FLORIO DRAGONI LAVINIA

FLORIO DRAGONI LAVINIA (1745 - 1812)

intellettuale

Nacque a Udine nel 1745, non nel 1752, come invece riporta per prima (ma forse per un refuso) Valentina della Torre sulla base della documentazione conservata presso Alfredo Lazzarini. Il nonno Sebastiano Florio annota, infatti, su un libretto di famiglia su cui, a partire dal 1504 vari membri della famiglia registrano nascite, morti e matrimoni, alla data 14 settembre 1745 il battesimo di Lavinia Teresa, mentre il 19 luglio 1752 viene battezzata un’altra bambina, Anna Giulia. La F., figlia del poeta Daniele e della nobildonna Vittoria Valvason di Maniago, era sorella di Sebastiano (1741-1799), che proprio nelle lettere a lei rivolte manifestava un carattere meditativo che credeva di poter combattere con una vita attiva diventando cavaliere di Malta, lasciando poi l’ordine per tornare alla casa paterna, sposarsi e assumersi i diritti di primogenitura della casata. Fratello della F. fu pure l’erudito e bibliofilo Filippo (1751-1819), che si prese cura della biblioteca di casa Florio dopo la morte del padre Daniele, in corrispondenza, tra gli altri, con il padre vicentino Giovanni Tommaso Faccioli, autore della Chiese di Udine, opera che tra gli informatori ebbe lo stesso Filippo. La F. fu educata «fuori dalla casa paterna», come ella stessa afferma nel ritratto morale e intellettuale che traccia della madre Vittoria Valvason di Maniago, raffigurata come donna amante della cultura, in particolare delle discipline storiche, al centro di un suo circolo intellettuale. In una minuta, probabile inizio di un’autobiografia, la F. scrive: «Restai come pupilla fra le mani del migliore dei padri, ma dedicato agli ameni suoi studi non potè afluire, quanto la sua tenerezza desiderava, alla intiera educazione de’ suoi figli […]. Sortita dalla casa paterna dall’età di sei anni con pochi principi, fui affidata ad una rispettabile mia zia in un convento di religiose». Quasi certamente la F. fu educata nel monastero di S. Nicolò dove era monaca Maddalena Florio, zia del padre Daniele, il quale, sostenitore in sede teorica della necessità di curare personalmente la formazione dei figli, comunque la rese partecipe dei suoi interessi culturali che spaziavano dai classici latini e greci alla letteratura contemporanea, alla storia politica e naturale, alla teologia. ... leggi La stessa L. scrive in un elogio steso alla morte del padre e rimasto manoscritto: «Che dacché appresi a poterlo un po’ pregiare non mi occultò né i bei pensieri della sua mente né i sublimi slanci della sua immaginazione né i più grati ed intimi sentimenti del suo animo, ché chiamò egli sovente la mia voce a ripeter e la mia mano a trascriver ciò che le Muse gl’inspiravano». La F. si sposò nel 1766, per scelta di tutta la «fraterna compagnia» di casa Florio, con il conte Antonio Dragoni nell’«oratorio domestico» della villa di Persereano con una cerimonia privata, poiché erano «infermi» due fratelli del padre, Filippo cavaliere di Malta e il canonico Francesco. La F. nella casa del marito aprì un salotto tra i più noti della Udine di fine Settecento e inizi Ottocento, frequentato dall’aristocrazia colta e dai principali intellettuali del periodo, come Antonio Bartolini, Carlo de Rubeis, Giuseppe Greatti, Giovanni Battista Flamia, Antonio Liruti, Quirico Viviani, aperto alla cultura francese, all’illuminismo, alle esperienze contemporanee, in particolare a quanto proponeva Cesarotti, con cui la F. fu in corrispondenza. Il voluminoso carteggio della nobildonna, soltanto parzialmente edito, permette di cogliere la sua sensibilità e cultura raffinata e aggiornata, assumendo anche il valore di documento dell’ambiente udinese. Nelle lettere con i fratelli, che le raccontano i loro viaggi in Italia, si mettono in luce – carattere comune a questa generazione dei Florio – l’amore per la contemplazione della natura e per il gusto dell’antico, per la classicità greca e romana (di cui L. aveva visto esempi di scultura in copia nella gipsoteca di palazzo Farsetti a Venezia, invidiando il fratello Filippo che aveva potuto ammirare alcuni degli originali a Roma al Museo Capitolino), la predilezione, tra gli autori stranieri, per la poesia di James Thomson («sublimi e nobili pensieri del sig. Tompson»), probabilmente letto in traduzione francese. La corrispondenza con gli intellettuali che facevano capo al suo salotto permette di illustrare diversi atteggiamenti del mondo aristocratico e borghese di fronte alla caduta della Repubblica e ai nuovi assetti politici. Nonostante la simpatia per l’illuminismo, la F. reagì con preoccupazione alle notizie della rivoluzione francese, condannandone gli eccessi. Nel 1797, all’arrivo dei francesi, pur mantenendo i rapporti sia con il moderato Flamia sia con il “giacobino” Greatti, la nobildonna lasciò Udine per ritirarsi in campagna nella villa dei Dragoni di Lovaria, seguendo da lì le vicende della caduta della Repubblica Veneta e del nuovo governo austriaco. Dopo la pace di Presburgo accolse invece con favore il Regno d’Italia napoleonico, rassicurata dalle prospettive di pace, stabilendo ottimi rapporti con il vicerè Eugenio Beauharnais, con il generale Marmont, con il mondo dei notabili napoleonici e riaprendo il suo salotto udinese. Morì a Udine nel 1812, ricordata nei versi del Viviani per la sua garbata cultura, tanto che, egli scrive, da lei «parole uscian di sapienza ornate». In precedenza, nel 1805 il Greatti le aveva rivolto l’Epistola a Temira (Temira è il nome arcadico con cui, come spiegano gli editori, è indicata la F.), opera consolatoria per la morte, avvenuta nel 1804, del marito Antonio Dragoni (Filinto). I versi, pubblicati anonimi, avevano indotto il Valentinelli a credere che «l’autore mons. Antonio Dragoni intende di confortare per la morte del marito Nicolò». Oltre alla corrispondenza, che ha suscitato interesse anche sotto il profilo linguistico per un’analisi dell’influsso che il francese esercitò nel Settecento in una zona marginale come il Friuli, la F. ha lasciato alcuni scritti. Cesarotti attribuì a lei un pamphlet in versi, pubblicato anonimo dall’Andreola in pochi esemplari, A Mr. Chateaubriand, Sur ce qu’il a dit de Venise dans sa lettere imprimée, in cui la nobildonna ironizza con garbo su una battuta di Chateaubriand contro Venezia, unendosi alla contessa Renier Michiel e alla marchesa Romagnoli Sacrati. Nel 1902 uscì postuma su «Pagine friulane» una sua memoria, conservata dal Lazzarini, sulla chiusura del monastero di S. Lucia a seguito delle leggi napoleoniche e sul trasferimento delle monache a quello di S. Chiara, salvato per la sua funzione educativa e scelto come quello in cui concentrare le monache del distretto. La F., che era tra le sette dame che a S. Chiara dovevano accogliere le suore, tra cui una sua figlia, mentre un’altra (Eleonora con il nome di Maria Agostina) era già clarissa, lamenta come nel «turbine» del momento venissero sacrificate due diverse spiritualità, costrette a unificarsi per ragioni del tutto esterne.

