Nacque a San Daniele del Friuli il 30 ottobre 1666, figlio di Francesco e di Ludovica Manzoni di Sacile. Iniziò gli studi presso la scuola pubblica del suo paese natale sotto la guida di Giambattista Mozzi e di Giulio Ligio, originario di Urbino; si trasferì quindi nel collegio dei gesuiti di Gorizia dove rimase qualche anno senza ottenere grandi progressi e anzi sviluppando quell’ostilità verso la Compagnia di Gesù che avrebbe conservato per tutta la vita. In questo periodo curò in maniera autonoma i suoi interessi, dedicandosi alle scienze umane, filosofiche e naturali, appassionandosi in particolare alla lettura delle opere del medico e naturalista Francesco Redi fautore del metodo sperimentale. Dopo gli studi goriziani lasciò il Friuli per frequentare l’Università di Padova dove si laureò in legge. Il 23 dicembre 1690 a Venezia fu ordinato sacerdote dal patriarca di Aquileia Giovanni Dolfin e nella città lagunare ottenne l’incarico di bibliotecario e precettore in casa della famiglia patrizia dei Moro. Qui, oltre a mantenere intensi rapporti epistolari con le maggiori personalità del Friuli, ebbe modo di entrare in relazione con il medico modenese Iacopo Grandi e con il generale della Serenissima in Candia Bartolomeo Grimaldi, entrambi possessori di splendide biblioteche, ma soprattutto conobbe e frequentò l’erudito veneziano Apostolo Zeno, fondatore nel 1710 del «Giornale de’ letterati d’Italia» al quale collaborò lo stesso F. Nel 1695 tornò in Friuli per cercare documenti sulla sua terra e visitò San Daniele, Gorizia e Colloredo di Monte Albano accompagnato dal conte Fabrizio di Colloredo, fratello del cardinale Leandro, bibliotecario della Valliceliana, e parente del poeta Ermes. Durante questo viaggio conobbe lo storico e archeologo cividalese Filippo della Torre, auditore a Ferrara del cardinale Giuseppe Renato Imperiali, noto personaggio della corte romana. ... leggi I due si incontrarono nuovamente nel 1697 a Ferrara e in questa occasione il della Torre lo invitò a recarsi a Roma offrendogli la sua protezione e alcune lettere di presentazione. In questo periodo il F. portò a termine e pubblicò il suo primo lavoro di carattere erudito, una dissertazione in forma di lettera indirizzata al cividalese Gerolamo de’ Puppi sulle forme della servitù medievale intitolata Le Masnade e gli altri servi presso i Longobardi (Venezia, Albrizzi, 1698) che fece leggere manoscritta allo Zeno ottenendone l’approvazione e l’appoggio per la stampa; all’interno dell’opera era inserita anche una breve trattazione sulla numismatica friulana intitolata Della marca di denari ad uso del Friuli. Nell’estate del 1697 il F. giunse nella città papale dove trovò immediato impiego come prefetto della biblioteca dell’Imperiali. Diversi anni più tardi l’erudito friulano avrebbe dato alle stampe il catalogo di questa ricca collezione libraria con il titolo Bibliothecae cardinalis Imperialis catalogus (Roma, Gonzaga, 1711), realizzando, come scrive Alfredo Serrai, il «più elaborato dei cataloghi a stampa di una biblioteca» del secolo XVIII. Questo imponente repertorio, infatti, realizzato in oltre nove anni di lavoro e preso a modello dai bibliografi stranieri, forniva la descrizione bibliografica accurata di circa trentamila edizioni e per la prima volta elencava tutti i contributi presenti nelle opere miscellanee, segnalando anche le componenti paratestuali. Nei suoi primi anni romani, l’erudito friulano si dedicò all’approfondimento della lingua greca, dell’archeologia e della storia ecclesiastica e partecipò alle riunioni quindicinali dell’Accademia di Propaganda Fide frequentata da cardinali e prelati, presentando almeno nove discorsi su svariati argomenti che, come altri suoi scritti, vennero pubblicati postumi dal nipote Domenico Fontanini. Il F. allargò così il cerchio delle sue amicizie entrando in contatto con eminenti personaggi della curia romana come il cardinale Enrico Noris, bibliotecario della Vaticana fra 1700 e 1704; Lorenzo Zuccagna, bibliotecario del cardinal Girolamo Casanate possessore di una notevole raccolta libraria; e il cardinale Giuseppe Maria Tommasi. Nel 1699, attraverso lo Zeno, aveva conosciuto anche Ludovico Antonio Muratori