglie prose e poesie ma che contiene anche una Scena nella locanda dellis tre Coronis [Scena nella locanda delle tre Corone], ove dialogano «il teatro di societat, il casot dei marionez, il Lunari di Gurizza» [il teatro di società, il teatrino delle marionette, il Lunario di Gorizia]. È esplicita la critica a chi ritiene che il favore del pubblico proceda di pari passo con la qualità del lavoro; il dovere del teatro, invece, è quello di attrarre nuove categorie sociali (gli artigiani, per esempio: da qui anche la prosa Alc pei artesans [Qualcosa per gli artigiani]) e contribuire all’educazione del pubblico. Questo lunario diviene anche uno strumento di militanza per organizzare il consenso dei goriziani intorno alla politica seguita dal consiglio (motivando alcune tasse, spiegando l’utilità dei lavori pubblici, offrendo note sulla pubblica beneficenza a Gorizia); è lo scopo sotteso all’atto unico teatrale Il pro e il cuntra [Il pro e il contro], nel quale Sior Nard prende le parti del comune spiegando la tariffa per le barriere doganali contro le critiche del disinformato Sior Carlo. È ancora maggiore la cura formale nel Lunari di Gurizza per l’an comun 1858 [Lunario di Gorizia per l’anno comune 1858]. L’opuscolo ammette prose friulane, ma prevalgono le pagine in italiano. Apre con uno scritto sull’Istituto dei fanciulli abbandonati (volto a prevenire fenomeni di devianza e di criminalità); ospita le notizie storiche di Giovanni Maria Marussig sulla peste a Gorizia nel 1682 (la Relatione sul contaggio successo in Goritia, et sua origine l’anno 1682, con dieci illustrazioni del giovane artista goriziano Raffael Pick) e inoltre l’estratto Il tumult dei Tulminoz del 1713 (Estratt da un manuscritt di un contemporaneo) [Il tumulto degli abitanti di Tolmino del 1713. Estratto da un manoscritto di un contemporaneo], completato da un saggio critico in friulano sull’archivio comunale. Dopo molti anni di silenzio esce Un bon prinzipi! Lunari per l’an 1870 [Un buon inizio! Lunario per l’anno 1870]. Quest’ultimo lunario, che ha i caratteri della strenna, ripropone brani già editi, ma contiene delle poesie in friulano, alcune delle quali di composizione non recente (L’om liber [L’uomo libero], scritta a Vienna nel 1840; A Tita Bressan (Vienna 1842); Ai me amis (Vignesia 1869) [Ai miei amici (Venezia 1869)]). Nella raccolta del 1893 compaiono, infine, alcuni bozzetti drammatici di vita popolare goriziana; contraddistinti da una solida impostazione storica e da una forte componente pedagogica, sono stati rappresentati con grande successo, e guadagnano a F. un posto da pioniere del teatro friulano a Gorizia. Il primo, 1782-1882. Doi quadris della vita popolar gurizzana [1782-1882. Due quadri della vita popolare goriziana], è stato recitato nel 1882 al teatrino della Società della Ginnastica; il primo quadro mette in scena un onesto sarto, il secondo un artigiano scapestrato che finisce in carcere. Dopo cinq agn. Quadri della vita popolar gurizzana (seguit del quadri 1882) [Dopo cinque anni. Quadri della vita popolare goriziana (seguito del quadro 1882)] è la continuazione del precedente, e mostra il pentimento dell’artigiano. Fusilir e granatir, un scherz comic rapresentat nel nestri teatro ai 10 e 11 marz 1883 in occasion del prin centenari della Banda Civica [Fuciliere e granatiere, uno scherzo comico rappresentato nel nostro teatro il 10 e 11 marzo 1883 in occasione del primo centenario della Banda civica] è una scena della vita goriziana del 1820. Nel 1892 era stata pubblicata l’opera più complessa: Leonardo Papes, un zittadin gurizzàn del 1500 [Leonardo Papes, un cittadino goriziano del 1500], dramma storico in quattro brevi atti composto per celebrare il primo centenario della nascita di Pietro Zorutti. Nella Gorizia del Cinquecento, la giovane Maria, figlia di un commerciante, è innamorata di Luis, ma viene rapita da Enrico Rabatta e in seguito liberata grazie all’intervento della contessa Beatrice di Voghersca e del saggio e leale locandiere Leonardo Papes (il quale è personaggio storico, come i conti Bernardo ed Enrico di Rabatta e la castellana di Voghersca). Nella sua Antologia, Bindo Chiurlo definisce F. «autore di ‘opere buone’ non di ‘poesia’»; i suoi meriti starebbero nell’aver salvato a Gorizia la tradizione dello scrivere friulano (ma in realtà non è né l’unico né il più fecondo scrittore friulano dell’Ottocento) e «nell’aver trovato in tre o quattro brevi poesie […] una delicata rispondenza della forma alle voci secrete dell’anima che si allarga per la gioia, o su se stessa si ripiega e quasi avvizzisce nel dolore»; Faggin replica osservando come in F. «la poesia sia forse tenue, ma non possa essere negata»; d’altra parte Pellegrini segnala che i versi appaiono alquanto più scontati della prosa, motivandone la fortuna con il filo politico e con il “lirismo” della nostalgia; ma il nesso centrale della scrittura rimane la prosa, con le sue finalità variamente pratiche ed educative.