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Bibliografia

ASU, Florio, 291, Quadernetto di note (1504-1836), f. 52v (battesimo di Lavinia F.), f. 54r (battesimo di Anna Giulia F.), 59r (matrimonio di Lavinia F. e Antonio Dragoni). La corrispondenza di Lavinia Florio Dragoni ivi, Caimo, 71, 73, 77 (contenente anche fogli volanti di scritti vari, tra cui un inizio di autobiografia e un elogio del padre Daniele, s.d.), 78, 93; ivi, Florio, 42; Persereano, Archivio Florio, 226.3 e 4.

ms BCU, Principale, 875.18, L. Florio Dragoni, Memorie di Vittoria Florio nata Valvason (con all. lettera alla sorella Argentina Florio in Gabrielli, 25 settembre 1809).

[G. GREATTI], Epistola a Temira, Udine, Fratelli Pecile, 1805; Q. VIVIANI, In memoria della desideratissima donna Lavinia Florio Dragoni udinese. Versi, Udine, Pecile, 1813; VALENTINELLI, Bibliografia, 346, n. 2567; L. FLORIO DRAGONI, La traslazione delle suore francescane dal convento di S. Lucia a quello di S. Chiara (25 settembre 1806), «Pagine friulane», 14 (1902), 145-147; V. DELLA TORRE, Il salotto della contessa Lavinia Dragoni Florio, «MSF», 27-29 (1931-33), 1-54; G. FAGIOLI VERCELLONE, Florio, Lavinia, in DBI, 48 (1997), 377-379; E. MALAKIS, Another feminine answer to Chateaubriand’s slighting remarks made about Venice in 1806, «Modern language notes», (1935), 243-248; L. NARDIN, Su alcuni francesismi attestati in Friuli alla fine del Settecento, «Ce fastu?», 73/1 (1997), 39-53; L. CARGNELUTTI, Momenti di storia della società udinese, in Dopo Campo Formio. 1797-1813. L’età napoleonica a Udine, a cura di T. RIBEZZI, Pordenone, Edizioni Biblioteca dell’Immagine, 115-121; P. PASTRES, A tavola con Canova: Gio. Batta Flamia scrive a Lavinia Dragoni Florio, «MSF», 80 (2000), 219-222; F. DI BRAZZÀ, La corrispondenza epistolare tra Melchiorre Cesarotti e Lavinia Florio Dragoni, «Studi Veneziani», 55 (2008), 391-478.

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