che a inizio Settecento aveva dato vita al progetto di una “Repubblica letteraria” intesa come suprema accademia delle lettere italiane, proponendone la reggenza prima a Francesco Bianchini e quindi a Giovanni Maria Lancisi, Domenico Passionei e al F. Già nel 1705 l’idea muratoriana era stata abbandonata, ma la collaborazione tra il Muratori e l’erudito friulano proseguì ancora per qualche anno, come dimostrano cinquantacinque lettere conservate nell’epistolario del grande storiografo modenese. Il prestigio del F. aumentò con la pubblicazione de L’Aminta di Torquato Tasso difeso e illustrato (Roma, Zenobi e Placo, 1700) che ottenne l’apprezzamento di Bernard de Montfaucon, giunto a Roma in quello stesso anno, e le lodi del Tommasi; si trattava della pubblicazione del testo dell’Aminta collazionato sull’autografo conservato a Ferrara con l’aggiunta di un appassionato discorso in quindici capitoli contro le osservazioni critiche che il duca di Telese Bartolomeo Ceva Grimaldi aveva mosso all’opera tassiana. Nel corso della trattazione il F. inserì un giudizio di Ciro di Pers sulla lingua del Tasso, approfittando dell’occasione per fare un breve cenno alla vita e all’attività letteraria del poeta friulano. A Roma, dunque, il F. conquistò via via la stima generale e importanti incarichi: nel 1704 ottenne dal papa Clemente XI la cattedra di eloquenza presso la Sapienza, e la sua prolusione accademica De usu et praestantia bonarum litterarum oratio, letta il 12 novembre e stampata nello stesso anno (Roma, Gonzaga, 1704) ricevette il giudizio positivo del filosofo francese Pierre Bayle. Un incontro fondamentale per la vita del F. fu senza dubbio quello con il giovane Domenico Passionei conte di Fossombrone e futuro cardinale. A partire dai primissimi anni del Settecento, l’erudito friulano istruì il Passionei in dogmatica e storia ecclesiastica introducendolo nel mondo dei libri e dei letterati, grazie anche ai numerosi contatti che aveva con gli studiosi e i circoli eruditi europei: sappiamo tra l’altro che era in relazione con i maurini di Parigi come si evince da alcuni riferimenti contenuti nel Diarium Italicum di Montfaucon (Parigi, Anisson, 1702). In quest’opera compare anche una breve nota del F. sul trasporto da Cividale a Venezia dell’antico codice contenente il Vangelo di san Marco De translatione codicis Evangelii s. Marci ex Foro Julio Venetias in cui viene dimostrata l’originaria unità di questo manoscritto veneziano con altri tre vangeli sinottici conservati nella città ducale. Intorno al 1704 il conte di Fossombrone, con il pieno sostegno del suo maestro, aveva dato vita nella propria abitazione ad una specie di accademia chiamata “circolo del Tamburo” che nasceva con l’intenzione di risvegliare l’ambiente romano dove, come scrisse il F. al suo discepolo, non vi erano che «rari nantes». Il circolo del Tamburo risentì fortemente dell’influenza dei benedettini di S. Mauro «di quello spirito della prova diretta sui documenti, di quel bisogno di intelligenza critica, e quindi di quell’animus di tolleranza scientifica, che ne formano i tratti salienti»: durante le riunioni venivano scambiati libri, notizie erudite e quesiti filologici, si tessevano sottili relazioni religiose per cercare intese con i dissidenti della Chiesa di Utrecht o con il clero giansenistico, e si mettevano a punto testi eruditi in difesa di Jean Mabillon e Benedetto Bacchini. Importante testimonianza del rapporto tra il F. e il Passionei è l’epistolario, sostanzialmente inedito, conservato parte in un volume manoscritto della Biblioteca Corsiniana e parte in un codice della Vaticana. Il fitto carteggio di natura spesso esclusivamente libraria e bibliografica, illustra fedelmente gli interessi del F., le sue occupazioni preferite, le sue curiosità, facendo emergere tra l’altro una caratteristica peculiare della sua personalità quella di raccoglitore di rarità librarie spesso giocata in competizione con lo stesso Passionei. In alcune lettere si legge inoltre degli sforzi attuati per far conoscere ed apprezzare i suoi lavori scientifici negli ambienti internazionali e in quelli francesi in particolare, cercando con insistenza di ottenere critiche favorevoli