FIOR ADALGISO

FIOR ADALGISO (1916 - 1978)

poeta

Immagine del soggetto

Il poeta Adalgiso Fior.

Nacque a Chiaulis di Verzegnis (Udine) il 6 novembre 1916 da Anselmo e Santa Caterina Frezza. Il padre, già denunciato e confinato per le idee socialiste, avrebbe trovato la morte nel primo conflitto mondiale. Dopo aver frequentato le scuole medie e superiori a Tolmezzo, nel 1937 F. conseguì a Udine il diploma magistrale. Sin dalla giovinezza si dedicò alla scrittura: è infatti del 1935 la commedia Il Gnàu, composta in collaborazione con il fratello Adelchi e rimasta inedita. Dopo alcuni anni di insegnamento a Moggio Udinese, la chiamata alle armi lo costrinse ad abbandonare la Facoltà di magistero. Durante la Resistenza divenne in un primo tempo comandante di battaglione, e in seguito gli fu affidata la direzione della stampa clandestina delle formazioni osovane (in particolare «Pai nestris fogolârs» e «Osoppo avanti!»); in quei frangenti videro la luce anche le canzoni partigiane in parte musicate dagli amici L. Vriz e F. Cimatti e confluite in Canti nella bufera (tre edizioni nel 1945). Trasferitosi a Milano nell’immediato dopoguerra, vi fondò uno dei primi Fogolârs furlans d’Italia; tra numerose difficoltà, trovò lavoro prima in fabbrica e poi nel settore della stampa, ma mantenne vivi i contatti con la terra d’origine e pubblicò nel 1954 un’ampia antologia di canti friulani con saggi di notazione musicale (Villotte e canti del Friuli). L’interesse per il canto popolare è peraltro alla base anche della pubblicazione dell’opuscolo 1866. Poesie, canti e villotte del Risorgimento italiano (Udine, 1966). Nel 1964 uscì la traduzione «in ladino carnico» del primo e del terzo canto dell’Inferno dantesco: «Propi a miec’ viac’ da nésta pôra vita / ’i mi cjatài tal fìss di un boscàt néri / par vïa ch’i pierdéi la strada drèta» [Proprio alla metà del viaggio della nostra povera vita mi trovai nel fitto di un bosco nero poiché smarrii la strada diritta]; se l’accostamento con l’originale a fronte permette di riconoscere la strategia traduttiva come abbassante, l’inclusione di alcuni toponomi di ambito locale (Cjàulas [Chiaulis], Giùi [Zuglio], Cividât [Cividale]) va in direzione esplicitamente burlesca. ... leggi Nell’anno successivo F. venne assunto dalla neocostituita regione autonoma e poté finalmente ritornare in Friuli. Morì a Udine il 2 settembre 1978. La raccolta delle sue opere più significative compare nel 1985 con il titolo La mê Cjargna, ed è completata da cenni biografici, note linguistiche, pagine critiche e infine da una ricca scheda bibliografica. Le composizioni letterarie di F. hanno trovato collocazione in riviste, settimanali, quotidiani, fogli e pubblicazioni di varia natura, come i periodici della Società filologica friulana, i «Quaderni della FACE» e «La Vita Cattolica», oltre che in sillogi e in volumi antologici. Con l’eccezione di pochi testi in italiano o nella koinè friulana, esse sono redatte prevalentemente nella variante di Verzegnis, i cui tratti conservativi, soprattutto per il risvolto lessicale, forniscono al linguista materiali stimolanti e vocaboli dal sapore forte: una caratterizzazione inequivocabile, che contribuisce a marcare i confini di un orizzonte già circoscritto da una onomastica e una toponomastica puntualmente connotate. Anche per questa ragione F. è stato definito «la voce più rappresentativa ed emblematica della Carnia», l’«ultimo poeta autenticamente popolare» (A. Ciceri), ma un’analisi dell’effettivo uso del lessico rivelerebbe una tendenza alla dismisura e un gusto dell’accumulo