Nacque a Venezia nel 1409 da Antonio e da Beruzia di Federigo Giustinian e si formò negli anni giovanili nell’ambiente di Bernardo Giustinian, Bernardo Bembo, Daniele Vitturi, Domenico Barbarigo e Pietro Del Monte, ricordati nel suo epistolario. Seguì presso l’Università di Padova dapprima gli studi filosofici (l’averroista Paolo Nicoletti, meglio noto come Paolo Veneto, promosse la sua licenza il 27 gennaio 1429), poi quelli giuridici, addottorandosi il 24 agosto 1434. Nel 1430 sposò Elisabetta Zane, figlia di Andrea. Assunse molto presto cariche importanti sia tra le magistrature cittadine sia fra quelle in terraferma (nel 1438 podestà di Ravenna, nel 1439-40 podestà e capitano di Feltre, nel 1451-52 podestà di Verona, nel 1453-54 di Brescia, nel 1456-57 capitano di Verona); inviato come ambasciatore, conseguì nelle missioni più difficili risultati opposti: il pieno successo in quelle a Bologna nel 1445-46 e a Firenze nel 1448-49 contrastò col netto insuccesso in quelle a Milano nel 1446-47 e a Genova nel 1449-50. Rientrò a Venezia dopo il fallimento della dieta di Mantova, cui aveva partecipato nel 1459, e fu al centro di una reazione degli avversari politici che gli costò l’interdizione per due anni da ogni ambasceria, ma non da ulteriori incarichi di responsabilità. Eletto più volte nel consiglio dei Dieci, avogador nel 1455-56 e nel 1460, luogotenente in Friuli nel 1461-62, dove perseguì la sua politica ostile alla proliferazione delle comunità ebraiche; nominato di nuovo avogador nel 1463, fu costretto a recarsi a Roma per trattare con Pio II il delicato problema delle intese per la crociata contro gli infedeli, naufragata per la morte del papa nell’agosto del 1464. Il F. concluse i suoi impegni in terraferma nel 1466-67 con la nomina di podestà a Padova; tra il 1471 e il 1474 fu chiamato a ricoprire altre cariche cittadine e ottenne, fra l’altro, la dignità di procuratore di S. Marco precedentemente negata. ... leggi In seguito, per motivi di salute, dovette diradare la sua partecipazione alla attività politica. Testò il 17 giugno 1478 con la preoccupazione di salvaguardare non solo il mantenimento delle figlie ancora nubili, ma anche il destino della sua biblioteca che, in vita, gli aveva procurato molta gioia e gradito sostegno. Morì nella città natale il 17 agosto 1480. Umanista nel senso più lato del termine, mecenate, promotore culturale e corrispondente di letterati di chiara fama (fra gli altri Damiano Borghi, Aleandro Pindemonte e Isotta Nogarola), ai quali si legò saldamente durante i soggiorni nelle città in cui ricoprì incarichi annuali, lasciò un segno maturo del suo pensiero nell’ampio epistolario, documento storico di grande rilievo dal quale filtrano nomi e avvenimenti, testimonianze della politica veneziana interna ed esterna, opinioni e atteggiamenti personali di fronte a episodi significativi di molti decenni del Quattrocento. Convinto assertore della funzione etico-pedagogica della storiografia, il F. dopo la dieta di Mantova sostenne il progetto di elaborare una storia di Venezia dalle origini, sia per celebrare degnamente il millenario di fondazione della città (che l’umanista Biondo Flavio poneva nel 456), sia per esaltarne la politica più recente, alla quale egli stesso aveva contribuito in prima persona. Nonostante il suo entusiasmo, il F. non riuscì a far conferire dal senato veneziano un incarico ufficiale al Biondo perché portasse a termine la sua opera, rimasta allo stato di abbozzo, in un solo libro, con la storia della città dai primordi fino all’età gotica (il Populi Veneti historiarum liber primus pubblicato soltanto nel 1927 da Nogara). Come la maggior parte degli umanisti veneziani, il F. si divise tra mansioni politiche e diplomatiche, che esigevano una dedizione costante, e la lettura (e la raccolta) dei classici, ai quali riconosceva soprattutto il valore formativo per i buoni politici e gli avveduti amministratori; svelò una mentalità utilitaristica poiché colse da quelle letture, in primis da Cicerone, lo stimolo alla crescita morale e a un’indagine più obiettiva dei suoi tempi. La sua vocazione si stemperò nel rammarico di dover trascurare il colloquio privilegiato con gli “auctores” per spirito di servizio e ossequio al sistema: «Quod aegrius fero, sperabam in hoc otio vires ingenioli mei sopitas temporum ac rerum perturbationibus excitare, fessas reficere, atque ad bonarum artium studia, quibus ab extrema pueritia ineunte adolescentia ad hanc usque aetatem, quantum publicarum rerum labor concesserat, me dederam, reverti, quoniam nulla unquam mihi maior voluptas fuit». Il F. si legò al Friuli, quando giunse a Udine come luogotenente in terraferma; in quella occasione riallacciò il rapporto con Guarnerio d’Artegna, stabilitosi dal 1456 con la sua biblioteca a San Daniele, che aveva conosciuto nel 1445, quando aveva partecipato, in qualità di rappresentante del capitolo di Aquileia, alle trattative per definire l’atto di transazione del patriarcato al dominio di Venezia dopo la conquista del Friuli del 1420. Un legame intenso, nutrito di affetto e di stima, tramato da espressioni spesso scherzose, consuete tra amici di lunga data, che si delinea nella sua complessità nelle dieci epistole rivolte a Guarnerio, databili tra il 1461 e il 1464; un manipolo di scritti, densi di spunti autobiografici e di riflessioni programmatiche, il più importante dei quali, del primo febbraio 1464 (ep. 1/1) ha addirittura funzione proemiale dell’intera raccolta. Il F. scrive da Roma, ambasciatore di Venezia presso la curia pontificia in un momento cruciale per il mondo cristiano e per l’Italia intera – come sostiene Guarnerio nell’unica risposta (ep. 3/29) inviatagli – «in hoc magno et periculoso discrimine causae christianae et totius Italiae», in cui loda la sua capacità, condivisa dai cittadini di Venezia minacciati dall’avanzata turca, di anteporre sempre gli interessi pubblici a quelli privati: «Sed cum cives, qui muri appellati sunt civitatis, quorum humeris universa res publica pendet et substentatur, privatis semper publica anteponant». Il F. brama di dedicarsi di nuovo alle amate letture trascurate per lungo tempo («ad intermissa longo intervallo studia redire, inter amicos nostros veteres oblectari»), e si rammarica di doversi occupare, per il bene dello stato («ad rei publicae utilitatem»), delle difficili trattative per costituire una lega contro gli “infedeli”. Il rimpianto per gli “otia” negati trova compenso nella benevola accoglienza di Pio II, che valuta i suoi meriti personali e soprattutto il prestigio della città rappresentata («Venetis nominis extimatio»). Il carteggio tra il F. e Guarnerio, pur sfiorando temi di rilievo nell’epistola proemiale, è caratterizzato da messaggi succinti per accompagnare l’invio (e la puntuale restituzione) dei codici che il bibliofilo gli prestava con sensibile generosità: un corpus significativo all’interno dell’epistolario foscariniano di oltre trecento lettere, tràdito dal manoscritto 441, il codex unicus conservato nella Biblioteca nazionale di Vienna. Le epistole del 1461 consentono inoltre di sfatare l’ipotesi che il F. leggesse opere greche in originale (aveva appreso senza dubbio un po’ di greco negli anni giovanili, ma prediligeva le traduzioni latine, non diversamente da Francesco Barbaro, allievo di Guarino Guarini, che nel giovanile De re uxoria preferisce sfruttare per i testi più impegnativi le versioni del maestro, benché conoscesse bene il greco). Sono tuttavia letture impegnative, a conferma di una salda cultura e di vasti interessi; gli storici greci Tucidide, Appiano, Erodoto, senza la cui compagnia il F. non avrebbe potuto trascorrere piacevolmente il tempo, cedono talora il passo ai padri della Chiesa, in armonioso equilibrio. Si può scandire la sequenza cronologica dei prestiti: il 21 agosto 1461 il F. accompagna con un biglietto (ep. 4/171) la restituzione del manoscritto di Tucidide e avanza altre richieste: «Tuchidides [od. Guarner. 