dai giornali d’oltralpe. Forte fu il disappunto di F. per essere stato ignorato dalla stampa francese in occasione della polemica col gesuita Barthélemy Germon. Nel 1705, infatti, il F., spinto da una segnalazione del Passionei, entrò nel dibattito sulla diplomatica del Mabillon, attaccando il De veteris regum Francorum diplomatibus et arte secernendi antiqua diplomata vera a falsis, disceptatio II, ad r.p.d. Joannem Mabillonium disceptatio (Parigi, Anisson, 1703) di Germon nel quale si dava voce alle tesi che i gesuiti francesi avevano elaborato contro il primo e fondamentale trattato di scienza diplomatica il De re diplomatica libri IV, di Mabillon (Parigi, Coignard & Billaine, 1681). A questo attacco il celebre benedettino aveva preparato una risposta componendo il De re diplomatica supplementum (Parigi, Robustel, 1704), nel quale basandosi sullo studio dei diplomi stabiliva tutta la cronologia della dinastia Merovingia. Il F. ignorando questa iniziativa preparò per proprio conto una puntigliosa difesa intitolata Vindicae antiquorum diplomatum contra Bartholomaeum Germonium (Roma, Gonzaga, 1705) che suscitò grandi consensi e la riconoscenza e l’elogio dello stesso Mabillon. Si trattò certamente di una delle più importanti opere di erudizione elaborate dallo studioso friulano nel periodo romano. Altre dispute di carattere erudito che ebbero ampia risonanza e videro il F. impegnato in prima linea furono quelle intraprese a sostegno delle prerogative della Chiesa nella cosiddetta questione di Comacchio e in quella relativa al ducato di Parma e Piacenza, esplosi in seguito alla guerra di successione spagnola. Due questioni a sfondo politico che provocarono la rottura dei rapporti tra il dotto friulano e Ludovico Antonio Muratori. Clemente XI, infatti, gli aveva affidato il compito di elaborare uno studio nel quale emergessero con chiarezza i diritti della Santa Sede sui territori comacchiesi e in breve tempo il F. compose Il dominio temporale della Sede Apostolica (Roma, [Gonzaga], 1709), un testo corposo scritto in forma epistolare che ebbe vasta risonanza e un’ottima accoglienza da parte della corte romana, ma che scatenò anche forti opposizioni e una lunga controversia con il Muratori. L’erudito friulano dopo un brillante inizio era stato messo alle strette dalle argomentazioni muratoriane e aveva tentato, senza successo, di spostare l’ambito del confronto dal piano storico-diplomatico a quello dogmatico-religioso, giungendo, infine, esasperato, allo scontro personale che divenne sempre più aspro col passare del tempo. La questione di Comacchio si risolse a favore della Chiesa solo nel 1723-24, grazie al lavoro delle cancellerie europee e alla paziente mediazione del nunzio straordinario presso l’imperatore. Tuttavia il pontefice ricompensò ugualmente il F. per l’impegno dimostrato nella difesa della Sede Apostolica e per il ruolo che seppe conquistarsi a Roma come fine erudito: lo nominò cameriere d’onore e gli assegnò una pensione mensile di 45 scudi, offrendogli anche un lussuoso appartamento nel palazzo apostolico. Nel 1717, inoltre, lo investì della carica di abate commendatario di Sesto al Reghena, beneficio che mantenne fino alla morte. Dopo la scomparsa di Clemente XI, avvenuta il 19 marzo 1721, le fortune del F. mutarono con la salita al soglio pontificio di Innocenzo XIII che si dimostrò poco favorevole nei suoi confronti tanto da privarlo dei privilegi attribuitigli dal predecessore ed imporgli di lasciare l’appartamento che abitava nel palazzo apostolico. Il F. protestò fermamente rivendicando di aver svolto un servizio da tutti giudicato indispensabile, ma le lamentele non sortirono alcun effetto e il friulano si trovò a fronteggiare profonde divergenze di opinione e contrasti con il pontefice. Maggior fortuna gli arrise con il successore, Benedetto XIII, da tempo suo estimatore: appena salì al soglio di Pietro, il 29 maggio 1724, lo accolse nuovamente tra i suoi camerieri d’onore, assegnandogli un appartamento al Quirinale, nominandolo abbreviatore apostolico e consacrandolo personalmente arcivescovo in partibus di Ancira (23 agosto 1725). Gli accordò prebende e pensioni e l’8 gennaio 1727 gli assegnò un