ChiudiBibliografia
Un manoscritto di C. Favetti è conservato presso la BCU, Principale, 2173. Contiene varie minute di poesie in gran parte friulane ed edite, alcune delle quali scritte negli anni viennesi; l’unica prosa, La predichie dei giargniei, è uno scritto burlesco che imita il friulano carnico.
Quasi tutta la produzione letteraria è raccolta in: C. FAVETTI, Rime e prose in vernacolo goriziano, Udine, Del Bianco, 1893; e ancora: San Martin (versi inediti) 1844, «Forum Iulii», 1/10 (1910-1911), 297-299; Una poesia inèdita di Carlo Favetti per le nozze di Luigi Pajer, ibid., 3/5 (1912-1913), 282-285.
DBF, 337-338; D. DEL BIANCO, Carlo Favetti [necrologio], «Pagine friulane», 5/9 (1892-1893); C. VENUTI, Discorso commemorativo letto nella sera del 30 dicembre 1892 trigesimo della morte di Carlo Favetti, Gorizia, Paternolli, 1893 [= «Studi Goriziani», 21 (1957), 123-143]; G. LE LIÈVRE, Casa nostra. Storia antica e cronaca moderna, Udine, Del Bianco, 1900, I, 38; II, 18-23; C. L. BOZZI, La giovinezza di Carlo Favetti, «AAU», s. V, 11 (1931-1932), 143-178; R. M. COSSÀR, Carlo Favetti e l’italianità di Gorizia nella seconda metà dell’Ottocento, «Studi Goriziani», 13 (1952), 111-118; A. VENEZIA, Il pensiero politico di Carlo Favetti, ibid., 15 (1954), 71-146; L. PILOSIO, Antenati e genitori dell’Avanti cul brun!…, «Avanti cul brun! Lunari di Titute Lalele pal 1959», 25 (1958), 235; CHIURLO, Antologia, 307-310; Mezzo secolo di cultura, 113; D’ARONCO, Nuova antologia, II, 78-81; Ǧ. N. MATALON, I lunaris dal ’800 dal Friûl Orientâl, «Ladinia», 8, 1984, 134; FORMENTINI, Contea di Gorizia, 128; PELLEGRINI, Tra lingua e letteratura, 261; Ottocento goriziano (1815-1915). Una città che si trasforma, a cura di L. PILLON, Gorizia, ISSR, 1991; F. TODERO, Almanacchi goriziani dell’Ottocento: aspetti e problemi, in Pietro Zorutti e il suo tempo, a cura di R. PELLEGRINI - F. BOSCO - A. DEGANUTTI, San Giovanni al Natisone, Le Marasche, 1993, 68-75; S. CAVAZZA, Carlo Favetti, in DBI, 45 (1995), 458-461; ID., Carlo Favetti: l’itinerario di un irredentista goriziano, in Figure e problemi dell’Ottocento goriziano. ... leggi Studi raccolti per i quindici anni dell’Istituto (1982-1997), a cura di S. CAVAZZA - M. GADDI, Gorizia, ISSR, 1998, 43-91; GALLAROTTI, 78-90; ID., Personaggi goriziani del millennio, Monfalcone, EdL, 2002, 33-34; FAGGIN, Letteratura, 124-128, 182, 232; A. GALLAROTTI, Carlo Favetti e Dante in friulano. Una pagina inedita dell’opera dello scrittore goriziano, «Borc San Roc», 20 (2008), 66-71.
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