114, con la versione latina di Lorenzo Valla del De bello Peloponnesiaco] hospes noster post multos hos dies domum reverti deliberavit […] Verum quia eius consuetudine mirum in modum delectatus sum, nec videor posse iocundam in his regionibus sine graecis comitibus vitam agere, te hortor et oro ut Appianum [od. Guarner. 113, con la traduzione di Pier Candido Decembrio della Historia Romana] vel Herodotum [od. Guarner. 49, con le Historiae latinizzate da Valla] ad nos mittas […] Phalarim autem, rerum suarum crudelissime gestarum memoria perterritus, videre nondum ausus sum». Qualche tempo dopo (ep. 6/179) ci informa che ha ricevuto il codice di Appiano e lo ha letto con passione («Vidi Appianum tuum diligentissime»), rammaricandosi di dover abbandonare gli autori profani per non essere tacciato di eresia dal comune amico medico Geremia Simeoni: «Quas ob res, ut ponas eius ori frena, iube ad nos deferri Leonis pontificis Sermones […] [od. Guarner. 41]. His adiunges aurei Chrysostomi Omelias [od. Guarner. 36]». Il primo dicembre (ep. 7/182) il F. provvede a restituire un testo scomodo, che lo aveva a lungo tormentato per il suo contenuto («Phalarim ad te mittendum duxi»): la Lettera di Falaride, apocrifo latino di epoca imperiale, citata nel codice cartaceo deperdito, elencato al n. 70 dell’Inventario guarneriano del 1461 («Libellus Lactantii Firmiani de iusticio, in quo et Falaris tirannus in genere epistolari, in papiro»), non fece però ritorno in biblioteca. Nella breve epistola (ep. 9/188), di poco posteriore, il F. rassicura Guarnerio di aver apprezzato le orazioni di papa Leone I e di Giovanni Crisostomo – probabilmente quelle tradite nel codice medievale acquisito da Guarnerio dal lascito del card. Antonio Pancera, attualmente conservato nella Biblioteca nazionale di Parigi, Par. lat. 8920 –, sostiene di aver affidato all’amico vicentino Montorio Mascarelli il Guarner. 113, di aver mandato il Guarner. 41 e un fascicolo di sua proprietà con l’orazione Contra Iudeos di Crisostomo, forse perché il bibliofilo possa farne copia; chiede inoltre di poter vedere l’elegante codice miniato Guarner. 40 con l’opera di Cassiano («Si intelligere velles quales tibi gratias habeam pro orationibus Leonis et Chrysostomi, quas ad me misisti […] Appianum, tuo iussu Montorio [sc. Mascarelli] dedi. Sermones Leonis, additamenta et orationes nostras Iohannis Chrysostomi Contra Iudeos ad te mitto et, si sine incommodo fieri poterit, libenter videbo Iohannis Cassiani Collationes»). Poco prima di lasciare definitivamente il Friuli, il patrizio veneziano si preoccupò di restituire i volumi che aveva trattenuto presso di sé: «Redeunt nunc ad te Leo, Ambrosius [od. Guarner. 38] et Appianus» (ep. 10/193 del 12 marzo 1962), e sebbene non faccia cenno delle Vite di Plutarco, le biografie latinizzate da vari umanisti nei primi decenni del Quattrocento, che il bibliofilo friulano aveva fatto trascrivere da Battista da Cingoli negli eleganti manoscritti miniati Guarner. 81 e 85, il F. dimostra di averle lette di recente quando cita passi tratti dalle biografie di Mario e di Catone Uticense (ep. 9 e 10). La parentesi friulana del F. diventa paradigma di un’esistenza spesa al servizio della patria, al consolidamento dei rapporti di amicizia con i personaggi di spicco del mondo culturale e politico e alla ricerca, mai esaurita, di approfondire le sue conoscenze con letture pregevoli.