canonicato a S. Maria Maggiore. Sembrava così consolidarsi la sua posizione all’interno della curia romana, ma la situazione mutò ancora una volta con l’elezione di papa Clemente XII avvenuta il 12 luglio 1730: il F. si ritrovò al centro di forti opposizioni personali con il nuovo papa che non condivideva pienamente le simpatie di Benedetto XIII, tanto da esonerarlo da ogni ufficio tranne quello di abbreviatore. Per il F. fu il crollo dei sogni di carriera, compresa l’aspirazione al cappello cardinalizio; con amarezza si ritirò nella biblioteca Imperiali, rifiutando qualsiasi altro nuovo incarico. L’opera che rese celebre il F. fu senza dubbio la pubblicazione Della eloquenza italiana. Nel 1706 uscì a Roma presso l’editore Gonzaga un primo componimento in forma di lettera indirizzato al marchese Giangiuseppe Orsi, che prendeva in esame la formazione e l’evoluzione della lingua italiana, offrendo anche un catalogo distinto in quattordici classi che raccoglieva le migliori opere scritte in italiano nelle diverse materie e discipline senza l’aggiunta di valutazioni critiche; completavano il lavoro una tavola delle classi e l’indice alfabetico degli autori nominati all’interno del catalogo. Questo primo progetto di erudizione letteraria fu in seguito a più riprese ampliato sia nella parte storico-letteraria sia in quella bibliografica. Una seconda edizione uscì nel 1724 con l’aggiunta di due repertori: la Biblioteca ecclesiastica del p. Mabillon e il Catalogo de’ principali storici di Langlet di Fresnoy (Cesena, Gherardi), mentre nel 1726 fu pubblicata la terza edizione accresciuta e divisa in due libri: il primo dedicato all’origine della lingua italiana e il secondo al catalogo degli scrittori (Roma, Mainardi). Durante la stampa di questa versione, il F. ritardò nella consegna degli aggiornamenti promessi e l’editore coadiuvato da un non meglio precisato gruppo di eruditi, pubblicò l’opera senza l’autorizzazione dell’autore che dal canto suo si impegnò a mettere a punto una nuova edizione più estesa e rigorosa. Dopo due ristampe uscite nel 1727 a Venezia e nel 1732 a Lucca, nel 1736 vide la luce un’edizione ampliata e curata dal F. alla cui stesura si era dedicato anche negli ultimi anni di vita. Stampata a Roma dall’editore Bernabò con il concorso del nipote Domenico, la nuova edizione era divisa in tre libri: nel primo, dopo la lettera al marchese Orsi, veniva ripercorsa la storia delle origini e degli sviluppi delle lingue romanze; il secondo libro era dedicato ai primi scrittori italiani con un lungo discorso su Dante Alighieri; mentre nel terzo si prendeva in considerazione lo sviluppo della lingua italiana segnatamente all’eloquenza sacra per poi passare ad analizzare l’opera del Fortunio con l’intento di fissare le regole della grammatica volgare. Infine era presente il catalogo degli autori italiani corredato di abbondanti note di carattere bibliografico. Tra le mancanze si segnalava ancora l’assenza di alcuni autori e di alcune edizioni, mentre i giudizi spesso troppo severi alimentarono aspre critiche e reazioni nel mondo intellettuale del tempo. Nonostante questi difetti l’opera fu molto richiesta e già l’anno seguente venne ristampata a Venezia da Cristoforo Zane. Il Della eloquenza italiana era fondato principalmente sull’elaborazione del catalogo delle biblioteche Imperiali e Passionei, giovandosi anche delle preziose segnalazioni e dei suggerimenti di Apostolo Zeno dei quali il F. si avvalse largamente senza farne menzione alcuna. Fu questa probabilmente la causa del risentimento del dotto veneziano che nel 1753 con l’aiuto di Marco Forcellini ristampò la parte bibliografica del testo fontaniniano con numerose aggiunte, correzioni e critiche sotto il titolo di La biblioteca dell’eloquenza italiana di mons. Giusto Fontanini con le annotazioni del sig. Apostolo Zeno (Venezia, Paquali). Con tutti i suoi limiti l’opera del F. rappresentò il primo passo verso una sistemazione organica della storia letteraria italiana. Accanto ai lavori di erudizione biografica e religiosa, pareri e difese, erudizione storico-diplomatica, archeologica, letteraria e bibliografica, bisogna ricordare anche gli scritti del F. dedicati al Friuli, la