che denotano una sensibilità ingenuamente puristica. Ciò non toglie che i suoi versi appaiano concreti, innocenti, autentici, che i neologismi vengano riassorbiti senza fratture esplicite in una lingua fresca e viva, che nel tempo le inclinazioni rievocative e impressionistiche tendano a maturare in una lirica più pura (D’Aronco). Sul piano dei contenuti l’intensità degli affetti, la propensione alla meraviglia, l’estrosità del temperamento creano una poesia pensosa o vitalistica, viscerale e malinconica, panica o elegiaca, seppure talora debordante, nostalgica o ebbra di retorica: tuttavia con metafore e immagini immediate, quasi mai cerebrali: «O ce biél inscindalâsci / di chest mont cencia sunsûr / e savéi che domo l’aria / si è ’ndacuarta ch’a si mûr. // E murî cussì, tun stâli / con ch’a si à cjapât il sum / e no véi rancôrs di sorta / e no fâ sufrî nissun!» [Che bello andarsene da questo mondo senza rumore e sapere che soltanto l’aria si è accorta che si muore. E morire così, in uno stavolo, quando si è preso sonno, e non avere rancori di sorta, e non far soffrire nessuno] (Cencia sunsûr [Senza rumore]). L’indole romantica di F. traspare dal culto per la villotta, per il canto popolare, e dagli slanci sovente impetuosi (segnatamente nella poesia civile: Salvâ une vite, inno dei donatori di sangue), mentre le preferenze classiche lo conducono a privilegiare – e i sottintesi non sono soltanto formali e stilistici, ma anche teorici – gli schemi e le misure ordinate. Se è vero, come ha affermato ancora la Ciceri, che «nel quadro delle nostre lettere che in quest’ultimo trentennio hanno fatto il giro di boa da una posizione preminentemente impressionistica ad una generalmente espressionistica, a lui bisogna assegnare un posto di saldatura tra la nostra tradizione orale e quella culta», è altresì necessario riconoscere alcune tracce di anacronismo, tanto sul piano più strettamente letterario quanto su quello dell’immaginario e dei temi: «Monz e plan a’ son lâz in ombrene; / te lagune s’impîe un fugùt. / Vie pe vile a’ dan dongje la cene: / bonodôr di polente par dùt. // ’A nus grampe la malincunïe: / vîs e muarz a’ nus tòrnin tal cûr… / Un sclopón su la linde di Mie / ’nus ricuarde un afiét che nol mûr!» [Monti e pianura sono andati nell’ombra; nella laguna si accende un fuocherello. Nel paese preparano la cena: ovunque profumo di polenta. Ci coglie la malinconia: vivi e morti ci ritornano nel cuore… Un garofano sul ballatoio di Maria ci ricorda un affetto che non muore] (Friûl). Buona, nel complesso, la fortuna delle poesie, che a volte sono state accompagnate dalla musica fin dall’origine, e che in altri casi hanno stimolato la creatività di compositori come C. Chittaro, F. Cimatti, G. Lenardon, M. Macchi, C. Noliani, A. Perosa, T. Todero, P. Verzegnassi. A F. si devono infine, oltre ad alcune prose d’arte, numerose ricerche e studi dedicati soprattutto alle risorse naturali e ai problemi ambientali dell’area montana del Friuli, in particolare alle foreste e ai parchi.

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Bibliografia

G. FIOR, Canti della Valle di Verzegnis, Milano, Piccole edizioni Fior, 1965; ID., Casêras. Cjancionètas pai pastôrs di mont, Udine, AGF, 1968; ID., La mê Cjargna, a cura di A. CICERI, Udine, SFF, 1985.

DBF, 346; CHIURLO - CICERI, Antologia, 570-575; Mezzo secolo di cultura, 115-116; A. CICERI, Adalgiso Fior, «Sot la nape», 30/3-4 (1978), 60-65; Mezzo secolo di cultura Sup 2, 32; D’ARONCO, Nuova antologia, III, 153-159.

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