ChiudiBibliografia
G. MORO, Foscarini Lodovico, in DBI, 49 (1997), 383-388 (con ampia bibliografia). In particolare sulla sua attività politica: M.L. KING, Venetian Humanism in an Age of patrician Dominance, Princeton 1986, trad. it. Umanesimo e patriziato veneziano nel Quattrocento di S. RICCI, Roma, Il Veltro, 1989, da cui si cita: I, passim; II, 545-550. Sul suo impegno in Friuli: SCALON, Guarnerio, 25, 34, 39; CASARSA, Come in uno specchio, 94, 99-100. Per la storiografia, in particolare R. FABBRI, Per la memorialistica veneziana in latino nel Quattrocento. Filippo da Rimini, Francesco Contarini, Coriolano Cippico, Padova, Antenore, 1988, 1-16. Infondata l’ipotesi di A. PERTUSI, L’umanesimo greco dalla fine del secolo XIV agli inizi del secolo XVI, in Storia della cultura veneta. Dal primo Quattrocento al concilio di Trento, 3/I, Vicenza, Neri Pozza, 1980, 177-264: 202; priva di verifica quella che avesse tradotto il Martirio dei ss. Vittore e Stefano, dedicato al coetaneo Iacopo, figlio del doge Francesco Foscari (M. FOSCARINI, Della letteratura veneziana […] libri otto, Padova, Tip. del Seminario-Manfrè, 1752, 383, n. 3). La sua partecipazione alla disputa sul primato della dialettica rispetto alla poesia in V. BRANCA, Ermolao Barbaro e il suo circolo tra azione civile, fede religiosa, entusiasmo filologico, presperimentalismo scientifico, in La sapienza civile. Studi sull’Umanesimo a Venezia, Firenze, Olschki, 1998, 197-216. Lettere edite: Barbari Francisci et aliorum ad ipsum epistolae […] nunc primum editae […] Appendix epistolarum Francisci Barbari et aliorum ad ipsum ex Foroiuliensibs Guarnerianis manuscriptis codicibus bibliothecae Sancti Danielis, ed. ... leggi A.M. QUIRINI, Brescia, Rizzardi, 1743, 247-50, 264-67; App., f. 2v-4r; A.M. QUIRINI, Diatriba praeliminaris in duas partes divisa ad Francisci Barbari et aliorum ad ipsum epistolas ab anno Chr. 1425 ad annum 1453 […], Brescia, Rizzardi, 1741, passim; I. NOGAROLA, Opera quae supersunt omnia […], a cura di E. ABEL, II, Vienna, Gerold e C., 1886, 28-126, 157-160 e 181-184; M. D’ANGELO, Le epistole di Lodovico Foscarini a Guarnerio, in CASARSA - D’ANGELO - SCALON, Libreria, 107-121, da cui dipendono i passi citati; F. BARBARO, Epistolario, a cura di C. GRIGGIO, La raccolta canonica delle «Epistole», II, Firenze, Olschki, 1999, n. 225, 228, 236, 363 (si veda inoltre ID., La tradizione manoscritta e a stampa, I, Firenze, Olschki, 1991, 123-175). Ampi stralci dal suo epistolario pubblicati da G. DEGLI AGOSTINI, Notizie istorico-critiche intorno alla vita e alle opere degli scrittori Viniziani, I, Venezia, Occhi, 1752 (= Bologna, Forni, 1975), 45-107 e da F. GAETA, Storiografia, coscienza nazionale e politica culturale nella Venezia del Rinascimento, in Storia della cultura veneta. Dal primo Quattrocento al Concilio di Trento, 3/I, Vicenza, Neri Pozza, 1980, 36-40. Il passo citato della lettera a Girolamo Barbarigo del 1456 edito da M. PASTORE STOCCHI, Scuola e cultura umanistica fra due secoli, in Storia della cultura veneta, 3/I, 121. L’interesse del F. per la medicina è indagato da G. GARDENAL, Lodovico Foscarini e la medicina, in Umanesimo e Rinascimento a Firenze e Venezia, Miscellanea di studi in onore di Vittore Branca, III*, Firenze, Olschki, 1983, 251-263.
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