sua terra che non aveva mai dimenticato come dimostrano i numerosi richiami a fatti o persone friulane sparsi nelle sue opere. In più occasioni si avvalse anche della conoscenza della lingua friulana, non solo per raffronti storico-giuridici, ma anche per determinare l’origine di alcune forme toponomastiche. Infatti, nel suo commento su santa Colomba del 1726 (Di santa Colomba vergine sacra della città di Aquileia in tempo del pontefice di san Leone Magno e d’Attila re degli Unni) il F. prendendo le mosse dall’Itinerarium di Venanzio Fortunato stabilì la corretta derivazione del toponimo Osoppo, anticipando in qualche modo gli studi di dialettologia che presero avvio nella seconda metà dell’Ottocento con i lavori di Graziadio Isaia Ascoli, Giovanni Flechia e Carlo Salvioni. Per il F. il Friuli non rappresentava solamente la sua patria, ma anche un luogo di grande interesse storico, come dimostra la continua e instancabile ricerca di documenti storici friulani. Egli stesso ricorda di essere entrato in possesso di undici volumi degli Spolia Pitiana allestiti dal sandanielese Giovanni Battista Pittiani e contenenti preziosi documenti ufficiali ed atti notarili databili tra XII e XIV secolo; inoltre più di una trentina di manoscritti fontaniniani, oggi alla Guarneriana, raccolgono antichi testi storici e letterari sul Friuli: documenti notarili, scritture giuridiche, iscrizioni, appunti storico-geografici e alberi genealogici. Il F. aveva intenzione di dar vita a un lavoro organico sulla storia friulana e senza dubbio, nella prima metà del Settecento, nessuno meglio di lui avrebbe potuto portare a termine una simile impresa che purtroppo però non vide mai la luce. Alla storia del Friuli dedicò comunque diverse opere importanti, come il menzionato commento su santa Colomba e l’Historiae literariae Aquileiensis libri V, uscita postuma nel 1742. Fu uno scrittore molto prolifico e tra testi editi ed inediti si contano almeno settantasette titoli, ma probabilmente nell’elenco mancano alcuni contributi presentati durante le riunioni delle diverse accademie romane a cui il F. prese parte. Ammalato di spasmi nervosi fin dal 1732 e curato malamente da due medici napoletani, che gli diagnosticarono un «vizio nel sugo nerveo ed offesa di muscoli nel loro principio, con indebolimento degli spiriti animali» e gli prescrissero una cura a base di cacao, il F. si aggravò nel 1733 per una parziale paralisi che non gli impedì tuttavia di continuare a lavorare. Tre anni più tardi un attacco di apoplessia lo condusse alla morte il 17 aprile 1736 e fu sepolto a S. Maria Maggiore a Roma sotto una lastra di marmo con una iscrizione dettata dallo stesso F. (IUSTUS FONTANINUS EX FOROIULIO VENETORUM HUIUS AEDIS CANONICUS ARCHIEPISCOPUS ANCYRANUS ET ABBREVIATOR SACRI PALATII H. S. E. QUEVIT IN PACE FIDEI CATHOLICAE ANNO SALUTIS MDCCXXXVI DIE XII MENSIS APRILIS. NATUS ANNO MDCLXVI DIE XXX OCTOBRIS), lapide che venne rimossa durante successivi lavori di trasformazione dell’edificio. La notizia della morte si diffuse rapidamente in Italia e in Europa e numerose lettere di cordoglio giunsero al nipote Domenico, il quale le pubblicò nella biografia sullo zio data alle stampe a Venezia nel 1755. Il F. rappresentò una personalità di spicco della Roma del Settecento, attivo protagonista del dibattito storiografico e punto di riferimento per gli eruditi dell’intera Europa. Certamente il bibliofilo friulano fu anche una guida e un prezioso informatore per molti intellettuali friulani del tempo: sappiamo, ad esempio, che fu il primo personaggio visitato da Giuseppe Bini quando il giovane sacerdote nell’aprile 1714 si recò a Roma per accompagnare il conte Filippo Colloredo, portandogli in dono alcuni documenti friulani. Molto significative furono anche le indicazioni storico-antiquarie fornite dal F. per indirizzare le ricerche di Gian Domenico Bertoli impegnato nella riscoperta di Aquileia di cui abbiamo conferma in alcune lettere contenute nel vastissimo epistolario bertoliano. D’altro canto il F. fu anche un formidabile raccoglitore di reperti manoscritti e marmorei che si andavano riscoprendo: Marco Foscarini, all’epoca bibliotecario della Marciana lo definì «uno