Gradiscano, attivo nel Settecento, è autore di alcuni componimenti friulani di carattere encomiastico. Il primo di essi è stato pubblicato a Udine nel 1744, e consiste in un’egloga pastorale: Nell’ingres nel capitaniat di Gradischia dell’illustrissim sior baron Toni De Fin, è ospitato in una Raccolta di poetici componimenti latini, italiani e furlani […] nel giorno che fu solennizzato il possesso del capitaniato di Gradisca ed Aquileia, […] conferito all’ill. sig. Antonio lib. bar. De Fin, […]. Il dialogo fra i pastori Simon e Macor (a convalidare con toni bucolici il sapore rusticale del codice prescelto) attraversa tutti i luoghi comuni prevedibili in simili occasioni: la domanda che chiede ragione dei festeggiamenti, l’annuncio della notizia, l’esaltazione delle doti del capitano, l’esultanza generale; con il consueto bagaglio di complimenti e ampollosità: «Lui farà come sool fà una gran font: | jevat l’arzin che sei e lu ripar, | si spant par lis chiampagnis come un mar | e l’ingrassa il terren e ’l rint fecont. | Cussì lui liber d’ogni impediment | l’aga dispenserà dellis sos graziis, | cussì il Signor lo uardi di disgraziis, | come preà dovìn ogni moment» [Lui farà come suol fare una grande sorgente: rimossi che siano l’argine e il riparo, si espande nelle campagne come un mare, e arricchisce il terreno e lo rende fecondo. Così lui, libero da ogni impedimento, dispenserà l’acqua delle sue grazie, perciò il Signore lo guardi dalle sventure, come dobbiamo pregare in ogni momento]. Joppi attribuisce al F., per «lo stile, la forma e l’epoca», altri due testi rimasti manoscritti nel fondo Bini nell’Archivio del capitolo di Udine: ancora un’egloga pastorale composta Nella monacazione di Maria figlia di s. ... leggi e. Almorò Barbaro già provveditore generale in Palma nel 1747 e, sullo stesso argomento, un Sonetto allusivo al nome di Maria che lascia per prendere quello di Costanza (entrambi, secondo D’Aronco, non autografi). I due lavori celebrano dunque la professione solenne della figlia del senatore veneziano Ermolao Barbaro, provveditore generale di Palmanova dal 1745 al 1747, e sono di poco successivi alla cessazione di tale incarico. Il pastore Blas, che ha partecipato, a Venezia, alla monacazione, stupisce l’amico con il racconto della cerimonia ed esalta le virtù e le origini della giovane: «Virtuosa po, l’è ciart, al par d’ognuna | femina che cumò vivi nel mont, | che a fà des sos virtuz un biel iust cont | bisugnas contà lis stellis a una a una» [Virtuosa poi, è certo, al pari di ogni donna che oggi viva nel mondo, perché per fare delle sue virtù un conto bello e giusto bisognerebbe contare le stelle una a una]. Il dialogo termina con una serie incontenibile di endecasillabi in rima baciata: «Chiantin a sta fantata il falilela | di cui non s’è vioduda la plui biela» [Cantiamo il ‘falilela’ a questa ragazza, della quale non si è vista una più bella]. È più interessante il sonetto («Cui che dis che chist mond al sei un mar» [Chi dice che questo mondo sia un mare]), anche per il gusto barocco sotteso all’abusato artificio paronomastico che lo ravviva: Maria sceglie di chiamarsi Costanza, abbandonando dunque con il vecchio nome anche l’incostanza che accomuna il «mar» e il mondo. Una canzone in quartine di endecasillabi («Orsù via musis furlanis»), contenuta nel medesimo fascicolo, recupera gli stessi temi dei testi precedenti, ma rivolgendosi in questo caso alle muse friulane: «Se no ves gran abbondanza | d’alta frase e argut concet, | suplirà a tal manchianza | l’eccelenza del soggiet» [Se non avete grande abbondanza di alta frase e arguto concetto, supplirà a tale mancanza l’eccellenza del soggetto]. Sono più frequenti gli spunti mitologici che coronano l’idea centrale: il mondo tenta ogni possibile via per far desistere la giovane dalle proprie intenzioni, addirittura inviando un amorino per ferirla nel cuore; la reazione è decisa: «Je cun scalz da se lu schiaza | e po i dà ben fuart addues | e, come aves d’Ercul la maza | i sfrasella dug iu vues» [Ella con un calcio da sé lo scaccia e poi gli dà ben forte addosso, e, come avesse d’Ercole la mazza, gli sfracella tutte le ossa].
ChiudiBibliografia
Ms ACU, Bini, Nella monacazione di Maria figlia di s.e. Almorò Barbaro già provveditore generale in Palma nel 1747; Ivi, Sonetto allusivo al nome di Maria che lascia per prendere quello di Costanza.
F. FINETTI, Nell’ingres nel capitaniat di Gradischia dell’illustrissim sior baron Toni De Fin, in Raccolta di poetici componimenti latini, italiani e furlani estesi ad espressione del sommo ed universale giubilo, sparsi ed acclamati nel giorno che fu solennizzato il possesso del capitaniato di Gradisca ed Aquileia, clementissimamente conferito all’ill. sig. Antonio lib. bar. De Fin, signore di Chersano e Fiumicello ec., demissamente consagrata alla sacra regia maestà di Maria Teresa regina d’Ungheria e Boemia, arciduchessa d’Austria ec. ec. e contessa di Gradisca ec. ec., dagl’incliti stati della principata contea di Gradisca, Udine, Murero, 1744, 165-168.
L’egloga pastorale del 1744 è stata ristampata in «Pagine friulane», 2 (1889), 125; la seconda egloga e il sonetto in «Pagine friulane», 3 (1890), 85-87; questi due componimenti, con l’aggiunta di un terzo, sono stati pubblicati come inediti (e con notevoli sviste) da G. D’ARONCO, Tre componimenti friulani del ’700, «Ce fastu?», 61/2 (1985), 273-285; A. GALLAROTTI, Letteratura goriziana in friulano, Gorizia, Università della terza età, 2002, 38-43; PELLEGRINI, Ancora tra lingua e letteratura, 315-316, 435; R. PELLEGRINI, Letteratura friulana nel Goriziano fino al Settecento, in Cultura friulana nel goriziano, a cura di F. TASSIN, Gorizia/Udine, Istituto di Storia sociale e religiosa/Forum, 2003, 102-103.
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