dei più fortunati incettatori d’antichi documenti», una raccolta spesso attuata con metodi discutibili come sembra emergere dalle lettere del Bini, del Bertoli e del Muratori. Nel corso del 1717, in occasione della nomina ad abate commendatario di Sesto al Reghena, il F. ritornò in Friuli e si fermò in regione per sei mesi; qui conobbe Gian Giuseppe Liruti con il quale discusse del manoscritto di Giuseppe Sporeno sul Friuli, che lo storico di Villafredda avrebbe pubblicato diversi anni più tardi. Lo stesso Liruti scrisse che il F. frequentava le località ricche di antichità ed archivi importanti «a solo motivo di raccogliere e di arricchirsi di monumenti e carte antiche, come pur troppo gli riuscì, [anche] concorrendo ciecamente ognuno a gara a fargli piacere». Accadeva cioè che conoscendo la passione dell’illustre conterraneo molti gli regalassero o gli cedessero senza pensarci troppo, antiche carte e diplomi. Una parte cospicua dei documenti antichi che il F. aveva collezionato nel corso della vita, solo in parte rendendoli poi pubblici nelle sue opere, vennero sequestrati dalla Repubblica di Venezia mentre erano in transito da Roma verso la comunità di San Daniele, a cui l’erudito friulano li aveva destinati con il suo importante testamento del 1734. Il nipote Domenico nelle vesti di esecutore testamentario aveva, infatti, cercato di risparmiare sulle spese di trasporto della biblioteca, affidandosi alle cure dell’oratore veneziano presso la Santa Sede, Alvise IV Mocenigo che sequestrò per conto della Serenissima parte del materiale, soprattutto i documenti potenzialmente pericolosi per gli interessi dello Stato, quelli riguardanti i diritti sul patriarcato di Aquileia, a cui il F. aveva dedicato tanta attenzione. Oggi settecentoquaranta titoli riuniti in cinquantotto volumi del lascito F. sono conservati tra l’Archivio di stato e la Biblioteca Marciana di Venezia e insieme ai sessantasei manoscritti fontaniniani posseduti dalla Guarneriana (cioè quelli non sequestrati) rappresentano il nucleo principale del patrimonio documentario raccolto dal F. Esistono tuttavia altri fondi minori attualmente conservati alla Biblioteca nazionale di Vienna, alla Capitolare e alla Biblioteca Civica di Udine, alla Capitolare di Trieste e in collezioni private. Con il testamento redatto nel 1734 e pubblicato a Udine nel 1775, il F. donava alla città natale tutta la sua ricca biblioteca manoscritta e a stampa comprendente anche una preziosa collezione di bibliografie e di cataloghi di biblioteche, che ben poche grandi istituzioni allora possedevano. Il lascito venne però vincolato all’apertura di una pubblica «Libraria» e fu l’occasione perché, secondo l’auspicio del F., in uno stesso luogo fossero finalmente messi a disposizione di tutti anche i preziosi codici che nel 1466 Guarnerio d’Artegna aveva donato allo stesso scopo alla città di San Daniele e che da allora erano rimasti chiusi nelle casse. La Biblioteca Guarneriana venne aperta nel 1743, dopo il cospicuo impegno del comune di San Daniele per predisporre nei nuovi locali del Palazzo comunale una sede degna ad accogliere quel patrimonio. Per l’occasione venne realizzato, su progetto dei fratelli Andrioli di Valvasone, un accurato esempio di arredamento bibliotecario sei-settecentesco con alte scaffalature di legno accostate alle pareti e chiuse da “ramate”, mentre una balconata consentiva un comodo accesso ai libri collocati sui ripiani più alti. Nel 1758 venne nominato il primo vero bibliotecario, l’abate Gian Domenico Coluta, a cui fu assegnato uno stipendio di 20 ducati annui, con l’impegno di tenere aperta la libreria per tre giorni alla settimana.
ChiudiBibliografia
I nuclei principali dei manoscritti e dei documenti di Giusto Fontanini sono conservati presso la BGSD, la BNMV, l’ASV e la Biblioteca capitolare di Udine; la corrispondenza tra il Fontanini e il Passionei è conservata presso la Biblioteca Corsiniana di Roma, Ms Cors., 1622 (55 lettere) e presso la BAV, Vat. Lat., 8130, f. 1-81 (40 lettere); documenti si trovano anche a Udine presso la BCU, BAU e la BBU, a Vienna presso la Biblioteca Nazionale e in collezioni private.
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